Valigie e bagagli

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Non tutte le nevrosi si assomigliano , e soprattutto non sono sempre le stesse nel corso degli anni.Ora la preoccupazione più grande non è fare la valigia o meglio cosa metterci dentro , il discorso riguarda solo ovviamente quando si viaggia in aereo. Adesso il problema è quanto più pesare anche una valigia piccolissima e soprattutto ricordarsi di non metterci   tutte quelle cose utili ( una volta ) come la limetta per le unghie , le forbicine , la lacca spry che possono essere considerate pericolosi oggetti ad uso terroristico. Per assurdo si viaggia molto più spartanamente di una volta eliminando non solo i cosiddetti oggetti contundenti , ma anche il necessario.stor_14545231_55560

Via le pantofole , la vestaglia , quella bella giacca nuova che starebbe tanto bene con i soliti pantaloni neri d’ordinanza. Così la valigia fonisce per assomigliare sempre di più a quella di Mary Poppins , si fa praticamente da sola , con le stesse cose ogni volta , per non rischiare. Resisto alla tentazione di farmi quell’orribile oggetto che serve per leggere su Tablet  e mi ostino a portarmi il libro vero , anche se qualche volta ne soppeso il peso più che la qualità del testo. Mi ricordo un tempo felice in cui mi portavo dietro anche un piccolo ferro da stiro…cose da raccontare ai nipoti come nelle fiabe. Anche il programma del concerto o dell’opera che vado a sentire lo compro solo se è leggero, aboliti tutti i piccoli pensieri souvenir  da portare al ritorno , il mondo si è tanto ristretto , direi quasi in maniera monacale. Anche guardandomi intorno negli aeroporti vedo trolley sempre piu piccoli, zaini piccolissimi e ultraleggeri e soprattutto bisogna ricordarsi di avere le tasche abbastanza capaci per tutte le carte d’imbarco. I frequent-flyers li riconosci dal passo leggero e dal vestito scurissimo , spesso nero . Sono i manager veloci nel loro abito d’ordinanza buono per ogni riunione all’arrivo. Unico divertimento osservare il mondo povero e colorato di chi parte con tanto bagaglio incerottato , legato, lucchettato. Sono i poveri di una volta : non hanno più la valigia con lo spago , ma si riconoscono ancora per l’enormità dei loro valigioni, si capisce che dentro ci portano una parte di vita senza ritorno.hqdefault

Poi se la permanenza in un paese diventa più lunga c’è il problema di portarne due di valigie e allora diventa acrobatico portarle sulle scale mobili ( non dappertutto ci sono gli ascensori) , ci si sente Ben Hur sulla biga romana e soprattutto si hanno attimi di terrore sulle scale mobili in picchiata  verso gli abissi dei terminal. Ecco perché ogni volta che penso di ripartire comincio a programmare nevroticamente anche un mese prima : ma cosa mi porto questa volta? Sapendo già che la divisa d’ordinanza sarà uguale a quella dell’ultima volta , della volta precedente , cioè la stessa di sempre. Qualche volta penso quanto era bello fare quei bei viaggi in carrozza o sulle navi che duravano mesi…

 

 

Made in Heimat

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Strano festeggiare il 25 aprile in Germania , sono in aeroporto e sullo schermo del bar vicino al gate di partenza sfilano le immagini del Capo  dello Stato alle Fosse Ardeatine , come non pensare al “nemico” che parlava questa lingua che amo e che cerco vanamente di imparare ad una età in cui è già molto se mi ricordo la mia ! Eppure questa Germania che non rimuove  , ma che accetta di misurarsi col suo passato molto di più di quanto facciamo noi col nostro , ugualmente pesante , seguita a piacermi molto. Difficile spiegare se non con la cultura , attraverso la Storia , quella con la maiuscola alcuni passaggi importanti del passato per molti motivii analogo a quello che e stato la formazione di uno stato unitario , sia qui che in Italia . Con le dovute differenze Italia e Germania sono due stati giovani , le contraddizioni e gli errori ( e gli orrori ) ci accomunano.11154960_1219452688081905_7233415482845707164_o

Ma una foto che ho scattato al  Viktualienmarkt  stamani mi ha dato una chiave di lettura . Un chiosco che vende souvenir in tutte le lingue  sovrastato da “Made in Heimat” parola intraducibile che da un senso quasi sacrale all’idea di patria. Forse  ancora noi abbiamo troppe heimat, troppe piccole patrie per sentirci veramente uniti. E questa è una piccola riflessione aroportuale , la butto là , alla riflessione  di chi mi segue. Riflessione frivola : Jonas  Kaufmann sa fare l’espresso con l’abilità di un consumato barista italico ! Mi piacciono le sue mani tozze che si muovono con lievità mentre pressa e pareggia il caffé nel misurino e seguita a parlare disinvoltamente nel suo elegante tedesco colto. Si può amare un cantante per la sua voce unica e mirabile , per la sua arte scenica  e diciamolo pure , per il suo sguardo che incanta. Ebbene , io da oggi lo amo anche per come sa fare  il caffè vero ( anche se io a mia onta perenne  bevo piu volentieri quella sbobba del caffe Americano ).

