da 1111 Lieder

 

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C’è un libro prezioso nel quale sono riportatati e tradotti quel bel numero di Lieder riportati nel titolo:

una specie di bibbia per gli amanti del genere che non hanno quella dimestichezza con la lingua tedesca necessaria per apprezzare appieno questo genere musicale da me tanto amato.

Lo ha scritto Erick Battaglia, credo il massimo conoscitore del genere nel nostro paese.

Ci ricorro spesso, anche per la pigrizia di cercare di tradurre in maniera corretta certe poesie non sempre facilmente traducibili.

Così ieri,cercando il testo di un Lied di Schubert: un bellisimo e dolcissimo breve Lied :der Jüngling an der Quelle…ripostato da una cara amica francese a ricordo di un bis incantevole di Kaufmann a Monaco ho avuto la curiositä di cercare i testi dell’Italieniches Liederbuch di Hugo Wolf.

Sono ben 46 e ho capito cantati a due voci…breve ricerca su YT ed ecco: Lucia Popp ed Hermann Prey al Musikverein nel1988…..

Un’ora e passa di musica bellissima ,non ho combinato più niente per tutto il pomeriggio!

Una serie ,si direbbe ,di “stornelli a dispetto”di anonimo e come al solito scopro di essere decisamente ignorante in materia.

Avevo un progetto di programma a Vienna per febbraio , penso proprio che cercherò di attuarlo anche grazie ad amici viennesi.

Una perla che mi ha fatto sorridere: nell’ultimo Lied sono citate tante località italiane …tra cui il bel porto di Ancona.

Se riuscirò ad andare a Vienna urge procurarsi bella stampa da regalare in duplice copia…..

 

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L’Adriana di Cilea

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La mia conoscenza della lirica nasce nella mia infanzia ed è una conoscenza di storie raccontate dalla mamma.

Queste storie nascevano quando il lunedì sera al concerto Martini e Rossi alla radio i cantanti di turno si esibivano in arie celebri delle opere amate in quegli anni.

Una di queste arie per soprano: “poveri fiori “ era tratta da un’opera oggi abbastanza desueta : l’Adriana Lecouvreur .

La mamma mi raccontava la storia triste di questa famosa attrice (vissuta davvero , diceva seria la mamma) innamorata di un nobile , tal Maurizio di Sassonia ( anche lui vissuto davvero ) spiegava la mamma-maestra Loforese e morta avvelenata da un mazzetto di fiori che una terribile gelosa rivale le aveva fatto arrivare in un cofanetto .

Storia da brividi , un feulletton che la mamma condiva accennando anche l’altra famosa aria dalla stessa opera “ io son l’umile ancella” che poi ho riascoltato anche in preziose incisioni callasiane.Mi piaceva quest’opera perché la protagonista era mia omonima , anche se poi poverina finiva davvero male.

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Questa storia insieme a quella del poeta francese Andrea Chénier era di quelle che spesso ritornavano con le famose arie negli altrettanto preziosi concerti del lunedì.Stranamente , adesso queste opere che non erano più di moda le ho ritrovate entrambe cantate dal mio amato tenore.Una qualche anno fa , ma esiste il bellissimo DVD della ROH ed è una di quelle realizzazioni inglesi di un’eleganza notevole.Una più recentemente sempre a Londra , poi ripresa , indubbiamente anche più bella a Monaco.Sono le opere del tempo di mia madre , ma sono talmente una parte di me da serbarne un giudizio totalmente acritico.

Sono opere perlopiù legate al verismo in musica , schifate dai giovani critici nuovi cultori magari del Barocco o del secondo Novecento .Sicuramente per cantarle ci vuole “ la canna” , cioè la grande voce del lirico spinto e i miei amici raffinati cercano magari di ritrovare altre vocalità , poi se si va al ROF ci si accorge che le voci rossiniane pure non ci sono più , ma si fa finta di niente.

