C’è Zeta e Zeta

Quella Z sui carri armati russi diventata in breve tempo un segno distintivo di violenza e di morte nei confronti del popolo ucraino richiama un ben altro significato della lettera Zeta , un ricordo vivissimo di un bellissimo film di Costas Gavras “Zède “( Z ) , con un brutto sottottitolo italiano ( l’orgia del potere ).

Film franco-algerino , Oscar per il miglior film straniero , premiato  anche a  Cannes , musiche di Theodorakis ,  con un  grandissimo cast in cui brillavano Yves Montand e JeanLuis Trintignan raccontava la storia dell’omicidio di un deputato socialista al tempo della dittatura dei colonnelli in Grecia.

La lettera Zeta del titolo si rifaceva all’alfabeto greco e in quel contesto significava la vita : egli vive .

Lo vidi a Parigi nel ’69 , un anno per me molto difficile e mi è rimasto nel cuore per quella speranza di vittoria sull’oscurantismo di una dittatura che chiudeva la bocca ai coraggiosi combattenti  per la libertà.

L’omicidio ( nascosto sotto un falso incidente d’auto ) di Lambrakis , la  ricerca della verità da parte di un giornalista testardo poco hanno a che vedere con questo uso del segno distintivo che oggi sta a segnare in modo esattamente contrario “ quell’orgia del potere” oggi in mano ad un cinico  dittatore cui  tutti abbiamo consentito di consolidare un nuovo impero russo basato sui bisogni di quanti , e siamo tanti in Europa, dipendono dal gas sovietico .

Non c’è idealismo in quella Zeta attuale , c’è solo il segno di una sopraffazione del potente contro il più debole , c’è il sogno megalomane della ricostruzione di una grande Russia .

Come una grande beffa storica , quella Zeta contro una dittatura fascista oggi viene riproposta in maniera speculare e contraria.

Ci pensino i nostalgici dell’Unione sovietica , oggi il fascismo sta proprio laddove si credeva morto per sempre .

In nome di una democrazia sempre difficile a realizzarsi ma che resta sempre il modo migliore per stare dalla parte giusta della Storia.

Un film dimenticato

Capita una domenica pomeriggio , giocando col telecomando su Prime video e ad un tratto leggo di un titolo sconosciuto con un  un sommario banale : Sonnenschnein ( storia di una famiglia ebraica in Ungheria) , ma la regia è di Istvàn Szabò, qualcosa mi dice , anche se poi non ricordo di averlo notato sugli schermi nel lontano 1999.

Un filmone di più di due ore , con Ralph Fiennes ( al tempo bellissimo) che  partendo dallo shtetl del bisnonno e interpretando ii ruolo del protagonista in tre generazioni  arriva alla rivolta ungherese del 1956.

Dal giovane che studia e che per diventare giudice si cambia anche il cognome , fedele all’Imperatore fino alla fine ,supera il periodo comunista , diventa schermitore ( ci vince pure le Olimpiadi del ’36 col nome di Adam Sors ) e per essere accettato si converte pure al cristianesimo  e poi muore ad Auschwitz fedele alla propria identità nazionale. Si arriva all’ultima generazione , ancora comunismo , restaurazione , comunismo, solo la nonna che attraverso la sua macchina fotografica vede il “vero” ne conforta le varie crisi identitarie.

Il film finisce quando il protagonista riprende il suo nome e la sua identità negata e avanza da solo verso un avvenire ….che si spera migliore.

Alla fine , il film non è certamente un capolavoro ,ma certo ci consente di ripassare tanta storia europea e tristemente mi porta all’Ungheria di oggi e il nome di Orban mi si stampa in testa come un lampo.

Faccio un’indagine : a suo tempo il film ebbe molti premi , la colonna sonora era di Maurice Jarre e per inciso , tra i tanti interpreti c’è un bellissimo cameo di  William Hurt nel ruolo dell’intellettuale comunista ebreo che muore vittima dell’antisionismo imperante da sempre in quel paese.

Bellissima la frase del padre : “a noi ebrei non conviene salire molto in alto , è sempre pericoloso farsi troppo notare”. 

Dai Cento consorti a Turandot

Una serata conviviale in un club di servizi , di quelli che hanno nello statuto che si parli di tutto fuorchè di politica eppure raramente ho trovato come nella bellissima conferenza della colta autrice di un piccolo prezioso libro che racconta la storia della nascita e della vita dello Sferisterio di Macerata tanta politica vera , intesa nel senso più genuino di interesse , curiosità e vocazione della polis.