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Ultima riflessione , leggo con enorme interesse , ma in molti casi è piu giusto dire rileggo Giovanni Verga . La curiosità mi era venuta  a Salisburgo quando ho letto nel corposo programma del Festival Cavalleria rusticana…in inglese. Cerco a casa , ma i miei figli forse si sono venduti i classici studiati al classico e non trovo piu neppure i Malavoglia  ( magari hanno una costola diversa e nel disordine organico dei miei troppi libri non li trovo ). Vado allora in libreria e mi ricompro  il Verga di tutti i racconti. Sconvolgenti e attualissimi , basta in lieve spostamento e ritrovo tutte le miserie del mondo , tutte le vite perdute raccontate con una secchezza ed una forza che non mi ricordavo assolutamente possedessero. Se i giovani sapessero , se i vecchi potessero , mi piacerebbe pero che magari spinti da una curiosità banale qualche ragazzo si leggesse Rosso Malpelo. Un capolavoro assoluto.

Jonas al Gasteig

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Monaco in una giornata d’ aprile quasi estiva sembra una città italiana , ma come se gli avessero passato sopra una spolverata : pulita , tirata a lucido , ordinata e piena  di tanti ragazzi giovani. Mi aspetta il concerto di Jonas al Gasteig, ma faccio in tempo a fare una passeggiata in questa città che come al solito mi mette allegria. L’auditorium di  Monaco è brutto e imponente e so anche che non ha una buona acustica. Il pubblico di questo concerto é particolare , mi aspettavo le folle femminili plaudenti e deliranti , invece mi trovo un pubblico molto familiare con tante coppie di anziani che sorrideranno felici all’attacco di ogni pezzo musicale. Ci sono ovviamente le amiche fedelissime , le facce note e festanti  che ritrovo sempre ad ogni appuntamento e che scatteranno foto molto piû belle delle mie , anzi non capisco perché io mi ostini a farne , visto che le mie al solito sono modestissime.

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Proprietà di Katherine Youn, che ringrazio – Owned by Katerine Youn, many thanks

Del concerto che dire? Una volta tanto mi sento decisamente estranea anche alla gioia che respiro intorno. Dal grande programma BMW alle auto d’epoca sul terrazzo dell’Auditorium, dalla Munchener Rundfunkorchestrer , ( quanti volti noti e tanti capelli bianchi! ) , tutto mi sembra un pô datato. Una specie di concerto di Capodanno in salsa bavarese. Kaufmann arriva nella sua solita forma smagliante e prima di cominciare a cantare fa un disinvolto discorso , anche questo molto familiare sui problemi dell’amplificazione , del fatto che ci sia questa bella e grande orchestra , che insomma lui è contento di essere lì e buon divertimento. Sull’acustica poi mi chiederà il suo amico/biografo che se ne starà con i fonici al lavoro alla consolle . In effetti hanno fatto un gran bel lavoro e la voce corre fluida , anche grazie  per l’intelligente collaborazione con l’altro ottimo partner / direttore Jochen Rieder che saprà calibrare intelligentemente la musica adattandola garbatamente alla voce del suo amico. Il programma prevede pezzi classici di Lehar , Kalmann, Stolz e Spoliansky . Jonas attacca con i pezzi più noti , quelli che sono stati i suoi bis più classici , a gola spiegata , ovviamente col Du bist die welt fur mich che manda in delirio il suo pubblico di casa.

Prima e seconda parte  scorrono senza molti brividi da parte mia , ma c’e il solito momento magico ed é quello dei bis . Kaufmann si é serbato  le canzoni piu “recitate” quelle piû intime per il finale tra i fiori e i pacchettini regalo : in crescendo da grande attore sgrana , Ingerdwo,  es muss  was winderbares  sein e soprattutto Das lied ist aus recitandola con ironia e strappando addirittura un applauso a metà , questa volta anche da parte mia.Glielo dirô anche perché grazie alla generosità del suo amico vado a salutarlo dopo il concerto , quel bis che era un classico di Marlene Dietrich lo ha fatto suo , con la solita intelligenza che lo contraddistingue sempre.11169772_1219445574749283_4388826162857401040_o

Scopro anche il mistero della brutta cravatta , in realtà è italiana e mi mostra fiero l’etichetta sul retro! Contornato da un piccolo gruppo di amici sale a cena ai piani alti del bruttissimo edificio. Arrivederci a Berlino.

Io torno in albergo in una serata caldissima , tra ciclisti pericolosamente sfreccianti e tutto sommato contenta di avere partecipato a questo evento nazional-popolare , inizialmente un po’ da estranea e alla fine contagiata dall’allegria di tutti.