Io ,memore dei racconti della mamma e sicura che il plot narrativo delle opere raccontate in famiglia resti il filo conduttore più forte per fare ritornare anche le giovani generazioni all’opera auspico un felice ritorno  al periodo vilipeso.La storia conta , eccome! Poi se a cantarla ci sono cantanti/attori come dico io sono certa che anche i giovani potranno ricredersi , non si butta via una bella fetta del nostro melodramma , basta ricominciare a raccontare….. le storie drammatiche e romanticissime dei nostri dimenticati autori , per esempio come Giordano , Cilea e Leoncavallo.

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Un regalo

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Ho riportato tra i ricordi di quest’estate musicale un CD particolare , regalo di un amico che mi ha regalato la voce di un altro amico .

Nei giorni del silenzio di mezz’agosto , tutto si ferma e con calma ascolto le esotiche melodie di Antonin Dvorak cantate da Pavol Breslik.

Sono Lieder lontani dal nostro gusto corrente , la lingua çeca è dolce , le melodie suggestive.

Ad un primo ascolto sono tutte molto simili anche se il programma si divide in tre parti : una prima si chiama Cipressi, la seconda Canzoni della notte e la terza Canzoni gitane.

 

Una melodia in particolare mi ha colpita , forse perché la linea melodica è più chiara alle mie orecchie ,fa parte della raccolta gitana ed è intitolata : Mia madre mi ha insegnato, credo di’ interpretare .

Partendo da questa musica forse più facile sono entrata lentamente in questo mondo di nebbie , di lontane pianure , di strade di fango.

 

La voce di Pavol è morbida come la lingua in cui canta , una lenta suggestione avvolge l’ascolto.

Ho capito che questo cd finirà in macchina , come il precedente di arie mozartiane , i dischi di Pavol sono piacevolissimo sottofondo alla guida , ma assolutamente questo non va letto come un valore riduttivo , solo che la bellezza in tutte le sue forme mi distende e mi accompagna con la calma raffinata di una voce bellissima.

PS. Il video del piccolo canto è sulla pagina Fb.

 

 

 

La grande abbuffata

 

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dopo un mese di musica , saltando qua e là per festival sono a casa . Per adesso un bello stop che forse avevo anche sognato ma che appena si realizza mi mette addosso una grande tristezza:
fortunato quel giovane amico che di uno stupendo hobby ne ha fatto il suo mestiere , io invece so che andrò in crisi di astinenza , per fortuna c’è Classica , ma essendo un canale “povero” ritrasmette in continuazione cose viste e riviste : Sembra la RAI !

Già sto guardando speranzosa i biglietti (pochi) già in mio possesso per i programmi futuri anche se sento incombere su di me il tic tac del tempo che fugge , l’ultimo compleanno è stato davvero pesante in questo senso.

Beata te mi dicono gli amici che comunque mi considerano completamente matta ,brava mi dicono le ex-amiche invidiose della mia vitalità , loro che hanno paura a prendere un treno o che temono di sfidare gli oscuri destini fututi prenotando un concerto ..per il mese prossimo.

 

Anche se il motore fu il bel bavarese riccioluto in realtà mi muovo per molte più cose che neppure lo riguardano , ormai la china pericolosa della operoinomane l’ho imboccata e vado giù rotolando fino a …?

quando riuscirò da sola a sollevare il mio trolley ed è già un buon programma.

 

Allo stato attuale mi sento come quel ragazzino che a scuola aveva diviso sul quaderno due colonne :CELANTI e MANCANTI , dove l’oscuro primo nome celava un neologismo per “ce l’ho.”l’altro era più facile da capire.

Ebbene io “ce l’ho” tante opere viste e riviste , mi mancano ancora tanti Janachek , Strauss , Schostakowic….e via elencando.

Mi manca il barocco , quasi completamente . sul belcanto invece sono abbastanza a posto direi.

 

Attraversata da invidia nera mi faccio elenchi futuri o meglio futuribili.

Sicuramente però non mi manca la Tosca , anche se cantata da ..lui……

credo che tutto sommmato siamo perlomeno in due a non poterne più.

 

Un incontro

 

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A Pesaro ho reincontrato una persona speciale , non posso dire un veccchio amico , perché lui assolutamente non è vecchio e in quanto all’amicizia si trattò di un breve felice periodo nel quale il teatro delle Muse di Ancona visse una splendida rinascita culturale per poi ripiombare in un abbandono che ha sicuramente molti colpevoli nella politica e nelle folli scelte populiste alle quali assisto con dolore.

