Oceano Arno

I fiorentini amavano navigare o più esattamente amavano conoscere il nuovo mondo , quelle che allora si chiamavano le Indie e magari al soldo di re stranieri nel Cinquecento correvano nei mari sconosciuti e soprattutto ne scrivevano , ne disegnavano le carte , ne documentavano l’esistenza.

Fu così che un nobile nato in Chianti e  che si chiamava Giovanni da Verrazzano scoprì quella che oggi chiamiamo NewYork.

Era 1l 24 aprile 1524 e lui entrava incuriosito  per primo in quella baia così frastagliata e abitata da gente che suo fratello , quello che disegnava le carte e dava nomi toscani ai vari luoghi via via che li scoprivano vedendoli  per la prima volta  non esitava a definire in alcuni casi “terra di malagente”

Appena due anni prima un  altro fiorentino aveva chiarito meglio dov’era esattamente quella terra nella quale prima di lui era atterrato un altro italiano ,un certo Vespucci, e tanto per chiarire le cose la chiamò con  il suo nome “Terra di Amerigo”  così  che poi noi la conoscemmo col suo nome e si chiamò America.

Si correva da Firenze , città che non era marinara ma piena di uomini colti e curiosi , uomini che discettavano di greco e latino , uomini che venivano ingaggiati dai re d’Europa avidi di conquiste e di materie preziose che in quelle terre lontane sembravano abbondare e per realizzare la loro potenza assoldavano umanisti curiosi .

I fiorentini navigavano , disegnavano carte , raccontavano il Nuovo Mondo e qualche volta ci lasciavano anche la pelle , proprio come il povero Giovanni che non ebbe una grande accoglienza arrivando : fu infatti barbaramente trucidato dai nativi e il fratello cartografo dovette assistere impotente all’orrore della sua fine.

Quest’anno ricorre l’importante evento : a Firenze si festeggia con grande pompa il  gemellaggio americano : non per caso il Ponte Verrazzano è quello dal quale parte la più famosa maratona del mondo e anche  Firenze , nel suo piccolo , ha un suo ponte Verrazzano sull’Arno.

Già ,l’Arno , un fiume neanche grandissimo  che però influenzò uomini che dalle sue sponde partirono verso quel mondo lontano.

Ci andavano per interesse , la curiosità di umanisti si intrecciava con la voglia di intraprendere remunerati viaggi commerciali, ma ci andavano con il coraggio e la curiosità con la quale oggi si festeggia sulle due sponde dell’Atlantico : pare che sia pronto anche un nuovo vino che prenderà il nome del navigatore .

Si chiamerà Chianti Verrazzano.

Con leggerezza

Nel nostro felice democratico paese ( non mi lamento certo di essere ancora libera di scrivere anche queste righe!) succede anche di questo :

parto per un bellissimo piccolo tour di tre giorni e inciampo ( si fa per dire ) nell’assurdo che la domenica mattina lo sfigatissimo treno interregionale da Ancona per Roma del mattino non c’è , o meglio c’è a pezzetti : treno, corriera , treno) oppure si va a Bologna (sic!) per modeste novanta euro a prendere la Mitica Freccia , onore e vanto delle nostre ferrovie.

Allora scelgo di passare al nemico e prendo Flixbus , benedetto sistema giovanile che con meno soldi e un po’ di pazienza ci porta ovunque alla faccia dei treni che non ci sono e se ci sono scioperano pure , cosi che pure l’algoritmo del bus schizza come una tigre verso l’ alto.

Il mio giro cultural-musicale .artistico si svolge serenamente e al ritorno a casa  dovrei stare tranquilla : un paio di Frecce da Firenze-Bologna- Ancona non dovrebbero creare problemi ma non avevo fatto conto sul tradizionale “ previsto(?) “ ritardo della coincidenza .

Arrivo comunque alla stazione di Ancona e mentre sto aspettando il bus mi arriva un messaggino.

Curiosa , guardo, chi mi può scrivere appena arrivata ?

Sono le Ferrovie che kafkianamente mi informano che con molto dispiacere il mio treno arriverà con una  buona mezz’ora di ritardo.

