L’understatement

Seguo distrattamente il notiziario televisivo mentre faccio un solitario sul tablet.

Ad un tratto mi colpisce una notiziola : nell’ultimo giorno di libertà per i negozi prima della chiusura in zona rossa a Milano si è verificato un picco nelle vendite di pigiami e tute sportive.

Allora mi sono immaginata tutta una popolazione sciatta , di individui senza sesso che non si vestono in maniera civile durante il giorno , che si abbandonano al casual più sbracato , alla pigrizia estrema nel non vestirsi in maniera congrua.

L’abito che non fa il monaco , il non abito che rinnega la forma , la pericolosa china del “ è più pratico” , tanto che mi vesto a fare “ diventa l’anticamera del pensiero sospeso , il grigiore uniformante di una società indifferenziata.

Sarà che ho sempre aborrito , anche nei lontani tempi normali , la famigliola in tuta verso i luoghi di vacanza, io che avevo un compagno che quando si metteva comodo era col classico blazer blu che si accingeva al viaggio.

Me l’aveva attaccata questa idiosincrasia per lo sciatto-comodo e io che in fondo una certa vena di proletarissimo undestatement ce l’avevo , mi ero piano  piano adeguata alle sue elitarie considerazioni sul modo di vestirsi , ovunque e comunque.

Mi rendo conto che è un discorso d’antan , che in tempi di pandemia si deve comunque essere contenti che qualche cosa i negozi l’hanno venduta , ma alzando gli occhi dal solitario non ho potuto fare a meno di immaginarmi  davanti agli occhi un popolo sdraiato sul divano , in informi tute slabbrate , in attesa di riprendere a pensare correttamente .

Non è detto che in ultima analisi la forma non diventi anche sostanza.

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