La persona cara è Pierluigi Pizzi , Pigi per gli amici e molte volte ho potuto scambiare due chiacchiere con lui nelle belle serate in casa di amici .

Dobbiamo alla sua arte l’inaugurazione , dopo sessantadue anni ,del teatro cittadino . Il suo Idomeneo poi è stato anche fonte di guadagni per il teatro perché lo splendido allestimento è stato anche esportato con successo altrove .

Sua quell’Elegia per giovani amanti con il quale vincemmo il Premio Abbiati e soprattutto mi piace ricordare la sua splendida trilogia Da Ponte –Mozart , il cui Don Giovanni fu coprodotto con Macerata.

 

L’ho incontrato in occasione di un delizioso spettacolo rossiniano La pietra del paragone , dello spettacolo ho parlato altrove , ma non ho detto che alla fine tra i cantanti in passerella sfilava anche il vecchio ragazzo felice , dall’alto dei suoi eleganti ottantasei anni faceva la sua bella figura tra tutti i giovani cantanti .

 

Nel breve incontro abbiamo ricordato i fasti passati: nel suo Così fan tutte ci cantavano due giovanissimi Markus Werba e Paolo Fanale , da noi cantava un giovane Alex Esposito , qui ha debuttato Saimir Pirgu oggi nomi che leggo nelle locandine dei teatri di mezza Europa .

Abbiamo ricordato con un sospiro la breve e felice stagione anconitana . Poi , la riapertura tardiva , il nessun riconoscimento sul piano istituzionale hanno relegato il Teatro delle Muse in quella lirica minore alla quale il Ministero riserva ben miseri fondi .

Così Ancona è diventata una ridicola succursale del teatro Pergolesi di Jesi perché quello perlomeno ha il riconoscimento di Teatro di tradizione.

Sic transit….ho ancora la speranza di qualche breve incontro con questo affascinante giovane , magari in altre riprese , in altre raffinate riletture del raffinato giovane architetto ,scenografo , costumista e regista milanese.

 

 

 

 

 

 

Sulle Marche

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Macerata vista dall’alto sembra una chiocciola . Le strade strette si aggirano ad anello e culminano sulla Piazza dove , a segno di civiltà si fronteggiano il Palazzo del Governo e il bel teatro con la torre civica vicina il cui orologio scandisce un tempo lento , il colore del cotto è segno distintivo che rende tutto omogeneo .

I bei palazzi , le chiese ne attestano l’antica nobiltà di città che vanta anche una delle pià antiche Università d‘Italia.

Dagli spalti , verso il mare si stende la piana con i colli e i borghi vicini le fanno corona , vicina è la leopardiana Recanati .

Verso il monte sull’altro versante i monti sono azzurrini , come nei paesaggi dei pittori di scuola veneta che qui vennero ad abbellire le chiese.

Passegggiando per le piccole strade è la voce umana il suono che accompagna i passi , insieme al tubare delle colombe .

Appoggiato alle mura c’è lo Sferisterio che anima con il suo Festival estivo la sonnacchiosa provincia e che per l’occasione si riempie di un turismo insieme popolare e internazionale.

Una città civilissima con una forte personalità e un grande livello di vita.

Pesaro è una città sul mare , anche lei con il suo bel centro stretto di vie , di palazzi e di chiese che poi si apre attraverso una specie di quinta immaginaria verso la città balneare , una ultima propaggine della riviera romagnola .

Il regno della bicicletta e delle strade ordinate con i marciapiedi che hanno tutti il bel passaggio abbassato per favorire le persone disabili.

Una civiltà diversa , non meno preziosa di quella dell’entroterra , qui ha sede un prestigioso Conservatorio , qui si svolge uno dei più raffinati festival musicali d’Europa in omaggio al grande concittadino Gioacchino Rossini.

Pesaro vanta bellissimi negozi e una preziosa storica boutique fra le più raffinate d’Italia.

Si parlano due idiomi diversi : là un accento morbido , qua un accento pieno di esse più sibilato .

Difficile pensare che siano una stessa regione , ma sono due immagini per quanto diverse di grande cultura e civiltà.

