…povera donna

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La fragorosa risata che ha accolto ieri parte del discorso di Theresa May da parte di alcuni deputati liberaldemocratici sembrava piuttosto uscita da una gag degna dei Monty Python.

Liberatoria e sgangerata ha lasciato la povera Premier disorientata anche se indubbiamente bisogna dire che se l’è proprio cercata.

Il serissimo discorso della controllatissima premier era arrivato al punto dolente di annunciare la Brexit e in quel momento ha detto testualmente:

“ora più che mai il mondo ha bisogno   dei valori liberali e democratici dell’Europa”

Se non fosse vera e documentata dai video verrebbe veramene da pensare alla gag di uno spettacolo comico.

 

Povera donna…come canta Mrs.Quickly nel Falstaff, lei credeva di addolcire la pillola , è riuscita invece a scatenare una ilarità vera e direi quasi scomposta per un posto così serioso come deve sempre essere il Parlamento britannico.

Già avevo pensato a lei proprio come una povera donna nei momenti concitati dopo il terribile attacco terroristico della settimana scorsa .

Un impietoso reporter aveva inquadrato dall’altro la Premier che correva di qua e di là tra le macchine , sicuramente non sapeva proprio dove andare e vedere questa potente signora in tutta la sua insicurezza ( anche se momentanea ) mi aveva fatto scattare una molla di solidarietà e già allora mi ero detta “povera donna”….anzi me lo ero canticchiato tra me e me.

 

L’uscita della Gran Bretagna dalla Comunità europea è cosa ben triste e ben più importante di un mio modesto trafiletto sul blog , basta pensare che praticamente appena un po’ più della metà degli inglesi l’abbia voluta e che questa dissennata scelta potrebbe fare molto male a l’Europa intera mi angoscia molto .

Nel mondo ci troviamo a fare i conti con la pancia molle delle nostre nazioni democratiche , anche in America è successa più o meno la stessa cosa con la tragica elezione di Donald Trump , ma mi è sembrato che in fondo in quella risata liberatoria dei deputati inglesi ci fosse un auspicio , la speranza che mi fa dire “ una risata vi seppellirà”.

 

 

Mostra a Monaco

 

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Una bella mostra , come al solito a Monaco c’è sempre qualcosa di interessante da vedere . Alla Kunsthalle pittura spagnola del “siglo de oro ” . Peccato però che una omonima mostra a Genova fosse piena di Van Dijck che qui proprio non ci sono . In effetti era fiammingo , rigore assoluto , ma un po’ mi mancano i suoi favolosi ritratti . Qui molti Velasquez e Mourillo nonché El Greco che non mi è mai piaciuto tanto .

Ma la parte mirabile è rappresentata dalle sculture policrome veramente eccezionali .

 

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Un dotto documentario nella saletta cinema spiega che a fronte di un allontanamento dal reale verso un simbolismo religioso filtrato attraverso un’aspirazione estatica il reale rientra fortemente nella scultura policroma di stampo ugualmente religioso .

Questa è la parte della mostra più interessante , meno nota ai profani della cultura spagnola , il cui titolo recita Spaniens goldene Zeit .

Pittura e scultura , in cui la seconda è strepitosamente più interessante .

Civilmente ci permettono di fare le foto , ovviamente ohne flash ….così posso ricordarmi meglio le cose più belle e non quelle molto note che ho già incontrato qua e là nei musei per l’Europa.

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Sempre attraverso la saletta cinema si conosce anche il perché di molta pittura spagnola a Berlino . Nell ‘ ottocento un colto direttore di museo ha comprato in Spagna tantissima arte catalogando il tutto in preziosi Tagebuch che fanno tenerezza perché di sicuro non lucrava negli acquisti . Gente seria , questi tedeschi .

non conoscete amore…

 

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da tempo mi provengono strane”…. note di commento, parafrasando Chénier e tutte fanno riferimento alla meraviglia della splendida aria “ la mamma morta”.

