La magia di Friedrich

L’ho comprato ieri e oggi lo ho finito di leggere . L’ultimo libro di Florian Illies si legge tutto d’un fiato e tra salti di tempo e curiosità varie la figura di Caspar David Friedrich si avvicina al lettore  e contemporaneamente se ne allontana in ogni pagina .

Io ritorno sempre alla mia piccola personale sindrome di Stendhal quando a Dresda , mentre il gruppo di compagni di viaggio si dilettava a guardare i gioielli del Re di Sassonia  , forse perché le vetrine surriscaldate di luci mandavano troppo calore , avevo preso una scala laterale e in solitaria mi ero trovata in una sala piena di quadri del mio adorato pittore.

Tanti Friedrich tutti insieme e per me tutti inediti mi avevano procurato una specie di vertigine  tanto che , quando il mio adorato giovine tenore aveva giocato sul suo Cd Sehnsucht con la foto del famoso Viandante sul mare di nebbia ne avevo apprezzato la raffinata scelta e lo avevo amato anche di più.

Il libro è intitolato La magia del silenzio e il quadro di copertina mi ha fatto venire la voglia di prendere un aereo per andarlo a guardare , se non che poi leggendo , scopro che in questo preciso momento storico forse è meglio rimandare un inutile viaggio.

Le figure di Friedrich , sempre di spalle e sempre misteriosamente sconosciute a noi  che guardiamo i quadri con la stessa attenzione dei personaggi , guardano lontano e niente sapremo della loro curiosità e dei loro sentimenti.

Forse perché non era così bravo a ritrarre la gente , forse quelle figure allungate  erano un modo per evitare di farne dei ritratti.

Non ci avevo mai pensato , ma Illies ci fa riflettere sul fascino segreto che emana dalle tele , questo grande maestro del  Romanticismo tedesco si era limitato a raccontare la natura e le nuvole , gli alberi e le vele gonfiate dal vento per una sua personale limitata scelta pittorica.

Il libro è un gioco a rincorrere i quadri , sparsi un po’ ovunque nel mondo , di un pittore che è riemerso dall’oblio dopo tanto tempo e oggi è considerato un vero caposcuola .

Di che non è dato dirlo , la sua etichetta di romantico può essere sostituita dall’essere forse il primo surrealista ante-litteram.

Come mettere in scena Wagner oggi ?

Me lo sono chiesta dopo avere letto una recensione del Tristano di Palermo fatta da un critico amico : benevolmente colpito dalla volontà di un giovane regista di tentare l’ardua impresa di affrontare il Tristan e di avere risolto attraverso una lettura personale  la difficilissima impresa di rappresentare il quasi irrapresentabile  pare che ne sia uscito abbastanza bene.

Mi è capitato poi un falso-ingenuo commento di una spettatrice che si è fermata a una lettura , diciamo così , provocatoriamente banale di quello che ha visto in scena ed è dovuta arrivare alla morte di Isolde per capirci qualcosa!

Ormai a Palermo le repliche sono finite e non potrò verificare di persona quale delle due ipotesi di lettura del testo sarebbe stata per me più convincente e in mancanza di meglio , avendo ben tre preziose messinscene del Parsifal nella mia memoria digitale  mi sono letteralmente ubriacata di Wagner.

Una prima cosa l’ho scoperta strada facendo : la musica di Wagner ha un contenuto quasi ipnotico , ascoltare in un paio di pomeriggi tre versioni della sacra rappresentazione è stato come affondare in un mare denso , come di un metallo pesante e perdersi in un tempo dilatato.

Tre modi di affrontare il solito irrapresentabile : reso più difficile dal modo attuale di mettere in scena qualcosa che ha a che vedere più con l’onirico che il reale.

La risposta più facile parrebbe quella di ripiegare sulla “mise en espace “, vale a dire la forma di concerto, ma Wagner era un compositore che amava le sue storie e si era pure fatto un teatro apposta per rappresentarle.

Quindi la forma scenica va affrontata , bisogna solo capire come.

In un tempo in cui si affrontato tutti i tipi di effetti speciali  e di  proiezioni in digitale sembrerebbe facile servirsene in abbondanza.

Ma l’autore della musica aveva anche la spregiudicatezza di scrivere anche i testi ( per lo più illeggibili) e a chi tocca la sorte di affrontare i testi wagneriani ha una sola strada davanti : dare una interpretazione il più possibile personale e originale della storia.