In mezzo , praticamente equidistante la città che “per sua positura meriterebbe di essere costrutta tutta de oro massiccio” come scrisse un Patriarca di Aquileia.

Ancona però le sue bellezze naturali , la sua straordinaria forma a gomito , la sua caratteristica di essere due volte sul mare : a oriente e occidente, non sembra avere nessuna spinta ad essere una città colta e apprezzata come le vicine consorelle.

Ancona è un porto da cui ci si imbarca per la Grecia e la Croazia e offre ben poco o niente al turista frettoloso che passa .

Città mercantile che del mercante ha tutte le caratteristiche , prima fra tutte quella di piangersi addosso , di accontentarsi delle cose minute , praticamente di quello che passa il convento.

Un tempo , cercando di cucire per il FAI uno spettacolo che riguardasse i rapporti di Leopardi con Ancona non trovai praticamente nulla : era solo una stazione di posta per farsi mandare dei libri o farsi spedire del danaro .

Anche la sorella Paolina , venuta in visita da nobili cugine scrisse che non vedeva l’ora di tornare in città …a casa , a Recanati.

Ancona , un capoluogo di regione che è riuscita anche ad essere culturalmente una specie di succursale della vicina Jesi ,una specie di “cupio dissolvi “di cui l’anconitano sembra addirittura non accorgersi.

 

Considerazioni di una marchigiana di adozione , che poco hanno a che vedere con il tema principale del blog : la musica.

Solo apparentemente.

Il lFlorestano de noaltri

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Terzo e ultimo spettacolo del Festival . Un’altra ripresa : Torvaldo e Dorliska , 2006 , regia di Mario Martone.

Siamo dalle parti del Rossini semi-serio . Il testo trova le origini nel filone dell’amore coniugale a cui si avvicinô anche Beethoven per la sua unica opera , Fidelio .

In un improbabile e indefinito mondo nordico di castella la vicenda si snoda truce e cruenta per sciogliersi nell’inevitabile happy end.

Spettacolo romantico e classico nella iconografia che Martone ci racconta la storia con garbo ed eleganza . L’impianto scenico semplicissimi si avvale di molte incursioni tra il pubblico, con scale che scendono dai palchi, con botola carceraria a vista , tutto molto semplice ed a un tempo funzionale alla musica di un Rossini veloce nella stresura e nel suo periodo di grazia feconda.

Nel bosco ottocentesco che si apre sul ferrigno cancello appare fantastico nella ferrea armatura il Duca cattivo Nicola Alaimo in tutta la sua possanza , ad attenderlo il fido Giorgio , efficacissimo Carlo Lepore e la di lui sorella Raffaella Lupinacci.

La povera Dorliska arriva proprio nella tana del lupo cattivo e la preziosa vocalità di Salome Jicia le da la sua arte , infine Torvaldo Dmitry Korchak , buon ultimo agli ottimi mezzi rossininani ( e poi quanto mi piacciono questi tenori senza la pancia !)

Ultimo , ma non da meno Ormondo di Filippo Fontana che si prende anche un applauso a scena aperta per la perfetta caduta ..dal pero.

Dirige con garbo da par suo Francesco Lanzillotta l’Orchestra sinfonica Rossini coadiuvata dal Coro del Teatro della Fortuna di Fano , ma quanti bei cori abbiamo nelle Marche.

 

In una finalmente fresca Pesaro vivacissima anche di notte torno in albergo lentamente , qui si può mangiare tranquillamente anche a mezzanotte , una piadina non la si nega a nessuno.

La signora svedese alla mia destra mi saluta con un’arrivederci al prossimo anno , lo stesso la giapponese a sinistra. Il ROF è anche questo , un momento prezioso che ci viene ancora donato dal grande pesarese.