Ma forse non molte persone giovani conoscono la sublime versione cantata dalla Callas e soprattutto non sanno che quella stessa aria per cinematografiche vie diverse è molto più vicina alle memoria recente .
Nel film Filadelfia , che peraltro prese l’Oscar per la migliore canzone , scritta da Bruce Springsting, Streets of Philadelphia, aveva nel momento culminate della sua colonna sonora il bellissimo ballo tra Tom Hencks e Antonio Banderas ( non ancora prigioniero del Mulino Barilla) i due innamorati che ballavano al suono del canto sublime della Callas nella “mamma morta “.

Procedendo poi , sempre in chiave cinematografica , un bellissimo film purtroppo poco visto e mal distribuito (era anche il canditato italiano agli Oscar ) dal titolo Io sono l’amore di un raffinatissimo autore cinematografico Luca Guadagnino si rifà proprio alla scena del film di Jonathan Demme.

 

Una elegante storia della Milano bene , girata nella Villa Necchi Campiglio in cui si matura una tragedia che nasce dalla scoperta di un amore fuori dalle regole di una straordinaria Twilda Swinton per un giovane ragazzo amico di suo figlio.

La scena in cui la protagonista decide il suo futuro si svolge in camera mentre alla televisione si proietta il film Filadelfia e ancora una volta le note struggenti si aprono in quel “ io sono l’amore “ che darà il titolo al film.

Cammino a scatole cinesi di una meravigliosa pagina di Umberto Giordano ,come a dire che spesso l’arte genera l’arte.

un nuovo Chénier per Kaufmann

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Philip Stöltz ha creato uno spettacolo bellissimo , ma curiosamente molto più bello di quando, avendolo visto in streaming ne avevo colto alcuni difetti che nella visione frontale si annullano con la gioia di una appagante e lussuosa messa in scena.

Andrea Chénier , l’opera tanto amata dai nostri padri , arriva sulle scene curiosamente dopo tanti anni di oblio ,addiritttura a Monaco per la prima volta !
Il motivo primo è che per affrontare il capolavoro verista occorre uno Chénier capace di affrontare l’impervia tessitura e oggi al mondo quel tenore c’è ed è quel prodigio della natura che si chiama Jonas Kaufmann , quando è in forma e quando gli piace cantare .

Chenier gli piace , si cala felicemente nel personaggio del poeta ribelle , lo fa suo nel canto ma anche e soprattutto in tutte le incredibili controscene da Actor studio che solo lui sa fare .
L’operaccia” feilletton” dalle arie incredibilmente popolari e disdegnata dai puristi del melodramma si avvale di uno strepitoso libretto : forse mai come in questa storia Luigi Illica è stato così felice , questo suo testo , praticamente una sceneggiatura cinematografica , ha dato a Giordano un plot perfetto nei tempi e nelle istanze di un socialismo ottocentesco tutto ancora da rivalutare.
La Rivoluzione francese ..a pane e brioches , come scrive il mio dotto amico melomane , in realtà a “libertà e patate”come canta il Sanculotto in scena.
Curiosamente in questi anni lontani dal grande successo popolare l’opera torna a poca distanza di tempo in due edizioni molto diverse tra di loro e che devono essere analizzate perché ci dicono molto di questa icona del verismo italiano .
Due anni fa la versione inglese di Mc Vicar : patinata e fedele . La rivoluzione vista ai tempi della Primula Rossa con i nobili eleganti , i rivoluzionari da cartolina . Elegantissima , con la frase di Robespierre che chiude il libretto riportata sul sipario e la carretta sullo sfondo dove si avviano oleograficamente i due amanti .

Chénier alla tedesca qui in Baviera : Stöltz ne ha dato una lettura crudele e realistica , con la divisione neanche tanto simbolica della vita nel sottosuolo in cui inizialmente vivono i poveri e poi diventa anche rifugio per tutte le forme di ribellioni al Terrore .
Qui non si salva nessuno , anche Bersi è una delatrice quando lascia semiaperta la botola per dare l’indicazione all’ Incroyable , la Rivoluzione come atto di perdizione delle coscienze .
Iperrealismo fino alla testa mozzata del poeta mostrata alle folle, poco resta del messaggio di libertà che comunque ha rappresentato storicamente .
Ma lo dice Gerard : “la rivoluzione i suoi figli divora” e i poeti spesso ne fanno le spese.
Per un momento ho pensato alla tragica fine di Garcia Lorca, non ci avevo mai riflettuto prima.