Solo attraverso una lettura ragionata e approfondita oggi si deve avere il coraggio di affrontare simili fatiche.

Al lettore curioso di sapere quale delle mie visioni sia sta la più convincente tra Monaco, Vienna e NewYork ( e devo aggiungerne un paio di cui ho solo la memoria fisica : Berlino e Bologna) direi che la palma va ancora e sempre alla messinscena del Met del 2013.

Ovviamente al netto delle superbe esecuzioni musicali ,  quasi tutte notevoli.

Tempi moderni

E’ stata una pazza primavera . A marzo  e aprile caldo da girare in maglietta , poi è arrivato  il freddo di nuovo con vento e piogge.

Le piante hanno reagito come pareva loro : non ci hanno capito più niente e così per la prima volta il glicine è passato dai rami secchi alle foglie senza passare dai fiori , lo stesso ha fatto la mia pianta di peonia , nessun fiore anche se ogni giorno testardamente io andassi a guardala sperando forse di convincerla a trasformare quei piccoli bottoni centrali nei fiori che tanto amo . Niente da fare .

Ma il dispetto  più grosso me l’ha fatto il mio alberello di albicocco che , dopo una promettente fioritura  alla fine mi regalerà una sola piccola albicocca , sperando inoltre che non caschi prima di arrivare a maturazione.

Finiscono così anche le certezze della vita degli anni giovanili con le stagioni che si rincorrevano monotone : non ci sono più le mezze stagioni , signora mia!

Certo che davanti al grande cambiamento epocale che significa desertificazione e cicloni catastrofici i problemi del mio piccolo giardino non interessano più di tanto gli studiosi che mettono in guardia circa la fine anticipata del quieto vivere mondiale ma è anche vero che tanta parte dell’economia mondiale vive anche di queste traversie infinitesimali : ne sanno qualcosa i venditori di piumini che restano invenduti per interi inverni o i poveri caldarrostai che una volta vendevano le loro castagne calde agli angoli delle strade.

Allora viene da pensare alla famosa farfalla che batte le ali in Brasile e fa crollare la Borsa di Wall street.

Parafrasando il saggio Gurnemanz : vedi ragazzo mio , qui il tempo non diventa spazio , diventa solo una pazza stagione senza capo ne coda.

San Ferdinando

C’è una chiesa a Napoli , scura scura con degli scalini davanti , poco invitante e soprattutto immersa del traffico della piazza Trieste e Trento .

Per anni ho pensato che fosse chiusa poi una mattina di domenica ,mi faceva male la solita sciatica e non ce la facevo a camminare per tutta la grandezza della Piazza del Plebiscito , ho scoperto che era aperta per la Messa.

Da quella domenica , quando sono a Napoli quella è diventata la mia chiesa e ne ho fotografato gli interni a cominciare da una classica Madonna dei Sette Dolori nella prima cappella a destra.

C’è anche un bellissimo presepe napoletano , fatto da un  parrocchiano , ancora abbastanza nuovo ma perfetto perché ritrae la chiesa con tutto il suo ricchissimo contorno di palazzi.

Ho fatto di sfuggita , cercando di non farmi notare , anche una bellissima foto della sacrestia  con il parroco ( credo che sia lui ) in conversazione con persone anziane mentre accarezza un piccolo barboncino che se ne sta tranquillamente sul tavolo come a partecipare alla conversazione.

Oggi leggo sul giornale un piccolo trafiletto dedicato alla scomparsa di un produttore cinematografico , una vita spezzata di una persona che nella vita deve averne passate tante e con la fantasia tutta partenopea è passato dal carcere al teatro e infine anche alla televisione.

Ma non è la persona di cui fino a oggi non sapevo niente a incuriosirmi.

Sono le due righe finali : il funerale di terrà nella chiesa di San Ferdinando , la chiesa degli artisti.

Una rivelazione , ecco perché amavo tanto quella chiesa , senza saperlo avevo scelto tra le mille meravigliose chiese napoletane quella che in qualche modo è la più vicina al mio cuore.

Riletture pucciniane

Ohibò , una Tosca nuova !

Peccato che l’idea di abbinare Edith Piaf a un’opera ce l’aveva già avuta Martellet a Parigi nel 2007 , solo che non era Tosca , ma Traviata. Pazienza.

Che bella idea nuova ambientarla durante il fascismo , anche se ci aveva già pensato Grahm Vick , mi pare proprio che fosse sua quella Tosca fiorentina della fine del secolo scorso.