La pietra del paragone

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Ripresa di un allestimento del 2002 , ottima idea anche perché l’eterno ragazzo Pierluigi Pizzi é capace di raccontarci ancora , con piccoli aggiornamenti , una vicenda leggera , frivola e impalpabile con la grazia che accompagna la felicità creativa del grande Gioacchino Rossini comico.
Giovandosi di un impianto scenico elegante , una villa di campagna piena di arredi firmati e di design , si riconosco la lampada arco di Castiglioni , le poltrone Wassily di Breuer, Pizzi ci dice già all’apertura del sipario che siamo in un ambinte elegante e un pô vintage .
Vintage sono anche le strepitose toilettes delle tre signore , tutte vestite in abiti firmati Dior ,
Notevoli come le loro voci.
La fragile storia , un pretesto riempito di straordinaria musica dotato di un libretto spiritosissimo non ha la sottile cifra ambigua di Così fan tutte , siamo in un mondo fragile e superficiale , una Smania della villeggiatura resa perô da Pizzi piena di vero humor e di gaie trovate.
Coadiuvato da un cast di giovanissimi e validissimi attori cantanti che muovono con disinvoltura i panni dei loro personaggi sotto la bacchetta altrettanto felice di Daniele Rustioni direi che si tratta di uno spettacolo capolavoro e l’entusiasmo del pubblico lo ha dimostrato.

Raccontare tutte le gags sarebbe impresa vana tante sono le trovate , i tuffi in piscina ( vera) gli spogliarelli , i duelli finti , le telefonate ..quasi vere.
Doverosamente cito tutti , come si dice , in ordine di apparizione . Il conte Asdrubale : Gianluca Margheri , un bass – bariton dal ..fisico notevole ,l’amico fedele cavalier Giocondo Maxim Mironov ( lui la massima ovazione a scena aperta) il giornalista Macrobio , quanta attualità nell’ironico personaggio del giornalista ! Davide Luciano , il poetastro Pavuvio , spiritosissimo Paolo Bordogna .
Poi le vedove smaniose : la bella Clarice Aya Wakizono , le due comiche Flavia e Aspasia rispettivamnente Aurora Faggioli e Marina Monzô nonché il valente comprimario Fabrizio di William Corrô .
Il coro maschile del Ventidio Basso non è da meno , tutti concorrono alla felicità della realizzazione coadiuvati dalla prestazione professionale dell’Orchestra nazionale sinfonica della Rai.
Un bellissimo saggio di Alberto Zedda nel programma di sala oltre che un grato omaggio è la conferma di quanto amore e quanta competenza ci sia nel suo approfondimento del teatro rossiniano.
Sigillara , sigillara : spero proprio di no , questo é uno spettacolo fantastico che merita molte e molte riprese.

Atto primo . Le siége de Corinthe

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Red carpet nella brutta Adriatic Arena , spero sia l’ultimo anno qui.

L’opera , completa come nel 1826 , eroicamente diretta da un raffinato Roberto Abbado stoicamente bardato e orbato del braccio destro per un problema alla spalla , è eseguita integralmente con tutti i ballabili francesi. Ma volano i minuti come vola l’intera magnifica opera che è il Maometto II , piû l’Assedio di Corinto , qui nella versione integrale francese curata da Damien Colas .

Ai francesi piacevano i balletti e il buon Rossini li accontentava , lui che di musica in testa ne aveva da vendere e che piacevole leggera grazia in queste pagine integrali !

L’opera vola, letteralmente , non ho avuto un momento di calo di tensione e mi piace analizzarne anche i perché .

Non è che l’idea regista di Pedrissa fosse granché originale . la guerra per l’acqua l’avevamo gi vista recentemente anche  nel Nabucco a Macerata e le bottiglie di acqua galleggianti ( lî indice di inquinamento ) Pedrissa le aveva messe anche nel viaggio di Sigfrido sul Reno   Ma si sa , non si può essere sempre originali e poi questa Fura ha smesso da tempo di esserlo.

Perô i boccioni non danno fastidio , si combatte per qualcosa , anche se sappiamo che era per l’indipendenza dei greci dai turchi e la bellissima Ode di lord Byron ce lo racconta sulle suggestive pagine rossiniane.

Le voci sono tutte magnifiche , se vogliamo cercare il pelo nell’uovo non sono proprio tutte perfettamente rossiniane , ma il risultato è notevole lo stesso.

Mi ha impressionato il fantastico tenore Sergey Romanowsky , da tenere d’occhio lui è una rivelazione davvero.