Ormai molto è stato scritto su questa edizione che tutto sommato è piaciuta tantissimo e anche sui siti dedicati le voci unanimi della critica hanno elogiato tutti.
Analizzando più concretamente direi che Anja Harteros al debutto nel ruolo mi conferma che le si addice di più un repertorio verdiano , comunque bravissima e bella anche se i suoi acuti verticali non hanno la morbidezza necessaria.
Luca Salsi possente baritono della grande scuola italiana , qui lo hanno considerato una rivelazione , perfetto nel ruolo e un po’ sacrificato nella sua grande aria ” nemico della patria ” dalla regia che lo fa cantare in alto mentre di sotto ..torturano Kaufmann.
Bravissimi tutti gli altri con dizione italiana corretta, salvo un ” ciorni ” della Contessa che peraltro poteva venire anche dalla corte d’Asburgo ….
Bellissimo cameo della straordinaria Elena Zilio , benediciamo i suoi settantacinque anni così ben portati!
Molto interessante la direzione musicale di Omer Meir Wellber , questo giovane direttore istraeliano ha bene interpretato la partitura , si vede che ama il Verismo . Lo avevo già notato nel Mefistofele di Boito.

Notevoli le scene scorrevoli a vista , un particolare apprezzamento per le luci straordinarie e perfette le masse corali dirette da Stellario Fagone.
Di Jonas ho già detto tutto all’inizio . Se lo merita tutto il titolo di miglior tenore del mondo attualmente . Sale vertiginoso e sicuro nelle impervie arie piene di acuti e di passaggi , il suo colore un po’ imbrunito dopo la pausa forzata è ancora se possibile più affascinante , e de visu , non è neanche tanto ingrassato .
Gli resta sempre un po’ forzato l’attacco di “ora soave” , ma solo uno come lui riesce a cantare ” si fui soldato ” sbattuto per terra come un cencio ….

Una piccola nota di costume per chiudere : nel foyer oltre al sanculotto che dstribuiva la Dichiarazione dei diritti dell’uomo si aggirava una signora francese vestita come la sua bandiera : rossa la gonna lunga , blu il corpetto, fichou bianco al collo .
Come a ribadire che i valori della Rivoluzione francese sono ancora patrimonio comune agli occidentali .
A quando una versione francese dello Chenier? Ne sarei molto curiosa …..

quattro stagioni

 

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La forsiythia ce l’ha fatta anche quest’anno . In ritardo rispetto alle foto gloriose della stessa pianta fotografata da una mia amica in Provenza è fiorita anche se meno abbondantemente pure a casa mia.

Praticamente esposta a nord , sul mare e a un tiro di bora da Trieste il vento lo riceve da quella bocca del Quarnaro che si apre alle steppe siberiane.

Ogni volta penso che sia un evento speciale e dimostra la stessa tenacia rinnovata nel campare a dispetto dei santi…..

E’ il segno vero della primavera in arrivo anche nel mio minuscolo giardino, l’evolversi naturale delle stagioni.

 

Quattro stagioni… e ogni volta mi accorgo che per me la primavera non è la stagione vincente anche perché nonostante la retorica della natura che rinasce a me la primavera mette un senso di nostalgia .

Da ragazzina ero innamorata dell’autunno , poi in età adulta , complici forse le Festività e soprattutto la neve che voleva dire sciare ho prediletto l’inverno.

Adesso , lo dico senza tentennamenti la mia stagione prediletta è l’estate , ho bisogno di sole evidentemente .Il caldo scalda le ossa dei non più giovani e anche se ormai catalogare le età come soltanto ai tempi dei miei genitori sembra impossibile ,direi che comunque un certo limite il giovanilismo ce l’ha.

Analizzare il perché della sottile nostalgia che mi pervade al rifiorire delle piante significa semplicemente contare il tempo che inesorabile passa e si consuma nel rinnovarsi.

 

Del resto quando giovane entusiasta giravo la regione in rappresentanza dell’Agis Scuola con i componenti dell’Orchesta Filarmonica Marchigiana e facevamo delle bellissime lezioni ascolto nelle scuole secondarie superiori con le Quattro Stagioni di Vivaldi il gradimento dei ragazzi era sempre vario e divertente.