Mediterraneo

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Non sempre riesco a commentare sul mio piccolo blog  le cose terribili che avvengono tanto vicino a noi. Mi prende una forma di pudore che rasenta l’afasia. Quel mare che conosco tanto bene perché per molti anni ho navigato in barca anche nelle acque  del canale di Sicilia, quel mare bellissimo del quale ho ricordi duri e ricordi teneri, come quando all’alba di un giorno di calma piatta al largo di Filicudi vidi emergere dall’acqua una tenerissima balenottera che aveva attaccato il piccolo che stava allattando, come quando una notte di vento scorrendo sotto la Sciarra di fuoco vedevo lo Stromboli gettarsi in mare con lingue  infernali, ebbene quel mare oggi mi rimanda solo immagini di cadaveri gonfi di povere persone che non avevano mai visto il mare nelle lunghe traversate del deserto, persone come noi che non sapevano quanto dura potesse essere quella traversata magari raccontata come cosa semplice per pagarsi la libertà.

https://youtu.be/aYH9feja0ck

Non so davvero come riusciranno, se ci riusciranno mai, i governi europei  a fermare questa mattanza continua, io so solo che non riesco neanche più a guardare quelle immagini tanto consuete da diventare pericolosamente quasi normali. Io vorrei potere riguardare il Mediterraneo come l’ho conosciuto.Un mare bellissimo e difficile che lega, non divide  le sue sponde, che deve ritornare quella culla di civiltà di tutti i popoli che vi si affacciano  e non solo. Con diversi nomi si mangia lo stesso pane bagnato raffermo mischiato a pomodori, basilico, cipolle. Si chiama panzanella  e panbagnà: ha nomi arabi, croati, greci, turchi. Mettetevi davvero intorno ad un tavolo e fermate questa carneficina, se è vero, come temo sia vero, che un milione di disperati si accalca sulle coste della Libia in attesa di fuggire da guerre, fame e terrorismo, se è vero come è vero che dobbiamo noi europei dare una risposta questo  momento è arrivato.

Ogni gesto che farete sarà utile, fermate questo traffico di morte, fermate il mercato delle povere vite affidate al destino di un mare  bellissimo  sul quale tra un po’ traverseremo da una sponda all’altra camminando su quello che potrebbe diventare un sentiero formato da cadaveri.

 

Mia madre

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Dopo il primo commento molto emotivo e a caldo sul film di Nanni Moretti Mia madre cerco di riprendere in mano le mie sensazioni per analizzare meglio questo che sicuramente è uno dei migliori film di un regista che ho sempre seguito fino dagli esordi di Io sono un autarchico. Praticamente il  suo raccontare la vita attraverso i  film ha accompagnato anche gli eventi della mia vita culminata anche nell’avere filmato  proprio nella città dove vivo la storia di un lutto terribile nel film La stanza del figlio. Nella mia vicenda personale avevo vissuto quei momenti e mi era stato difficile anche solo riuscire ad andare a vedere quel film. Poi le altre pellicole si sono dipanate raccontando di sé, ma anche di me attraverso le sue storie, le sue profezie, le sue condanne.

Quindi ero andata a vedere Mia madre relativamente tranquilla, io sono già una madre abbastanza anziana da trovare parallelismi con la storia del film, sono una nonna di tanti nipoti e a suo tempo ho vissuto il vuoto della mancanza dei miei genitori: di una madre insegnante in particolare, i cui allievi venivano a raccontarci la  sua umanità dopo la sua scomparsa. Mi credevo quindi  corazzata e particolarmente preparata, ma poi Moretti con i suoi momenti di genio è riuscito a farmi stare tanto male  con l’inquadratura di per sé quasi banale degli scatoloni di libri nel corridoio che  è stata come una  pugnalata al cuore a da lì non mi sono più ripresa. Sarà che quando mi aggiro per casa fra tutte le mie stanze piene di libri qualche domanda per forza me la pongo.

La semplicissima e sconvolgente e bellissima battuta finale della straordinaria Giulia Lazzarini non è bastata a farmi ricomporre. Lacrimante sono uscita veloce per non farmi vedere dagli amici che comunque ho incontrato e ho visto anche nelle loro espressioni lo stesso sgomento e la stessa partecipazione emotiva che avevo provato io. Non so se questo film così intimo e straziante riceverà dei premi. Non mi interessa, come non credo che interessi anche all’autore. Lui aveva la necessità di raccontare e lo ha fatto con la maestra e il pudore di un grande maestro: con questo film Moretti entra nell’olimpo dei grandi registi del passato, secco e asciutto  Mia madre si colloca accanto ai capolavori di grandi maestri come Bresson e Bergman.