Poi per non andare tanto lontano anche a Salisburgo in questo secolo la Tosca in pantaloni l’avevo già vista con tanto di cupolone e bambini killer.

Molto bella per me la Tosca di Carsen a Zurigo , li la Tosca era la Diva per eccellenza e strepitoso il suo tuffo finale verso il pubblico. E tanto per restare nel colpo di teatro nel teatro abbiamo anche avuto la Tosca “scomparsa” a Vienna con la famosa frase : ah non abbiam soprano !”

Stimo e ammiro Massimo Popolizio , un grande attore teatrale , capace anche di inchiodare gli spettatori a Siracusa negli spettacoli del teatro greco antico, ma l’opera è un tipo di spettacolo da maneggiare con cura e anche le bellissime idee non sempre poi producono spettacoli memorabili .

Comunque gli do la fiducia necessaria come la do alla Tosca di Monaco , anche li spreco di Fasci e citazioni pasoliniane a gogo, staremo a vedere .

Quello che conta davvero , e a Firenze mi pare che sia ottima garanzia sono le cose importanti che fanno la differenza  davvero : gli interpreti e il direttore d’orchestra.-

Ma è possibile che invece gli articoli che riguardano l’opera siano sempre e solo incentrati sulla regia ? 

E’ l’anno pucciniano e le opere del sor Giacomo sono di facile rimaneggiatura , con buona pace dei vecchi melomani puristi e frustrati.

Qualche volta le idee nuove , che poi nuove e originali non lo sono per niente , possono anche produrre miracoli di rilettura .

A Vienna mi è successo con la Turandot. 

Possiamo ancora sperare.

PS: per eventuali date e nomi sbagliati mi affido agli amici che hanno la bontà di leggermi e correggermi, fate pure.

Ricordi spoletini

Tra i vecchi Lp che custodisco gelosamente anche se non ho neppure più l’apparecchio per leggerli ce n’è uno in particolare “Bella ciao” che mi riporta tanto lontano nel tempo e che fu al momento dell’acquisto quasi una forma di ribellione alla politica che in quegli anni comandava in  Italia  ( e non sapevo in quale abisso saremmo poi precipitati nei nostri giorni.)

La morte di Giovanna Marini ha riaperto per me un ricordo collegato soprattutto a Spoleto e a tutto quello che Spoleto aveva rappresentato per me negli anni che vanno dai Sessanta agli Ottanta.

Mi aiuto con la memoria , ma poi cedo e vado a cercare sul web e stupisco , e allibisco per quello che succedeva in quelle estati in quella tranquilla città umbra.

Oltre al famoso spettacolo Bella ciao del Nuovo canzoniere italiano che fu scandalo e scoperta delle nostre tradizioni di canto popolare ho ricordi bellissimi legati a opere straordinarie come il Don Giovanni con le scene di Moore , come la meravigliosa Manon di Visconti , come i concerti in piazza diretti da Schipper , e  poi Nureyev e la Fontaine , la Fracci e l’Orestea di Ronconi nella chiesa sconsacrata di San Niccolò.

Si andava a Spoleto partendo presto la mattina e capitava di ascoltare musica rara al concerto aperitivo al Caio Melisso , poi si correva al Teatro nuovo per l’opera e come raccontò Arbasino in un mirabile articolo “ si andava correndo di teatro in teatro cambiandosi con un panino in bocca di corsa nel cesso dell’Agip.”

Romolo Valli al tavolino del bar in piazza , Menotti affacciato alla finestra di casa e tanti giovani musicisti , molti americani , che riempivano i vicoli di musica e di allegria.

Si incontravano  Carmelo Bene e Ronconi , si poteva ascoltare la poesia di Neruda e Ezra Pound, tutto un calderone di emozioni , molte casuali e quasi niente di programmato.

Il Festival di Spoleto è stato per la mia generazione un momento di di scoperte culturali importanti : la Lulu di Berg con la regia di Polanski  e il Rosenkavalier con quella di Visconti li ho ascoltati per la prima volta li.

L’ultima volta che ci sono andata , quasi per caso , erano passati gli anni gloriosi della mia giovinezza , fu però un giorno importante .

C’erano i danzatori della compagnia di Pina Baush con uno spettacolo nuovo intitolato Bamboo.

Ebbene durante la rappresentazione arrivò la notizia della morte della grande coreografa.

Ricordo ancora la compagnia che salutava piangendo alla fine della rappresentazione.