Nino Machaidze , bellissima e sicura regge bene il ruolo di Pamyra , eccellente davvero anche l’altra donna : l’Ismene di Cecilia Molinari , giovane e davvero promettente ,oggi questi giovani belli e sicuri in scena mi fanno ancora sperare in un futuro per l’opera.

Luca Pisaroni ha dalla sua un bel fisico e presenza scenica , forse altri sarebbero stati ….piû rossiniani , ma tutto non si può avere .

Da citare tutti gli altri a cominciare da Hieros , Carlo Cigni , Cleomene John Irvin , Adraste Xabier Anduga e Iuri Samoilov Omar .

Un plauso all’Orchestra nazionale della Rai e una vera sorpresa il Coro del Ventidio Basso di Ascoli diretto dal maestro Giovanni Farina .

Divertente il coinvolgimento del pubblico sul grande inno patriottico di chiusura , ero in prima fila e avevo il terrore che mi tirassero su dalla sedia . Mi sono salvata per un pelo!

 

Intermezzo

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La tre giorni di Macerata è finita . Il tempo di svuotare il trolley e sto per ripartire per Pesaro.

Mi aspetta il Rossini Opera Festival , una intensa programmazione cominciata in primavera quando non sapevo che questa torrida estate avrebbe messo in ginocchio l’intero paese e molto anche me.

 

Pesaro è sul mare e forse il clima ,del resto già meno folle , mi permette di sperare in una sopravivenza meno rischiosa.

A differenza di molti amici ben più colti di me non mi preparo con ascolti utili ad un maggiore apprezzamento di quello che andrò a sentire .

Salvo una delle opere dal titolo curiosamente strano , delle altre due ho ricordi personali persi nel labirinto delle memorie.

Mi piace così, non devo fare dotte recensioni , il puro divertimento dell’ascolto è quello che cerco anche se non sempre lo trovo.

 

Riparto per la tre giorni pesarese senza grossi problemi di bagaglio , il mio trolley è come la valigia di Mary Poppins , si fa da solo.

Vecchie eleganze sempre riciclate e scarpe sempre più comode, il blog

riprende al ritorno.

 

A meno che l’urgenza di comunicare sia tanta non chiederò alla mia solerte nipote di postare ogni giorno-

Avrò tempo nei giorni morti di Ferragosto per raccontare l’esperienza rossiniana.

 

 

Una Butterfly neorealista

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Ad un tratto un bambino piccolo davvero , con i calzoncini corti e le calzette bianche , biondo come da copione è entrato correndo tra le braccia di una meravigliosa Cio Cio San ed io ho cominciato a piangere disperatamente .Ci voleva Maria José Siri con la sua perfetta arte scenica a farmi precipitare nell’emozione violenta di questa straordinaria Butterfly .

Era cominciata in modo normale , lo squallore del matrimonio fasullo, i marinai americani , le tante falene giapponesi che si aggiravano nella penombra dei bordelli di Nagasaki.

Tutto come sempre e il primo atto si era chiuso col duetto d’amore che guardavo poco e ascoltavo molto , il Pinkerton corpulento di   Palombi nonostante la grande voce non era proprio quel fior di yankee che si potrebbe sognare , ma già la direzione musicale , raffinata e fluida aveva impreziosito il grande duetto d’amore che chiude l’atto.

La Siri aveva gia dimostrato di avere affinato la sua sposa bambina rispetto alla rappresentazione scaligera , la sua farfalla aveva perso la fissità dei gesti da stereotipo della gheisha , era già piû vera , piu dignitosamente fiera e innocente . Il Console di Alberto Mastromarino consumato attore tratteggiva nei suoi ripetuti « badate , ella ci crede » , il controcanto realistico alla trionfalistica baldanza del cinico ufficiale americano.

 

All’apertura del secondo atto una figura triste appoggiata al proiettore di un cinema di periferia dalle povere sedie si rivelava essere la mesta Cio Cio San in poveri abiti scuri , come ugualmente poveri e scuri erano quelli della fida Suzuky priva del manierismo operistico consueto e più vicini a quelli di una pellicola realistica .

. Il contorno inquietante di ombre peccaminose e il volto triste di un fotogramma da melò di Bette Davis sullo schermo fisso completavano la sensazione di angosciosa premessa.