I microfoni di Colonia

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Di cosa parliamo oggi? Ovviamente dei microfoni che non hanno funzionato a Colonia, gravissimo evento sullo scacchiere internazionale. Certo che la tournée del caro Kaufmann non è cominciata nel migliore dei modi, probabilmente anche perché un cantante d’opera non è così bene attrezzato come un qualunque rocker di periferia con casse da sballo e Tir al seguito pieni di attrezzeria acustica. Quindi lui e il suo direttore/ amico prima se ne vanno contenti alla partita poi con l’orchestra della radio bavarese vanno a Colonia sereni e non sanno che le orecchie della gente ormai sono mal tarate sul suono naturale della voce umana. Il disco Du bist die Welt fur mich è entrato nelle graduatore in Germania e credo anche in Austria, ma nelle orecchie della gente è entrato quel suono lì, quello del disco, bello patinato, da mettere a palla nell’impianto auto della macchina. Cosa che peraltro faccio anch’io quando mi voglio rilassare, ma ben diverso è il suono dentro un Auditorium bello grande come mi pare di avere visto dalle foto essere quello magnifico di Colonia.248137-45073I36570

Il nostro eroe cantava e il pubblico, o parte del medesimo, ha cominciato a rumoreggiare…perché non arrivava la voce oltre le prime file.Sgomento e imbarazzo, cito le fonti della stampa locale e poi ahinoi esce anche un articolo velenoso di cronaca che di cronaca ne ha poca , ma che parla del bel “donnaiolo” e allora le vestali di tutto il mondo si sono unite nella difesa d’ufficio del cantante, magari mescolando questioni di vita privata neanche poi tanto vere a mio avviso. In effetti perché prendersela con lui se i microfoni erano tarati male, forse sarebbe stato più logico prendersela un po’ anche col direttore/amico che certe cose le doveva curare anche lui un po’ di più. Ma tant’è. La serie dei concerti proseguirà con successo, spero che la lezione l’abbiano capita .

Ma signore mie, anche se qualche sconsiderato offende il divino tenore non c’è bisogno di scendere in piazza lacerandosi le vesti. Peggio sarebbe stata una stecca a Salisburgo dove mi pare che invece il caro giovine abbia incantato le folle presenti e non solo.L’invidia è una brutta bestia e sicuramente non ne sono esenti anche i giornalisti che scrivono di musica , spesso si tratta di gente che magari avrebbe voluto un’intervista in più che gli è stata negata per mancanza di tempo oppure una maggiore attenzione alle loro personcine perché è risaputo che lo startenor piace a tutti e tre i sessi.

 

Della febbre e di Ninive

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Due giorni di febbre, un banale raffreddore probabilmente causato da questi primi giorni di caldo insieme ad un po’ di stress per le molte emozioni provate la scorsa settimana. Dopo i meravigliosi quattro giorni di Salisburgo  e una emozionante cerimonia di laurea del mio primo nipote a Milano finalmente a casa  a riprendere tutte le cose banali che la vita di ogni giorno ci impone. Poi il crollo, evidentemente non mi piace ammettere che l’età avanza e che certi momenti di surmenage poi un po’ li pago. Pazienza, ho anche più tempo per leggere  le notizie del mondo. Ma, forse, proprio a causa della depressione causata dalla febbre non è che il mondo mi piaccia proprio in questo momento.

Generalmente tendo a dire che non c’è mai niente di nuovo sotto il sole, che i fatti anche orribili ci sono sempre stati solo che adesso con la grande diffusione mediatica si ha un effetto moltiplicatore che rende il mondo più piccolo e anche più malato. Ma una notizia fra tutte, forse la meno grave sul lato umano, non c’è sangue per terra in quel video  mi ha fatto veramente ripensare  alla mia volutamente ottimistica e tenace volontà di vedere sempre con distaccato realismo ogni bruttura che ci circonda. Mi riferisco al video che ci mostra, se non avessimo voluto credere a quanto ci avevano comunicato i folli del Califfato, alla distruzione del sito archeologico di Ninive.

https://www.youtube.com/watch?v=Nizbkppblds

Nimrud, l’antica Ninive, non c’è più. La Mesopotamia, la terra tra i due fiumi, ci spiegavano in anni lontani alle lezioni di storia , si cominciava a studiare da lì e mi piaceva pensare a tutte le fantastiche storie di quei popoli: i sumeri , gli assiri , i persiani, quelle cifre a.C. così perse nella polvere dei secoli e sapere che in paesi moderni, con altri nomi, quelle rovine c’erano ancora, che quelle storie che cominciavamo a studiare e poi a leggere nella Bibbia erano ancora protette dalla sabbia del deserto. Non si era ancora scoperto il nero veleno che giaceva sotto quei deserti poveri, il petrolio, che poi ci avrebbe portato all’assurdo dei giorni nostri. Non so mai se siano peggiori i sunniti o gli sciti, mi è sempre parsa l’origine di una strana faida di famiglia (la famiglia di Maometto intendo) e non sono in grado di analizzare  storicamente gli eventi. So solo che appena ho potuto sono andata in quei posti ed un po’ li ho visitati, mi sono fermata a trecento kilometri da Bagdad perché c’era la guerra dell’Iraq, ricordo i cavalli di frisia e già ci consideravamo dei pazzi a girare da quelle parti. Ricordo anche di avere pensato, ci ritornerò presto. Invece quel presto non si è più realizzato.