 Poi non ci sono più ritornata.

Volare a Palermo

Mi piacerebbe ascoltare il mio adorato Tristano a Palermo , il direttore Omer Meir Wellber è una garanzia , l’ho ascoltato più volte a Monaco e sono curiosa di leggere di questa sua impresa in terra siciliana.

Solo che la stampa si sofferma solo sul fatto che il direttore è ebreo israeliano e non ho letto niente sulla portata culturale dell’evento.

L’Italia è toppo lunga per andare a Palermo e spero in qualche registrazione per ascoltare la musica incantata che mi auguro  risuoni in un teatro pieno .

Conosco la diffidenza italica nei confronti del grande compositore tedesco che qualche difettuccio nel privato ce l’aveva e se le sue idee non sono le mie idee   dobbiamo riconoscere che la sua musica ha cambiato il mondo e senza di lui non avremmo Mahler , Strauss , Stravinsky e tutto il Novecento compreso un suo grande estimatore che si chiamava Giacomo Puccini.

Anche il vecchio Verdi ci fece i conti e pur nelle differenze fra i due geni bisogna riconoscere che da quel matto sortì la musica nuova , quella che abbiamo ereditato anche nella musica cosiddetta moderna  dei nostri giorni.

Ho cominciato ad amare Wagner da quella che sembra essere una sua opera minore , ma i Meistersinger sono una stupenda porta d’ingresso per entrare nell’universo wagneriano , da li sono partita tanti anni fa e ancora adesso se la notte è troppo lunga e l’insonnia amica dei vecchi mi impedisce il sonno annego il pensiero nella musica incantata del grande sassone.

Se Wagner incantò Luigi di Baviera e lo spregiudicato musicista se ne servì per fargli erigere il teatro fatto a misura delle sue opere non altrettanto colpevole Wagner fu della passione che il pazzo dittatore Hitler nutrì per lui .

Forse incantato più dai suoi scritti che dalla sua musica ne fece il sottofondo della sua follia e anche se il Ring nella sua visionarietà si è prestato a molti equivoci di lettura,  (Sigfrido è un povero folle ), ben altrimenti eroe è Lohengrin o lo stupendo eroe perdente Sigmund : il suo canto Wintersturm …non ha niente di nazista , anzi è dolcemente triste come triste e sfortunato è l’eroe che lo canta.

Wagner va ascoltato cercando di immergersi nel filo conduttore della sua melodia nascosta , allora diventa tutto facile .

Poi alla fine si può anche arrivare al Parsifal.

Parola di una che ci ha messo qualche decennio per capirlo.

Pappano e friends

Due bei documentari sulla figura di Antonio Pappano si vedono contemporaneamente in rete in questi giorni : uno della tv austriaca Servus ripercorre , durante una intervista fatta a Salisburgo in occasione della tourné con l’Orchestra di Santa Cecilia .la ormai lunga carriera del direttore caro alle folle su tutti i palcoscenici d’Europa e l’altro invece celebra i suoi lunghi anni londinesi alla RHO in attesa di passare alla direzione della London .

In tutt’e due occhieggia Jonas Kaufmann , hanno lavorato insieme per anni e sappiamo la reciproca stima che lega il direttore al grande cantante .

Nel primo si vedono , per fortuna non molti, stralci nella Gioconda salisburghese e si capisce bene che per i due conta la musica , la messinscena rientra in quella frase buttata la : “è un lavoro” , come dire che il lato interessante è la qualità musicale , molto meno quella non sempre all’altezza che riguarda la parte visiva.

Tenero il Pappano giovanissimo che minimizza il fatto di essere diventato Sir , me lo ricordo ad Ancona quando in casa di amici in un italiano ancora stentato raccontava con molto understatement il momento dell’investitura.

Nel secondo si vedono molte prove del Werther londinese che ebbe non molte repliche per l’indisponibilità di Kaufmann.

Io non ci andai e , col senno di poi , ho avuto la conferma che rivedere l’opera a distanza di dieci anni con lo stesso interprete che indossa lo stesso cappotto e lo stesso famoso gilet giallo descritto da Goethe  e morire nella stessa scenografia della Bastille  mi fa ritenere che sia meglio vedere un allestimento nuovo così magari non si misura più di tanto il passare degli anni ( sia nostri che degli interpreti).

Questo per dire che preferisco sempre un allestimento nuovo a quelli datati , con tutti i rischi che una nuova intzenierung comporta.