Ricordo lo stupore dei giovani , spesso era la prima volta che ascoltavano musica classica, ma ricordo anche che la primavera non era quasi mai la stagione prediletta.

i ricordi si accumulano : dai concerti al bellissimo albergo di Monaco dove alloggiai un’unica volta in occasione della mostra di un amico pittore importante : Il Vier Jahreszeiten , le prime parole che imparai a leggere in tedesco , ma anche questo ricordo è molto antico , adesso il bellissimo albergo appartiene ad una importante catena e non si chiama più così.

Sono partita dalla pianta rifiorita in giardino per immergermi in un mare di ricordi ,scherzi della primavera .

Per chiudere in leggerezza non mi resta che consolarmi con la pizza Quattro stagioni , almeno lei il nome non lo ha cambiato anche se per me non è tanto più digeribile se mangiata la sera!

 

 

Del recitar cantando

 

 

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Torno sopra un argomento che per molti amanti della lirica è sicuramente marginale ma che a mio avviso fa oggi la differenza tra una messa in scena banale e una eccezionale..

Parlo di piccoli gesti , quelli che colpiscono il mio amico “critico/spinto” e che regalano quegli attimi indimenticabili che fanno dire : io c’era.

Lui fa riferimento ad un picccolo gesto sensuale della grande Anna ( che ha un grande difetto comunque ed è quello di imporre il marito ) e io invece faccio riferimento al contrario a quello che non si dovrebbe fare : in un minuscolo video amatoriale sulla morte di Violetta , magica lei , c’è un piccolo neo : Armando dà un’occhiata al Maestro ..” non sia mai cadessi fuori tempo” …e la frittata è fatta!

Per molti anni ho combattuto insegnando recitazione ai ragazzini e devo dire anche ottenendo pregievoli risultati , infattti ad alcuni ho rovinato la vita facendogli scegliere la ingrata via del palcoscenico.

La prima lezione era sempre la stessa . Urlo disumano da parte mia : fermi con la manina!

Trappola infernale , la mano . Quando parliamo , anche gesticolando , non facciamo mai quel gesto innaturale di tenere la mano a mò di elemosina , rovina qualunque battuta , anche una meravigliosa tirata sofoclea-

Rischio due : allargamento delle braccia a sproposito , se non li blocchi in tempo gli attori sembrano tutti dei vigili urbani che dirigono il traffico .

Quindi : ferma la mano , non allargare le braccia …e si ottengono risultati di incredibile realismo e phatos.

Se applicato alla lirica diventa un metodo impietoso di giudicare il livello di qualità attoriale ed ecco perché solo pochi , anzi pochissimi non cadono nella trappola gestuale.

Sono i cantanti preparati , quelli che non hanno paura della nota da emettere , quelli che hanno studiato tanto da permettersi di scordare che stanno cantando e recitando una parte.

Colpa grave la hanno anche i registi che non curano la recitazione , magari preoccupati di far marciare i cori in fila per due ( col resto di tre) e non perdono tempo a spiegare che non è piantandosi a gambe larghe e braccia spalancate che si ottiene un minimo di credibilità per quello che si canta ( e si dice).

Oggi poi che le riprese video sono così frequenti si aggiunge il rischio dell’occhiata al Maestro , inevitabile , ma che deve essere discreta ,impalpabile direi e solo alcuni bravi ci riescono quasi da farla sembrare distratta.

 

A questo punto i melomani veri , quelli per i quali conta la “canna” mi sommergeranno di insulti . So bene che una voce non la rimedia la buona recitazione , ma so anche che una voce senza una buona preparazione attoriale non diventerà mai una gran voce , non ci farà fremere sulle note anche troppo conosciute ma che tornano nuove e vere solo nella magia di un canto naturale e credibile.