Poi nel canto doloroso ”  un bel di vedremo ”  passava sullo schermo una pellicola vuota e vecchia , nello sfondo accecante la figura dolente della protagonista si piegava sul proiettore nel dolore di un’attesa senza speranza .

Mai leziosa , perse le movenze un pò artificiose , con dignità e insieme candore la Siri ci ha offerto una perfetta interpretazione , forse la più straziante che abbia mai visto .

Il sogno americano sul coro a bocca chiusa mentre passano sullo schermo   le giravolte acquatiche di Ester Williams dietro la silhouette bianca nel suo abito di matrimonio della farfalla ferita é un vero colpo di genio della regia .

Ho seguito fino alla fine col cuore stretto e le lacrime che mi colavano copiose la triste storia che praticamente conoscevo a memoria ma non per questo riuscivo a fermare l’emozione .

Me l’avevano detto che era lo spettacolo più bello del festival , ma non credevo che una Butterfly mi potesse coinvolgere a quel punto .

Sarà , come mi ha detto modestamente la Siri in camerino , quando sono corsa ad abbracciarla alla fine , tutta colpa di Puccini perô è certo che questa Butterfly me la porterò nel cuore come un regalo prezioso e un ricordo straziante .

Giustamente sorridente Francesco Micheli mi ha ricordato che la rassegna era tutta un lacrimificio , ma voleva fare il cinico compiaciuto davanti alla mia emozione .

Mi sono divertita tanto signora mia! Ho pianto tanto …..certo che quel bambino era proprio da Oscar , anche nei saluti finali .

Macerata, l’Aida

 

 

IMG_0188Cominciai ad amare il capolavoro verdiano quando sfrondato di tutti gli orpelli , templi , palmizi e animali vari in scena lo sentii in forma di concerto diretto da Pappano a Roma .
Lo ricordavo mentre provavo lo stesso piacere di puro ascolto nello spettacolo messo in scena con la regia di Francesco Micheli che è la ripresa di quell’Aida di cui tanto si parlô due anni fa .
É uno spettacolo tutto sommato molto semplice e addirittura didascalico , la storia raccontata con le indicazioni dei nomi e con la grafica delle proiezioni diventa così spolpata quasi una forma semiscenica , in definitiva di nuovo è il predominio della melodia a risaltare .
Sembra uno spettacolo provocatorio , in realtà è molto tradizionale e perfettamente aderente a quella nuova ricerca della messinscena che privilegia l’ascolto alla pompa d’un tempo.
Non a caso si cita il ricordo all’inizio sul grande muro -laptop ( che acustica aggiunge la pedana !) e si proietta la storica foto dell’Aida del 1921 che inaugurò la nuova vita di questo spazio magico edificato per il gioco della palla-bracciale dai cento consorti ricordati nella facciata. Nel 2017 é intelligente fare l’Aida cosî.

Ottima compagnia di canto su cui svetta il sicuro Radames di Stefano La Colla che ci regala anche il raffinato diminuendo dell’aria di apertura « se quel guerrier io fossi « .
Gli é ugualmente valida partner anche l’Amneris di Anna Maria Chiuri che si permette anche di cantare sdraiata di spalle facendo comunque giungere la voce dalla dizione forte e chiara agli ascoltatori.
Forse l’Aida di Maria Pia Piscitelli é l’anello debole di questo prezioso triangolo . Non le manca niente , le note ci sono tutte , la dizione chiara ma non scatta l’applauso alla fine di «  patria mia » e un po’ me ne dispiace.
Ottimo il Re di Cristian Saitta , sicuro il Ramses di Giacomo Prestia , con qualche problema l’Amonasro di Stefano Mei sicuramente giû di forma.
Nel complesso il divertente spettacolo , orbato per un guasto tecnico di un particolare effetto che turbava il regista e che a mio avviso è stato risolto egregiamente era diretto da Riccardo Frizza , buon direttore che ha i suoi tempi ..preziosamente dilatati .
Orchestra , coro , banda cittadina in ottima forma . Divertenti le danze della compagnia Artemis danza e i costumi di Silvia Aymonino.