Affascinante affabulatrice la garbata scrittrice ci ha raccontato come nello Stato della Chiesa in un tempo lontano sia stato possibile tanto fermento culturale ( lo stesso che ha prodotto un numero di teatri condominiali enorme rispetto alla povertà della popolazione ) quasi una forte risposta laica che racconta una realtà carbonara , piena di fremiti innovatori .

Il piccolo prezioso libro scritto da Lucia Tancredi si intitola semplicemente Lo Sferisterio di Macerata e l’avventura dei Cento Consorti.

Lo si legge tutto d’un fiato , godendo delle tante citazioni storiche che partono da tanto lontano , dall’importanza che il gioco della palla aveva anche in epoca romana  fino ad arrivare a raccontarci le strane coincidenze che fecero nascere a distanza di pochi colli della bellissima cornice di colline della Marca classica sia Giacomo Leopardi sia il suo eroe  del gioco della palla Carlo Didimi  e sia quell’architetto Ireneo Aleardi che di questo monumento fu l’artefice maggiore .

Passava in quei giorni la cometa di Halley e i cento consorti ( che poi proprio cento non erano , ma era più carino scrivere cos)ì si firmarono sul frontespizio dell’originalissimo monumento

L’oratrice ha intrattenuto una platea attenta e silente  che non ha rischiato l’abbiocco post-prandium , rischio sempre presente in queste dotte occasioni.

Onore al merito al LionClub di Ancona che ha organizzato la serata che è poi finita in gloria con un prezioso inserto della ZDF , la tv tedesca che ci ha raccontato , giusto nell’anno centenario della nascita, anche la serie di prestazioni fantastiche che Franco Corelli regalò al pubblico marchigiano in quegli splendidi anni 70.

Come si dice in questi casi “io c’era” e mi ricordo le bellissima straniante Carmen in cui Corelli cantava in francese e il coro rispondeva in italiano , nonché la preziosa testimonianza di Birgit Nielsen , la possente Turandot di quegli anni lontani .

Il bellissimo Corelli rispondeva da par suo “ gli enigmi sono tre , una è la vita!

Da troppi pochi giorni ho nelle oreccchie il diverso modo di cantare Turandot che ho tanto apprezzato all’Auditorium di Santa Cecilia a Roma.

Alla fine il Presidente della Fondazione delle Muse ha annunciato che il premio Corelli quest’anno lo abbiamo assegnato a Jonas Kaufmann. Speriamo che trovi il tempo di venirlo a prendere.

La pioggerellina di marzo

Ogni mattina quando apro la finestra del mio studio che si affaccia su un piccolo retro aiuola vedo la terra crepata come fosse il sahel e penso che sono mesi che da queste parti proprio non piove .

Vento e freddo non sono mancati , ma la pioggia non è scesa dal cielo se non una volta , mista a sabbia e in misura esagerata si che la terra inaridita non è neppura riuscita a riceverla.

Mi accorgo allora di recitare meccanicamente una poesia dei tempi lontani , una specie di filastrocca che parlava della “pioggerellina di marzo “ che picchiava argentina sui tegoli vecchi del tetto…

Altro che neiges d’entan , ormai siamo alle piogge d’antan.

Ma dato che in compenso stanno piovendo bombe su questa nostra vecchia Europa sembra essere passata di moda anche la preoccupazione che riguarda il violento e feroce cambio del clima .

I media passano da una catastrofe all’altra e tutto si consuma : la pandemia da Covid sta risalendo nelle statistiche in tutto il mondo , la curva che discendeva risale nell’indifferenza generale perché le piaghe bibliche si susseguono tanto velocemente che non c’è più tempo per preoccuparsi della disgrazia precedente.

L’esigenza economica fa aggio sulla paura , la tendenza generale è quella di levare tutte le restrizioni tanto adesso c’è una paura più grande : dalla malattia alla guerra e per le cavallette ci stiamo attrezzando.

Ho anche visto la suggestiva neve rosa in Austria , sembrava un effetto speciale tanto era divertente!