Nel frattempo sono successe tante cose: ho perduto una dolce sorella architetto che aveva fatto la sua bellissima tesi di laurea insieme a due studenti afgani sui Budda della valle di Bamian e forse pensare che lei non avrebbe visto quello scempio mi è stato quasi un pensiero consolatorio. Ho perduto il compagno di viaggio di una vita con il quale mi avventuravo nei paesi tra il Tigri e l’Eufrate che tanto amavo, non mi comprerò più un tappeto logoro vicino allo splendido hammam di Aleppo, e ora so che non potrò neanche più sognare di andare a vedere le rovine di Ninive. L’ISIS non lo sa, nella crudeltà delle immagini terribili dei suoi massacri, delle sue folli esecuzioni di poveri ostaggi occidentali non distrugge l’Occidente, distrugge la propria storia, la storia del mondo da cui tutti nasciamo e se quei poveri cretini occidentali che scelgono questa violenta strada di distruzione avessero studiato un po’ di più a scuola forse non diventerebbero il boia dal buon accento inglese borghese che conosciamo e  non sanno che distruggendo le memoria non distruggono la storia e la cultura che ci ha generati.

Distruggono solo se stessi e saranno seppelliti dalla polvere dei secoli che loro incoscientemente hanno sollevato.

La difficile arte della messa in scena

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Appena messo piede a casa, al ritorno dal lungo viaggio che mi ha riportato da Salisburgo ad Ancona la prima cosa che ho fatto è stata quella di accertarmi che la registrazione di Sky avesse funzionato. La registrazione c’era e allora, tirato un respiro di sollievo  e praticamente senza neanche levarmi le scarpe, mi sono messa a guardare convinta che il regista avesse aggiunto qualcosa nella versione video. Grande invece è stata la delusione e ho capito ancora una volta la perplessità di Patrice Chereau quando diceva che l’opera ha solo una prospettiva frontale. In questo caso poi la ripartizione in sei schermi  che avrebbe dovuto agevolare la regia  invece ha provocato una diminuzione sia  di effetti che di pathos e mi è mancato quel brivido sottile che si prova anche quando si vede un’opera talmente nota da poterne recitare a memoria l’intero  libretto. Sono mancati appunto quegli effetti  frontali che facendo  alzare e abbassare i vari elementi della ripartizione seguendo la trama musicale aggiungevano valide suggestioni, mi sono mancati gli effetti dei bellissimi primi piani che inseguivano i personaggi nella sezione  in alto della scena. Questo è particolarmente evidente in Cavalleria.10460552_1208028285891012_3306653229326708038_n

A teatro, mentre nella parte bassa si accalcava il coro della piazza la camera seguiva Turiddu nel suo imbarazzato cercare tra la folla, praticamente non lo si vedeva in scena, ma lo si seguiva in primo piano nella parte altra degli schermi con uno dei più begli effetti di questo per altri versi per me criticatissimo e abbastanza sbagliato allestimento. Anche il canto della siciliana ”fuori scena” reso di spalle aveva maggiore impatto nella lontananza scenica mentre tutti quei passaggi tra una sezione ed un’altra di palcoscenico rallentavano la carica emotiva. Nei Pagliacci questo è leggermente meno evidente, anche se sicuramente la ripresa video non ha reso appieno lo straniamento di “ridi pagliaccio” fuori contesto scenico e la mancanza di tutta la controscena di Canio ai lati del teatrino, ovviamente per necessaria scelta narrativa, ha fatto sì che per chi ha visto lo spettacolo in televisione  abbia  perso molto di tutti questi particolari. Per assurdo il regista “cinematografico“ ha fallito proprio dove credeva di creare un valore aggiunto al plot narrativo.

Quasi per una nemesi l’opera si è ripresa  tutta la sua carica emotiva laddove era tutta visibile, una volta  di più ho capito che una forma d’arte che nasce in un certo modo non trova nessun giovamento da percorsi scenici alternativi. Fermo restando che avere la possibilità per tutti di godere di così per altri versi molto elitarie esperienze è sempre un modo in più per mantenere viva la tradizione lirica. Evviva dunque lo streaming, il DVD, la ripresa video. Ma pensare che questa possa avere un valore aggiunto è stata una balzana idea di un regista del quale  ho letto nel grande programma del Festival  avere avuto successo anche con video pop e rock…forse quelli gli vengono meglio.