Viva il Re

Da un po’ di giorni il mio blog tace , non c’è molto da dire in un momento così difficile per l’Europa che va a votare per il rinnovo delle proprie istituzioni mentre intorno a noi i venti di guerra soffiano dall’Ukraina al Medio Oriente.

Ma un evento marginale e in qualche modo mondano mi spinge alla riflessione e riprendo il mio dialogo con gli affezionati lettori.

Avevo appena finito di leggere il libro di Alberto Mattioli che con la solita verve polemica e la grazia di giornalista affermato ha lasciato il suo campo preferito , la lirica , per addentrarsi con coraggio nel mare grande della politica.

Il libro si legge tutto d’un fiato e sembra di ascoltare Alberto che parla , con leggerezza con una sorta di delusione , anzi meglio di amarezza nella voce , nei confronti di una destra che arrivata al potere lo delude come , anzi anche di più , lo avevano deluso i politici che avevano gestito il settore che Mattioli sente suo :la cultura.

Avevo appunto finito di leggere quando una foto che apparentemente non entra nei nostri discorsi mi ha fatto capire quanto un paese possa essere civile nei secoli e quanto  invece noi siamo ancora tanto lontani dall’essere quello che fummo in un tempo tanto lontano , quando l’Italia era faro di civiltà e di cultura.

Re Carlo III d’Inghilterra è salito sul palco della ROH insieme a sir Tony Pappano e tutti gli artisti che lo hanno omaggiato per salutare insieme al grande direttore il pubblico che applaudiva commosso.

Ecco un gesto regale che è anche un gesto di consapevolezza che la cultura è arte integrante della vita civile di un popolo.

Si può dire che l’Inghilterra non è più in Europa , un errore storico che gli inglesi dovranno nel tempo correggere, tanto invece fa parte dell’Europa il modo di essere di un popolo che l’Europa ha difeso anche nei momenti più difficili della sua storia.

Il Re , persona civile e democratica , rappresenta sicuramente un pensiero europeo nella sua accezione più alta e qual garbato riconoscimento ad un artista che lo ha onorato nel tempo è quanto di più culturalmente vicino a tutto quello che c’è aldilà della Manica.

Quando mai i nostri politici , scelti con cura in misura della loro lontananza dal mondo culturale , avrebbero mai fatto un gesto simile?

Al più vanno a vedere le partite di pallone e alla Scala ci vanno solo per sant’Ambrogio perché la tv li riprenda.

Sono repubblicana fino al midollo e non rimpiangerò mai una monarchia che in Italia fu complice del terribile flagello storico del fascismo , ma un briciolo di invidia per la perfida Albione quella foto del re tra i cantanti me l’ha data davvero.

Oceano Arno

I fiorentini amavano navigare o più esattamente amavano conoscere il nuovo mondo , quelle che allora si chiamavano le Indie e magari al soldo di re stranieri nel Cinquecento correvano nei mari sconosciuti e soprattutto ne scrivevano , ne disegnavano le carte , ne documentavano l’esistenza.

Fu così che un nobile nato in Chianti e  che si chiamava Giovanni da Verrazzano scoprì quella che oggi chiamiamo NewYork.

Era 1l 24 aprile 1524 e lui entrava incuriosito  per primo in quella baia così frastagliata e abitata da gente che suo fratello , quello che disegnava le carte e dava nomi toscani ai vari luoghi via via che li scoprivano vedendoli  per la prima volta  non esitava a definire in alcuni casi “terra di malagente”

Appena due anni prima un  altro fiorentino aveva chiarito meglio dov’era esattamente quella terra nella quale prima di lui era atterrato un altro italiano ,un certo Vespucci, e tanto per chiarire le cose la chiamò con  il suo nome “Terra di Amerigo”  così  che poi noi la conoscemmo col suo nome e si chiamò America.

Si correva da Firenze , città che non era marinara ma piena di uomini colti e curiosi , uomini che discettavano di greco e latino , uomini che venivano ingaggiati dai re d’Europa avidi di conquiste e di materie preziose che in quelle terre lontane sembravano abbondare e per realizzare la loro potenza assoldavano umanisti curiosi .

I fiorentini navigavano , disegnavano carte , raccontavano il Nuovo Mondo e qualche volta ci lasciavano anche la pelle , proprio come il povero Giovanni che non ebbe una grande accoglienza arrivando : fu infatti barbaramente trucidato dai nativi e il fratello cartografo dovette assistere impotente all’orrore della sua fine.