Il grande circo mondiale sta già cominciando a consumare anche le immagini atroci delle file di rifugiati ucraini e in Italia ci sono degnissime persone che ancora facendo equilibristiche elocubrazioni si esercitano sulle cause remote di una guerra assurda in cui non c’è niente di difficile da capire : c’è un paese libero aggredito da un paese più forte gestito da un dittatore crudele. 

Non so bene in che ordine mettere i problemi del nostro pianeta , di sicuro è certo che la pioggerellina di marzo mi comincia a mancare davvero.

Guerra e pubblicità

Le immagini di guerra riempiono gli schermi dei nostri televisori da molti anni ormai ma questa guerra così pericolosamente vicina , con tutto il suo impatto emotivo per la somiglianza della popolazione ucraina al nostro comune vissuto europeo colpisce forse di più di tutte le altre guerre del medio oriente , guerre di polvere e di terre lontane .

Le immagini feriscono , ci sgomentano e poi ,dato che la televisione si nutre di pubblicità , si produce un salto brutale alla nostra vista .

Così si alternano visione di dolore e di morte a immagini patinate , levigate di un mondo irreale in cui si sorride felici su strade pulite , con macchine superdotate e accessoriate , si mangiano biscotti che sanno di cielo e si bevono fresche bevande in verdi prati fioriti.

Lo straniamento feroce paradossalmente sembra far parte della stessa informazione , ovviamente la televisione per essere su quei teatri di guerra ha bisogno di mezzi , i giornalisti che corrono sulle strade di Kiev , di Mariupol , di Leopoli rischiano la pelle , hanno elmetti con scritto PRESS ma sono professionisti comunque ingaggiati da testate che vivono economicamente dei proventi pubblicitari che ne consentono la vita.

Solo che il nostro occhio ormai non fa più differenza , con un cinismo cronico guarda la guerra e la pubblicità con la stessa mancanza di partecipazione.

Il gatto si morde la coda : se vuoi l’informazione devi accettare il compromesso che fa male al cuore .

In certi momenti mi viene voglia di cancellare la pubbicità che offende il dolore , in altri assurdamente vedo la guerra come un film 

pieno di effetti speciali .

L’esercizio di separare emotivamente i due momenti tra la  verità e la finzione richiede un senso ulteriore di comprensione .

Non sono convinta che tutti siano in grado di decodificarlo.

Crimea , la storia

Leggere le vicende della Crimea è come sfogliare tanta storia  partendo dall’antichità. Non  mi ero mai posto il problema di sapere dove si fosse rifugiata Ifigenia nella versione che non la vide sacrificata in Aulide e quella Tauride in cui fu ritrovata dal fratelllo Oreste altro non era che la Crimea di oggi.

Nella scorrere dei secoli questa terra  fu sempre importante  e infatti in quel punto si sono svolte tante guerre , cambiò spesso nome e nazionalità e  rimase sempre terra di conquista tra imperi e potenze.

Leggo i nomi di Sebastopoli , Odessa , Balaklava e mi trovo a sfogliare ricordi scolastici e letterari.

Sull’Enciclopdia ( non aggiornata ) riporta la Crimea parte dell’Ucraina , ma sappiamo che dal 2014 di fatto e di nuovo è ritornata alla Russia , guerre e sangue su quella penisola strategica , quasi una strozzatura che divide il Mar Nero dal mare d’Azov.

Dall’altra parte , quella turca c’è Gallipoli , leggi Kannakale , ovvero Troia .

Quanto si capisce la storia studiando anche la geografia!

Non è certo il mio piccolo blog che può rinfrescare tante vicende ,ma mi domando quanto la scuola di oggi dia conoscenze ai ragazzi perché abbiano gli strumenti validi per capire le motivazioni politiche che muovono l’economia e gli eserciti.

Anche dal punto di vista religioso la competizione in quella terra non fu da meno , mi perdo nel ricercare nel corso dei secoli i tanti cambiamenti che avvennero in quel quadrato di terra antica.

Questi nomi risuonano spesso anche dal punto di vista letterario , ma oggi quanti giovani leggono davvero i libri?

I racconti di Sebastopoli di Tolstoj , i racconti di Odessa di Babel , solo per fare due piccoli esempi.

Forse sarebbe più facile attraverso il cinema : molti di questi nomi furono anche film di successo , bene farebbero d docenti a riproporre la storia di oggi anche attraverso questo mezzo popolare. 

Ricercare il perché di tante strane spedizioni : perché il piccolo Piemonte combattè nel 1854 una guerra in Crimea , perché la giovane Australia mandò nel 1915 i suoi giovani a morire a Gallipoli.