Cavalleria & Pagliacci – Atto secondo

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Riprendo ad analizzare le due opere. A freddo, se ci riesco. Ovviamente inizio da Cavalleria cercando di ricostruire obbiettivamente perch  la ritengo così sbagliata nella messinscena. Premetto di essere sempre favorevole ad ogni inszenierung innovativa , ma in questo caso non ce n’era proprio bisogno. Il testo asciutto  dal ritmo scandito cinematograficamente ha in se tutti gli elementi di una scenografia rigidamente disposta: la piazza, la chiesa, l’osteria. Si possono variare gli elementi ma resta il fatto che anche spogliata da tutti gli stereotipi folklorici, le ultime messinscene puntano generalmente su colori più spenti, su una Sicilia più povera, più in la non si può andare. Se hanno comunque funzionato alcuni momenti cinematografici come l’aria iniziale cantata di spalle nella cameretta da parte di Turiddu, con un pensiero affettuoso all’amica Caterina che gli ha fatto da vocal coach per cui lui ha finito con ” mancu ce trasu ” perfettamente siculo e la scena della sigaretta alla finestra tutta la parte sottostante, affollata oltremisura al proscenio  con una chiesa più piccola di una cappella cimiteriale era veramente irritante. L’allestimento salisburghese ha avuto in Jonas Kaufmann non solo un divo della scena ma anche un grande attore che recita anche quando non canta ed ha fatto del suo compare Turiddu un personaggio spavaldo che porta in sè il suo destino di perdente.11086121_1205929179434256_605136983_o

Mai focoso, pieno di un fascino giovane e scattante riesce ad interpretare calandosi molti anni  (che poi riprenderà con l’aggiunta ) nei venti minuti scarsi che lo separano dai Pagliacci. Ottima Annalisa Stroppa, una Lola credibile e dall’emissione chiara, Ambrogio Maestri è quel grande cantante che conosciamo, diciamo che come Compar Alfio risulta un po’ sovrabbondante. Santuzza, Liudmyla Monastyrska, a parte il solito italiese dell’est, non ha il registro drammatico del ruolo, oltretutto non mi era piaciuta neanche nel Requiem. Mamma  Lucia. Stefania Toczyska, ingessata nel ruolo fisso diventa anche di difficile classificazione. Il coro, nonostante gli sforzi di tante prove, seguita a cantare in una strana lingua indefinita, per non parlare del classico urlo finale, qui affidato a due vocine giovani non riesce neppure minimamente a ricreare quel brivido ineludibile che ogni volta mi procura. Ho pensato con nostalgia alla corista del Coro Bellini specializzata nell’urlo drammaticissimo della chiusa. Di Thielemann ho già detto nel pezzo di ieri, grande direttore, ma quest’opera non è proprio nelle sue corde. Tutto diventa molto più giusto nei Pagliacci, a parte l’incipit di meta-teatro con Kaufmann che passeggia allegramente col sangue della ferita di compare Turiddu, una scivolata registica che tende a sminuire in un colpo tutta la portata drammatica dell’opera appena conclusa. Pazienza, già dal prologo molto ben cantato dal baritono greco Dimitri Platanias mentre i servi di scena avanzano con le scenografie mi fa capire che l’allestimento e ben centrato. Anche l’orchestra ha sonorità più asciutte, lo stesso coro, che comunque seguita a cantare in arabo, aiutato dal coro dei bambini, funziona decisamente meglio. Nedda, deliziosa Maria Agresta ha la vocalità per il ruolo, di Tonio ho già detto, Alessio Arduini, uno dei giovani cantanti italiani che tengo d’occhio da tempo ha il perfetto phisique du role, necessario per renderlo credibile in contrapposizione a Kaufmann, si giova anche di una vocalita’ ampia e sicura.11096956_1205479676145873_2054514585_n

Del mostro sacro che dire. Si è appesantito, ingobbito, ingrossato, il suo sguardo velato di crudeltà animale fa veramente paura. Il suo “Ridi pagliaccio” da manuale credo resterà nella storia del melodramma, tutta la parte finale, dal momento della trasformazione di scena fino alla “Commedia è finita” aiutato dai primi piani che la sezione di schermo ci offre fa stare inchiodati gli spettatori alle poltrone, comunque carissime, ma che a questo punto meritano tutta la spesa sostenuta. E’ già Otello, non gli resta che vestirne gli abiti, il personaggio c’è già tutto. In questo caso il regista ha svolto decisamente bene il suo lavoro, quando non  si vogliono troppo complicare le cose intellettualmente e si ha a disposizione un tale Kaufmann il Verismo non chiede altro che di essere ricostruito fedelmente.