Ovviamente non parlo mai in astratto , questa nota mi è venuta in mente mentre guardavo in televisione un faraginoso Don Carlo , pieno di colonne e stendardi ,di abiti rigorosamete belli che “ohibò ! sembrano usciti da un quadro” laddove la tragica storia di quel povero figlio di Filippo secondo , orbata pure dell’atto di Fontainebleau e nel quale i tre magici duetti d’amore si svolgono sempre il più lontano possibile l’uno dall’altra , i gesti di tutti sembrano essere dettati esclusivamente dall’esigenza di passeggiare in qua e in là per la scena.

Nel caso di specie si salvava solo un gran Filippo secondo , al secolo un notevole Ibdar Abdrazakov.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

su una conferenza

 

 

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Una piccola storia a fin di bene per raccontare quanto di positivo ci può essere nella frequentazione di quei social demonizzati da coloro che non sanno quanto possono essere piacevoli se usati bene.

La storia comincia quando un amico raffinato e gentile mi segnala una bella conferenza sui Meistersinger che stanno per essere ripresi alla Scala.

Ovviamente la conferenza era a Milano e non avrei mai potuto accedervi .

Qui comincia la catena divertente :

l’amico Uno mi dice di chiedere l’amicizia a un suo amico che sicuramente ha la registrazione della conferenza.

l’amico Due , della cui amicizia in realtà già godevo , si dichiara subito disponibile a inviarmi il file che però è un po’ pesante e a questo punto coinvolge un amico Tre che mi manda la mail con un sistema che non conoscevo e che permette di inviare files pesanti .

Ed ecco che due giorni dopo nella posta ho il file : felicemente , come se fossi a Milano ascolto alla mia scrivania la bella e interessante conferenza .

Passo due ore piacevoli di ascolto e mi pare di essere lì , tra quei dotti signori appassionati wagneriani che forse non incontrerò mai , ma che mi hanno regalato un ascolto di cui non avrei potuto godere . Potenza della rete!

 

Qui però parte la seconda parte del mio pensiero : In realtà la conferenza mi racconta ben poco di nuovo o che non sapessi già: ho ascoltato e visto i Maestri Cantori tante volte ( da quella classica fiorentina con le casette di Norimberga cinquecentesche , a quella fantasiosa salisburghese fino a quella per me azzeccatissima di Monaco lo scorso anno) e tutte le argomentazioni possibili sulla identificazione di Wagner in Sachs , oppure sulla sua identificazione in Walter Van Stolzig sono possibili e praticabili .

Si tratta di un’opera bellissima , un miracolo musicale continuo in cui fra l’altro per l’unica volta Wagner usa una preziosa forma di quintetto ( lui che disdegnava il canto all’italiana e che è uno dei momenti magici dell’opera del quale il dotto conferenziere non ha fatto cenno ) e io l’ho sempre ascoltata divertendomi tutte le cinque ore senza avere mai un momento di caduta nell’ascolto.

Capisco Daniele Gatti quando dichiara che si diverte a dirigerla.

Dove invece mi fermo e me ne dispiace è quando i musicologi cominciano a citare le straordinarie figure musicali wagneriane .

Il mio è un ascolto profano , da dilettante ,diciamo addirittura da ignorante .

Non sarò mai in grado di spegare tecnicamente il Tristan-accord , ma so che è la magica porta musicale che apre il Tristano e non saprò mai molto di più dell’Amen di Dresda ,ma lo riconosco con un brivido di piacere nel preludio del Parsifal.

Devo concludere che forse è bene che le belle conferenze io le ascolti da lontano , non sono all’altezza di partecipare di persona.

…di mimose

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Le mimose stanno diventando delle palline secche e scure , quelle del mio alberello si sono rinsecchite anche per il forte vento . La festa ( o meglio la celebrazione) per la donna è finita .

Non a caso l’otto marzo una mia cara amica mi ha segnalato un articolo sulle poche vincenti eroine della lirica e questo mi ha portato a riflettere che il modo di raccontare la storia delle donne  anche nello stretto ambito del melodramma  ha subito una notevole variazione di costume.

Molti anni fa uscì un interessante saggio , oggi introvabile , di due autrici francesi il cui titolo è “ L’opera lirica o la disfatta delle donne“.

La facile carrellata sulle morte di coltello , di tisi , di veleno o addirittura di tuffo da Castelsantangelo era prevedibile .