Quest’anno ricorre l’importante evento : a Firenze si festeggia con grande pompa il  gemellaggio americano : non per caso il Ponte Verrazzano è quello dal quale parte la più famosa maratona del mondo e anche  Firenze , nel suo piccolo , ha un suo ponte Verrazzano sull’Arno.

Già ,l’Arno , un fiume neanche grandissimo  che però influenzò uomini che dalle sue sponde partirono verso quel mondo lontano.

Ci andavano per interesse , la curiosità di umanisti si intrecciava con la voglia di intraprendere remunerati viaggi commerciali, ma ci andavano con il coraggio e la curiosità con la quale oggi si festeggia sulle due sponde dell’Atlantico : pare che sia pronto anche un nuovo vino che prenderà il nome del navigatore .

Si chiamerà Chianti Verrazzano.

Con leggerezza

Nel nostro felice democratico paese ( non mi lamento certo di essere ancora libera di scrivere anche queste righe!) succede anche di questo :

parto per un bellissimo piccolo tour di tre giorni e inciampo ( si fa per dire ) nell’assurdo che la domenica mattina lo sfigatissimo treno interregionale da Ancona per Roma del mattino non c’è , o meglio c’è a pezzetti : treno, corriera , treno) oppure si va a Bologna (sic!) per modeste novanta euro a prendere la Mitica Freccia , onore e vanto delle nostre ferrovie.

Allora scelgo di passare al nemico e prendo Flixbus , benedetto sistema giovanile che con meno soldi e un po’ di pazienza ci porta ovunque alla faccia dei treni che non ci sono e se ci sono scioperano pure , cosi che pure l’algoritmo del bus schizza come una tigre verso l’ alto.

Il mio giro cultural-musicale .artistico si svolge serenamente e al ritorno a casa  dovrei stare tranquilla : un paio di Frecce da Firenze-Bologna- Ancona non dovrebbero creare problemi ma non avevo fatto conto sul tradizionale “ previsto(?) “ ritardo della coincidenza .

Arrivo comunque alla stazione di Ancona e mentre sto aspettando il bus mi arriva un messaggino.

Curiosa , guardo, chi mi può scrivere appena arrivata ?

Sono le Ferrovie che kafkianamente mi informano che con molto dispiacere il mio treno arriverà con una  buona mezz’ora di ritardo.

Rido da sola come una matta perché sul quel treno in ritardo ci avevo già viaggiato da un paio d’ore .

Visto mai che non me ne fossi accorta?

Anselm Kiefer

Nello spazio rinascimentale di Palazzo Strozzi a Firenze Anselm Kiefer ha portato una mostra di straordinaria potenza e di forte denuncia politica.

I suoi Angli caduti raccontano , nella citazione ostentata dei fondi oro , un suo legame forte fra lo spazio espositivo e il messaggio artistico di uno dei più grandi artisti del nostro tempo.

Si esce dalla visione come dalla caduta in un abisso : questo è il nostro tempo che segna la fine di quella che fu la storia della bellezza nell’arte.

Credo che non siano più di cinquecento passi dalla visione del perfetto equilibrio della Cavalcata dei Magi di Benozzo Gozzoli al Palazzo Medici Riccardi ma i secoli che intercorrono fra i due eventi ci segnano e quello che resta è questa nostra epoca di orrore senza speranza.

Le opere di Kiefer , alterate dalle radiazioni, errori mutanti della materia, sono il nostro misurarci con la storia che resta e il monito che ci circonda nell’orrida bellezza materica ci apre , forse , uno spiraglio di fede nell’umanità che deve trovare il coraggio di misurarsi fino in fondo nella nostra caduta epocale.

In questa mostra, in cui le opere si rapportano con la serena intellettualità dello spazio bianco e grigio del palazzo fiorentino non c’è più l’aspirazione verso l’alto dei Sette Palazzi Celesti , ci accoglie l’ala spezzata dell’arcangelo Michele ( ma anche Icaro) o forse un aereo della Luftwaffe e si chiude nel segno nazista dei ritratti dell’artista incisi pesantemente nel piombo che l’autore si è fatto nel tempo sugli sfondi di luoghi della nostra vecchia Europa.

Un monito e un pensiero scritto dall’autore sul muro bianco: la citazione “ a memoria” in italiano ci deve forse fare accettare consapevolmente la nostra attuale condizione umana.