Cavalleria & Pagliacci

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E arrivò il giorno tanto atteso. Il tempo è matto: nevica e c’è il sole. Freddo cane. Non sapendo cosa fare, tanto per non sbagliare, la mattina presto torno in Duomo e così, oltre a scaldarmi mi godo un’ altro solennissimo corteo, tutti in costume con stendardi e tanti di quei preti, canonici, chierici e chierichetti da sfidare la Messa grande di Pasqua e sapendo che oggi non è neppure messa di precetto sono un po’ stupita. Qui mi arrendo, ma capisco che è una ricorrenza del Capitolo e mi basta. Aspetto fino al Vangelo, mi piace la storia dei due uomini che camminano la sera verso Emmaus con quel tale che li affianca e che loro non riconoscono se non alla fine della cena. Per tutti i miei lettori non credenti dico che è una bellissima pagina letteraria, ma noi cattolici sappiamo così poco della nostra religione! Mi arrendo all’omelia e rientro in albergo. Trovo i miei amici francesi, resto con loro girovagando fino alle due e poi, ovviamente vedo arrivare allegramente il solito Jonas che sembra essere sempre dove passo io, giuro che è un caso! Lui entra veloce a teatro e io comincio a pensare alla seconda parte della giornata.961450_1206495809377593_452364745_n

Ho molto studiato tutto quello che dottamente è scritto sul librone del Festival a proposito del Verismo (lì chiamato realismo) e sul perché’ dell’allestimento para-cinematografico. Interessante citazione di Thomas Mann e sul fatto che lui cita come fonte possibile di lettura del cinema come arte  (1926) un libro “ohne worte” del pittore Masereel, una graphic-novel antelitteram.

Riprendo a scrivere dopo teatro. Completamente presa dai Pagliacci, un’emozione difficilmente ripetibile. La messa in scena a sei quadri funziona, anche se soprattutto funzionano i terribili primi piani di Kaufmann, e il suo Ridi pagliaccio con la mano che nervosamente apre e chiude il coltello a serramanico, la sua fissità dello sguardo, il corpo teso nella terribile gelosia e anche la sua risata  veramente satanica fanno veramente paura. Non altrimenti posso dire della Cavalleria, in cui il ragazzo fa un personaggio a parte in una messa in scena decisamente sbagliata. Lo avevo già detto prima di vederla e confermo la mia prima impressione. Il regista ha cercato tutta una serie di luoghi comuni su una Sicilia di maniera, con i picciotti   della mafia che non c’entrano  niente, le pistole fuori testo in un ambiente che deriva dalla pittura espressionista tedesca. Una madre sempre di spalle alla quale un povero Turiddu disperato chiede ..un bacio, un bacio ancora e la maitresse non batte ciglio, salvo poi cantare la sua frase davanti ad una porta chiusa. Il povero Jonas , notevole nei primi piani dell’inizio quando ancora il suo atteggiamento allegro e spavaldo funziona  piano piano si perde in una regia volutamente provocatoria e senza il senso culturale del testo che lo costringe a fare l’ubriaco con strane bottiglie che sembrano uscite da una pièce di Bertold Brecht.11079180_1206496312710876_1716075660_n

Thielemann   ha ben diretto Pagliacci  ma ha fatto una Cavalleria col freno a mano tirato…forse avrebbe dovuto sentire l’intermezzo diretto da Von Karajan…che effettivamente è tutta un’altra cosa. Ho avuto la grande gioia di  potere andare nel backstage grazie ad una deliziosa nuova amica e ho potuto raccontare a Jonas che quei delitti ancora esistono eccome in Italia e si chiamano femminicidi. Ha sgranato gli occhioni incredulo, ma stava ancora recitando, ne sono sicura. Per oggi basta, domani  tornerò ancora a parlare di questa bellissima serata, analizzerò a freddo, se ci riesco. Adesso riesco solo a pensare che per fortuna forse ho già a casa la registrazione perché purtroppo non ci sono altre repliche. Questi Pagliacci, anzi questo pagliaccio è senza rivali.

Concerto di Pasqua

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Giorno di Pasqua. Comincia col sole, freddo come in montagna intorno infatti c’e la neve, per ora anche un raggio di sole. Vado al Duomo per la Messa grande, mi presento molto per tempo infatti sto seduta e anche la mia amica Brigitte arriva presto cosi ci godiamo una messe cantata a livelli notevoli: la Nelsonmesse di Haydn, mai sentita, ma da ricercare perché notevole, ad alto livello, non a caso siamo a Salisburgo anche l’orchestra e il coro che poi riceveranno il pubblico ringraziamento da parte del vescovo. Molto orgogliosa del mio tedesco perché riesco a capire le letture (vabbè era un gioco facile, sapevo quello che leggevano), ma ho anche capito abbastanza bene anche l’omelia, il che vuol dire che le mie modeste cognizioni germaniche stanno migliorando.Romantica passeggiata al cimitero antico della chiesa di San Sebastiano. Ci sono sepolti il padre, la sorella e la moglie di Mozart, cerchiamo invano la  tomba di Haydn ma evidentemente mi hanno informato male, c’è invece la tomba di Paracelso. Poi piccola sosta al solito Hotel Sacher, spuntino per riscaldarci un po’ perché fa veramente freddo. Ce lo confermano i radi fiocchi di neve che svolazzano sui nostri vestiti. Vantaggio del freddo è la rarefazione dei turisti  che si aggirano rattrappiti nei loro piumini allacciati e comunque seguitano a non guardare se non attraverso ogni sorta di obbiettivo.