La valutazione imprevedibile era che davano per vincente una sola eroina , una sola donna libera : Carmen e che invece oggi sarebbe più giusto considerare semplicemente come l’ennesima vittima di un femminicidio .

Oggi le donne sono tutte libere di scegliersi la vita , o almeno lo credono , salvo poi inciampare su un coltello come la sigaraia di Siviglia .

Più interessante invece pensare alle poche donne che in modo o nell’altro anche in un mondo lontano in cui era bello morire per amore si trovino facendo una anche se pure breve carrellata quelle “toste” , quelle dure, quelle che nel tempo hanno superato lo stereotipo romantico dell’eroina infelice.

e the winner is ….Fidelio , la mia Leonora preferita , anche se per combattere si vestiva da maschio e forse ( ma Beethoven non lo dice chiaro ) c’era stata anche una piccola liason lesbo con Marzeline: il fine giustifica il mezzo.

Grande salto temporale e arriviamo alla Marescialla del Cavaliere della rosa , quella signora abbastanza libera da coltivarsi il toyboy e capace anche di fare il passo indietro davanti all’avanzare del tempo , quando non è facile combattere ad armi pari con la giovinetta vezzosa che le porta via il giocattolo.

Tra le due ci metto la bella accopppiata delle due donne delle Nozze . Sia Susanna che la Contessa dominano i destini della vita , ma a pensarci bene anche Florabella e Fiodiligi non scherzano in quanto a libertà .  C’è da dire che quel conoscitore del mondo che fu Lorenzo Da Ponte riusciva a servire su un piatto d’argento delle belle storie di libertà femminile al suo grande sodale Amadeus.

Donne forti anche le scespiriane comari di Wilson e ne ha saputo qualcosa quel vecchio trombone di Falstaff : il vecchio Verdi era ormai abbastanza smaliziato del mondo e il suo sodale Boito con lui tanto da far cantare “ bocca baciata non perde ventura”….al giovane innamorato , come dire che le “pure sì come gli angeli “erano passate di moda già all’inizio del secolo breve.

E nel secolo breve che seguitava comunque a raccontare di donne ammazzate e infelici ( soprattutto all’Est ) si staglia l’ultima forte eroina forte della mia carrellata : Minnie , la ragazza con la pistola ; capace anche di barare a pocker per tenersi il suo bellimbusto di turno.

Guardo le mimose scurite : la festa è passata , le donne in marcia hanno sicuramente tanta strada da fare ,meglio pensare positivo e guardare a quelle che non hanno ceduto , quelle dure come le mimose indurite e scurite del dieci di marzo.

 

 

 

 

 

 

 

Il signor Keuner

 

 

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A cosa lavora ? Fu chiesto al signor Keuner. il signor Keuner rispose . Sto faticando : preparo il mio prossimo errore .

Questo è uno dei lapidari pensieri del signor Keuner , alter ego di Bertold Brecht tratto dal libro dei suoi aforismi , pensieri e poesie che lui ha collezionato per tutta la vita e che si trovano raccolti in un prezioso libriccino.

Io li ho scoperti da poco e in realtà perché dovendo fare la traduzione dal tedesco di uno dei suoi più famosi pensieri : Se i pescecani fossero uomini ci dovevo fare un esercizio sulle forme verbali ipotetiche.

Lì ho comperati tradotti perché non amo ,da cattiva studente , usare il vocabolario e in questo modo ho meglio apprezzato questa straordinaria scoperta.

Così ho saputo che Moni Ovadia ne aveva fatto un suo spettacolo e che anche Dario Fo si era cimentato a leggerne alcuni nelle sue serate teatrali .

Come dire che non si vive mai abbastanza per arrivare alla conoscenza di tanta cultura che circola intorno a noi.

Probabilmente la mia ignoranza non è condivisa da molti miei lettori , forse sono l’unica che non conosceva questo testo , resta il fatto che ci sono arrivata per vie traverse , nel caso specifico perché la mia curiosità circa la lingua tedesca ( che comunque non riuscirò mai a padroneggiare correttamente ) mi ha fatto incontrare un testo straordinario di cui prima ignoravo addiritttura l’esistenza.