Rido da sola come una matta perché sul quel treno in ritardo ci avevo già viaggiato da un paio d’ore .

Visto mai che non me ne fossi accorta?

Anselm Kiefer

Nello spazio rinascimentale di Palazzo Strozzi a Firenze Anselm Kiefer ha portato una mostra di straordinaria potenza e di forte denuncia politica.

I suoi Angli caduti raccontano , nella citazione ostentata dei fondi oro , un suo legame forte fra lo spazio espositivo e il messaggio artistico di uno dei più grandi artisti del nostro tempo.

Si esce dalla visione come dalla caduta in un abisso : questo è il nostro tempo che segna la fine di quella che fu la storia della bellezza nell’arte.

Credo che non siano più di cinquecento passi dalla visione del perfetto equilibrio della Cavalcata dei Magi di Benozzo Gozzoli al Palazzo Medici Riccardi ma i secoli che intercorrono fra i due eventi ci segnano e quello che resta è questa nostra epoca di orrore senza speranza.

Le opere di Kiefer , alterate dalle radiazioni, errori mutanti della materia, sono il nostro misurarci con la storia che resta e il monito che ci circonda nell’orrida bellezza materica ci apre , forse , uno spiraglio di fede nell’umanità che deve trovare il coraggio di misurarsi fino in fondo nella nostra caduta epocale.

In questa mostra, in cui le opere si rapportano con la serena intellettualità dello spazio bianco e grigio del palazzo fiorentino non c’è più l’aspirazione verso l’alto dei Sette Palazzi Celesti , ci accoglie l’ala spezzata dell’arcangelo Michele ( ma anche Icaro) o forse un aereo della Luftwaffe e si chiude nel segno nazista dei ritratti dell’artista incisi pesantemente nel piombo che l’autore si è fatto nel tempo sugli sfondi di luoghi della nostra vecchia Europa.

Un monito e un pensiero scritto dall’autore sul muro bianco: la citazione “ a memoria” in italiano ci deve forse fare accettare consapevolmente la nostra attuale condizione umana.

Jenufa

Con ritmo ossessivo scorre l’acqua del mulino , uno spazio chiuso, le donne in nero , le culle appese , ma forse sono luci che illuminano le mani che sbucciano le patate , poi le sagome scure degli abiti appesi diventano uomini che vanno al lavoro.

Si apre così lo sfolgorante spettacolo della Jenufa , creato per la ROH e meritatamente ripreso dal Teatro dell’Opera di Roma.

Una storia straziante , una colpa diffusa nella crudele indifferenza di un villaggio moravo , la storia crudele di un infanticidio e una musica così sconvolgente in cui la linea melodica si interrompe continuamente lacerandosi nel canto.

Janaçech , autore di libretto e musica scrive alla fine dell’Ottocento una storia  modernissima dove non esiste un confine tra il bene e il male , dove tutti sono vittime e colpevoli, dove solo nell’accettazione di un tristissimo destino si apre uno spiraglio di pace nel finale senza felicità.

Lo stupendo spettacolo di Claus Guth , formalmente elegante , coniuga la fedeltà intrinseca alla musica con una cura perfetta di ogni gesto dei tanti superbi interpreti su cui spiccano fra tutti una Karita Mattila che ha la potenza recitativa di una eroina classica e la ieratica presenza delle rigida “vecchia” di Manuela Custer.

Tutti bravissimi , credo nessuno di madrelingua ceca e sotto la bacchetta di un ispirato Juraj Valhcuha ci hanno regalato una indimenticabile rappresentazione con un unico rammarico , i troppi vuoti in teatro, laddove un simile spettacolo semmai giustificava addirittura un secondo ascolto per meglio entrare in un universo musicale ricchissimo in cui si possono ritrovare preziosi echi pucciniani e non solo.

Ci si incanta nella bellezza formale del primo atto , si piange e si ascolta col cuore stretto il secondo atto mirabile come un colpo al cuore e ci si placa nel finale dove l’amarezza di una pace conquistata nel dolore si ferma nell’immagine di Jenufa che svuotata di ogni speranza prende la mano del suo compagno.