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Concerto di Pasqua: primo concerto per pianoforte e orchestra di Tchaikovsky con un virtuoso Arcadi Volodos e un grandissimo Daniele Gatti. Quando la musica è miele e l’animo vola felice, conosco ogni movimento credo da sempre e non mi accorgo che ad un tratto è finito! Guardo l’orologio stupita…quaranta minuti volati in un attimo…poi il bis. Sadicamente Volodos non ci dice cosa suonerà, un pianissimo, lentissimo dolce e non so assolutamente cosa sia…spero di vedere qualche faccia da musicista ma il pubblico impellicciato e impomatato di questo festival mi dà poche speranze. Se ero a casa lo avrei saputo. Nella mia testa ho sentito delle strane risonanze delle Variazioni Goldberg ma capisco di essere lontano, poi un decrepito vicino mi dice Scriabin, un altro invece (che poi si dormirà tutta la seconda parte ) mi dice “nobody know” e io che mi ero anche preparata la domandina in tedesco non riesco a sciogliere il mistero. Seconda parte : decima sinfonia di Shostakovich, anche stavolta il tempo mi vola. Gatti che vedo molto vicino di profilo se la canta praticamente tutta ed ha anche una mano sinistra che in alcuni momenti mi ricorda addirittura il mitico Claudio. L’orchestra si conferma di una compattezza e potenza di suono oggi veramente a vertici assoluti in ogni sua sezione, con una curiosità: una giovane donna alle percussioni, bravissima. Ma sono talmente tutti cosi bravi che alla fine Gatti abbraccia commosso stringendolo forte il primo violino, che ricambia l’abbraccio vistosamente commosso anche lui. Il pubblico invece non arriva alla sufficienza, un autentico cronicario. Raramente si riesce ad avere un fortissimo di tosse così ben strutturato in ogni cambio di tempo sinfonico!

Tornando in albergo sotto pioggerellina leggera penso che comunque mi sono regalata una bella Pasqua.

Giorno di pioggia a Salisburgo

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Piove su una Salisburgo piena di ombrelli, mattinata solitaria con doppio museo der Moderne. Il più nuovo bellissima architettura, dentro quelle robe che ora passano per arte, cioè quintalate di foto tutte uguali, allestimenti neon vari, video che trasmettono persone parlanti (se ti metti la cuffia). Secondo Museo der Moderne, gentile l’addetto che mi ha capito e mi ha offerto il secondo con l’aggiunta di due euro al Rupertinum con una mostra piccola ma strepitosa sull’espressionismo tedesco. Kokoshka, due disegni di Schele da urlo, Makart ed altri. Ovviamente senza catalogo e non si può fotografare. Ho rubato un paio di cose sul telefonino rischiando la fucilazione. A mezzogiorno vado a quella che era annunciata come prova d’orchestra omaggio per i membership: ovvero Peter und der Wolf, Pierino e il lupo per i poveri cristi stranieri (la più parte). Spiega Thielemann che l’orchestra è stanca perché la sera prima ha suonato Verdi…no comment. La voce recitante, una donna, leggo poi che è la figlia di Von Karajan, giustifica il perché. Poi con l’amica francese al Sacher a mangiare molto originalmente una Sachertorte con vista su Kaufmann che carinamente quando esce ci viene pure a salutare prima di calarsi un berretto col paraorecchi che gli assicura di sicuro l’anonimato per strada.

Photo: Bayreuther Festspiele

Photo: Bayreuther Festspiele

Concerto della sera, dirige Thielemann  la prima parte concerto per violino e orchestra di Shostakovich con un violino solista straordinario Nikolaj Znaider che suona un Guarneri del Gesù. Purtroppo forse perché’ era per me un primo ascolto non ho potuto apprezzarlo appieno. Sicuramente il violinista un autentico virtuoso, ma nella mia ignoranza musicale ho molto di più goduto la sua bravura in uno stupendo bis bachiano. Seconda parte la Patetica di Tchaikovsky e qui mi sono innamorata di Thielemann e della sua meravigliosa Sachische Staatskapelle Dresden. L’ha diretta con nitore, senza cedere ai manierismi cui vanno soggetti molti direttori che si buttano sul coté romantico dell’autore. Con secchezza direi, invece quasi pulendola dai manierismi ci ha dato una interpretazione mirabile e l’orchestra perfetta in ogni sezione, ma a me hanno fatto veramente impressione i fiati, era veramente una di quelle grandi orchestre che poi quando si ascoltano orchestre minori ci fanno l’effetto della musica in famiglia. Fine serata con amici francesi più un’amica bavarese che però parla anche italiano così mi sento meno ridicola in Austria a parlare solo in francese!

Buona Pasqua a tutti!