 

Leggo in questi giorni di un segnale preoccupante lanciato dalle Università italiane laddove arrivano studenti addirittura con scarse capacità linguistiche , ragazzi che non sanno scrivere correttamente una frase semplice.

Terrificanti abissi d’ignoranza ci vengono mostrati dalla televisione nei giochi a quiz dove persone apparentemente civili non sanno le date della storia , i luoghi della geografia e neppure le semplici correlazioni tra date che dovrebbero portare ,se non altro per esclusione , la risposta esatta a quesiti spesso di cultura di base.

 

Se io non conoscevo il signor Keuner forse vivevo lo stesso , mi sarebbe mancato un piacere culturale in più , ma questi ragazzi che non sanno la differenza tra omosessuale e eterosessuale , che non hanno idea cosa significhi il suffragio universale che cittadini saranno ?

Non vorrei essere catastrofica , ma mi sembra che siamo precipitati in un medioevo culturale cupissimo di cui sicuramente una colpa grave ha la nostra scuola di base . Sono convinta che facendo le stesse domande ai loro nonni contadini molti dei quesiti che restano misteriosi alle giovani generazioni sarebbero state meno oscure alle genezioni precedenti.

Credo che si debba tornare a rivedere l’educazione elementare , bisognerebbe cominciare anche riprendendo in mano addirittura i programmi della scuola primaria.

CARUSO

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Era il 1986 e per uno strano motivo ( una causa in tribunale ) avevo accompagnato mio marito a Sanremo.

Alla reception dell’albergo mi affiancò un uomo che mi parve di riconoscere , era Gianni Morandi in una fase della sua vita di cantante non di grande successo , poi vido altri cantanti più o meno noti aggirarsi intorno e domandai al portiere perché fossero in tanti a stare lì in una stagione lontana dal Festival.

Mi rispose che all’Ariston si stava svolgendo il Premio Tenco e allora non avendo altro da fare, la sera ci avviammo , mio marito ed io verso il “tempio della canzone italiana “ , quel teatro Ariston che oltre a tutto è un’enorme cinema incastrato tra due case lungo il Corso , neanche un vero teatro di quelli classici.

Entrando ci aveva colpito la grandezza , inimmaginabile dall’esterno e ridendo ci siamo seduti , noi amanti della lirica e comunque abituati ad altro genere di musica in questo luogo per noi improbabile per seguire una serata di musica diversa , con tanti cantautori che poi si rivelò bellissima e con un gran finale a sorpresa .

Di quel finale mi sono ricordata ieri sera mentre guardavo alla televisione un film che ricordava la morte di Lucio Dalla , cinque anni fa.

Perché quella lontana sera del 21 novembre del 1986 ho assistito alla prima presentazione di un autentico capolavoro , cantata dal suo autore che si accompagnava da solo al pianoforte , così almeno mi pare di ricordare

Gli anni passati sono tanti , ma l’emozione di sentire per la prima volta Caruso non l’ho mai dimenticata .

Mi si può chiedere perché mi ricordi la data precisa e la risposta banale è che io serbo le mie agende da un numero incredibile di anni e la ricerca è stata abbastanza facile.

Poi ho fatto qualche ricerca sul web e ho trovato tutte le conferme che cercavo .

Quella sera a Sanremo ho veramente sentito con una emozione che ritrovo ogni volta che la ascolto un vero capolavoro , un miracolo musicale oserei dire senza tempo , e mi piace ricordarlo qui sul mio piccolo blog.

 

Qualche anno dopo sono andata a Sorrento , in quell’Hotel Vittoria dove Caruso trascorreva gli ultimi giorni della sua vita e la storia dello strano amore per la giovine ragazza che tanto aveva colpito Lucio Dalla fu raccontata anche a noi , pare facesse parte del colore locale del bellissimo albergo , con quella terrazza “là dove il mare luccica e tira forte il vento”.

Gli strani casi della vita: Caruso morì in una camera d’albergo , nello stesso modo cinque anni fa anche Lucio Dalla moriva improvvisamente in una camera d’albergo e le note intramontabili del suo capolavoro restano a ricordare l’analogia di una antica vicenda , quasi il ripetersi di una parabola di vita dalle strane coincidenze.