La vita , nella semplice amara verità è anche questo.

Diffidenze etniche

Non si finisce mai di stupirsi nella vita e qualche volta lo stupore rasenta il grottesco.

Da qualche mese ho una nuova collaboratrice domestica , una bella donna romena che ha il solo vizio di essere troppo fissata con le pulizie : inghiotte prodotti d’uso domestico come fossero leccornie prelibate e il suo grido di guerra è candeggina! La metterebbe dappertutto o in alternativa lo sgrassatore che per lei è oggetto di culto.

Vive in Italia da molti anni e anche se il suo linguaggio non è ricco ci intendiamo a meraviglia su tutto.

Ma  da qualche giorno ci sono in casa degli operai che fanno dei piccoli lavori di ripristino sui danni provocati dall’avere edificato una nuova mega villa accanto a casa mia , questi operai gentilissimi parlano tra di loro in una lingua che non conosco e allora io che sono sempre aperta e curiosa di tutto ho chiesto da dove venissero.

Orgogliosamente il capo mi ha detto di essere albanese ,ma con     fierezza poi ha chiarito di esser cittadino italiano , è arrivato qua nei lontani anni novanta , al tempo della loro venuta in massa nel nostro paese.

Allora io , credendo di fare cosa gradita ho cercato di presentare i miei due occasionali ospiti :la signora è romena ,e a lei :loro sono albanesi.

Ho capito subito che non correva buon sangue tra di loro , la diffidenza e la sottile freddezza davanti a quella che credevo essere una presentazione tra stranieri accumunati da un uguale destino di sradicati in un paese altrui si è rivelata nella sua disarmante crudeltà.

In realtà erano diffidenti gli uni e l’altra , come animali che si rinchiudono nel loro guscio identitario , come lumache che rientrano ciascuno nella  loro casetta.

Eppure avevo letto tanto sui Balcani , ma evidentemente la realtà ravvicinata colpisce di più che non facciano tante ponderose letture storiche.

Aida perduta

Adesso che sono terminate le repliche dell’Aida di Monaco nell’allestimento che fu visto nella stagione del 2022/23 senza suscitare il clamore attuale mi permetto di fare alcune osservazioni in merito all’attuale ripresa.

Il BSO aveva trasmesso l’opera durante la stagione del primo allestimento e rimasi particolarmente colpita da quella marcia trionfale dei reduci di una guerra che mostrava le ferite e le mutilazioni dei soldati al ritorno in patria.

Ugualmente apprezzai la cenere che cadeva sul destino degli infelici amanti , una cascata grigia che finiva per essere una piramide , citazione affatto scontata della tragedia di una delle tante guerre che insanguinano le terre africane.

Il regista Michieletto non è nuovo a rivisitazioni che hanno un senso , possono piacere o meno ma sicuramente il filo conduttore reggeva bene la scelta di fondo : una messinscena a dichiaratamente “ a tema “ il cui risultato finale si poteva dire riuscito , ben altrimenti che l’infelice tentativo parigino che ha sfiorato il ridicolo attraverso l’uso delle marionette , oltre tutto di difficile realizzazione pratica-

Solo un professionista del calibro di Kaufmann era  riuscito a rendere , se non dico credibile , perlomeno accettabile la scena finale nella quale fu costretto a cantare con un pupazzo tirato da tre persone.

Nell’allestimento visto sul canale bavarese il ruolo di Radames era interpretato da un ottimo tenore italiano , Riccardo Massi , dal bel portamento fisico anche se ovviamente è difficile rivaleggiare con un extraterrestre come Kaufmann , il cui valore aggiunto non sta solo nel diminuendo del Celeste Aida , ma nelle sottili impercettibili mosse  delle controscene : un guizzo rapido nel guardarsi intorno intorno prima di abbracciare Aida di nascosto , il giocherellare meditabondo su una palla abbandonata in palestra che lo fanno una sorta di Amleto col teschio di Yorik.

Se non fosse esorbitante il costo di un volo di un’ora , la Lufthansa chiede 700 euro per a/r Ancona Falconara , avrei volentieri fatto la follia per rivedere un’ennesima Aida nella mia vita.

Mi sono dovuta accontentare delle tante foto dei saluti finali che hanno inondato il mio telefono e sorridere alla visione di Kaufmann caduto nella giacca che sicuramente non era stata ristretta alla sua , peraltro non esigua , attuale corporatura.

La musica del caso

E’ un titolo bellissimo di uno dei tanti romanzi di Paul Auster che hanno accompagnato i miei anni di lettore.

Lo cerco invano in libreria , probabilmente l’ho prestato in anni lontani ,  ma trovo diligentemente in fila oltre alla citatissima Trilogia newyorchese altri titoli e soprattutto in queste ore ripenso a Smoke , quel film straordinario che raccontava con la camera fissa quell’angolo di Brookling e quella tabaccheria  “ombellico del mondo”.

Ne era seguito Blue in the face, forse meno bello ma che fedelmente andai a vedere , anche perché ne aveva addirittura curato la regia.

Auster raccontava l’America che amavamo , la sua bella faccia di intellettuale occhieggiava dalle copertine e te lo faceva sentire amico , un amico americano che ti raccontava con amore la sua città , il suo mondo.

Forse quel mondo di contraddizioni , di storie minori conteneva una immagine forte e quando si arrivava a New York , attraverso i suoi racconti ci sembrava di essere anche noi a casa , di essere parte di quella Grande mela e ci si illudeva che quella fosse l’America.

E’ sempre tanto triste quando muore uno scrittore importante , se ne va una voce forte e affascinante che avrebbe forse potuto raccontare qualcosa di diverso in questo attuale nostro divenire.

Forse con lui si chiude l’immagine amata della nostra america immaginata , mi fa paura l’immagine dell’america futura  , quella grande democrazia in balia di due vecchi che si contenderanno il potere in  una situazione che forse molti di noi non avrebbero mai immaginato diventasse possibile.

Un rischio reale

Un cittadino europeo mediamente acculturato , con sistematica abitudine alla lettura di un paio  di quotidiani fino a poco tempo fa poteva illudersi di avere una informazione equilibrata ma da un po’ di tempo questa sicurezza è crollata.

La netta sensazione che ogni notizia possa essere manipolata , che ogni foto racconti solo quello che si vuole fare vedere sta minando le basi della fiducia che il semplice cittadino riponeva nella propria capacità di decodificare il falso possibile dal falso sistematico nel quale siamo immersi da ogni tipo di informazione.

Se un cittadino/a che si credeva abbastanza capace di decodificare il vero dal falso cade nella trappola cosa può succedere ai tanti che  meno preparati credendo di informarsi  ricevano attraverso i mille canali oggi disponibili una realtà simulata  mostrata da parziali angolazioni , visioni distorte , informazioni manipolate cosi che la realtà non esiste più , esiste solo quello che i mezzi di informazione vogliono fare arrivare all’utente?

Non parliamo più di fake news , parliamo di realtà sottilmente aggirata e senza fare ricorso ad apocalittiche interferenze basate sull’intelligenza artificiale basta la distorta informazione generalizzata a provocare una confusione di informazioni che porta inevitabilmente alla sfiducia e di conseguenza alla incapacità di selezionare quanto di vero esiste in una notizia .

Basta una omissione verbale , un “si dice” da sconfessare a giro di posta , una foto da un angolo invece che da un altro e la realtà obbiettiva diventi un riscontro impossibile.

Tra due mesi si vota per il rinnovo del Parlamento europeo  e mi fa paura pensare che siamo nelle mani di chi ci dirà tutto e il contrario di tutto fino a fare di ogni elettore il terminale di bugie generalizzate il che provocherà sicuramente un disincanto e una sensazione di inutilità che porterà gli ex più acculturati a disertare le urne e questo sarà il risultato che potrà portare ad una nuova Europa minoritaria nel consenso ma non nei pericolosi risultati che potrebbero avverarsi.