Perché oggi si muore a Mariupol ?

Invece di schierarsi in partigianerie partitiche sarabbe meglio invitare i giovani a studiare , perlomeno questa è la mia modesta idea.  

Da Pesaro a Mariupol

Mentre in Italia si festeggia l’assegnazione alla città di Pesaro quale capitale della cultura per il 2024 , assegnazione veramente meritata anche se ha provocato piccole invidie e lamenti in altre città della stessa regione che non sono riuscite nello stesso risultato , leggo con enorme tristezza  e sgomento che a Mariupol è stato bombardato in grande teatro della città.

Vi si erano rifugiati forse fino a un migliaio di cittadini e se non fosse bastato avevano anche scritto sui due piazzali davanti e dietro una sola parola :” bambini “in chiare lettere perché fosse visibile anche dai droni spia in cerca di obbiettivi militari veri o presunti.

La cultura , il teatro , i segni della civiltà di un popolo sono sacri per tutti coloro che considerano le arti cibo dell’anima.

Per tutti coloro che del teatro vivono e per tutti noi che consideriamo il teatro lo spazio più importante nel quale vivono le emozioni , le gioie più  grandi che gli esseri umani riescono a regalarsi in un rito collettivo che risale nel tempo alle origini della nostra civiltà colpire un teatro è qualcosa che va aldilà della nuda cronaca vigliacca e feroce di chi vuole scientemente colpire l’anima di un popolo.

Ho accennato all’inizio ad un paragone che può sembrare riduttivo se non si sapesse quanto la piccola città sull’Adriatico vive della cultura che  la permea in tutte le attività incentrate sul suo vivere di teatro e di musica tutto l’anno .

Sono stata in Ucraina in tempi lontani per un bellissimo viaggio ed in ogni città sono stata a teatro , quel tempio laico di cui si fregia ogni comunità civile aggregata e in quei paesi dell’Est dai quali viene tanta anche della nostra cultura mi sono sentita a casa , come mi sento a casa ogni volta che vivo insieme agli altri la gioia della partecipazione ad un rito in cui l’emozione personale si fonde nel rito collettivo.

Il teatro di Mariupol era diventato un rifugio per poveri cittadini in fuga dalle loro case meno protette  e lo stare insieme fungeva da collante anche contro la paura.

Gli spiriti di tutti i grandi autori che in quello spazio furono rappresentati non li hanno protetti abbastanza , chissà se anche la musica di Rossini aveva risuonato tra quelle pareti.

Mi piacerebbe che quando questa orribile invasione finirà ( perché voglio davvero sperare che presto debba finire ) i cittadini di Pesaro si gemellino con questa città martire e che la loro gioia porti un contributo alla città martire di Mariupol.

Destino

Un’antica storia persiana narra di un servo impaurito per avere incontrato la Morte al mercato e tornando a casa di corsa aveva chiesto al suo padrone di prestargli il cavallo per fuggire a Samarcanda.

Più tardi il padrone andò al mercato e vedendo la Morte le chiese perché avesse urtato il suo servo spaventandolo.La Morte rispose : non l’ho spaventato , era solo stupita di vederlo qui perché ho un appuntamento con lui stasera a Samarcanda.

Ho ripensato con un brivido a questa antica favola leggendo una storia minore avvenuta durante questo terribile momento della fuga dei profughi disperati dall’Ucraina

Un pulmann di rifugiati correva lungo l’autostrada Adriatica e si è ribaltato  forse per un colpo di sonno dell’autista  uccidendo sul colpo, sbalzata fuori schiacciata dal mezzo, una giovane mamma che scappava con i suoi due bambini dall’orrore della guerra.

La casualità del destino ha portato a morire una giovane ucraina in maniera assurda sulle via di un tentativo di speranza : fuggiva dalla guerra con le sue povere cose raccolte in fretta , tenedosi abbracciati i suoi due bambini e con la fiducia  che quella nonna badante trovassse  un posto per lei in Italia quando  la Morte l’ha  aspettata contro ogni pietosa logica  sul ciglio della strada.

Non riesco a levarmi questa storia dalla testa , se non altro per il pensiero che non esiste una logica nel destino di ogni vita.

Per la cronaca , nessun altro si è fatto molto male nell’incidente.

Il mistero Turandot

Vedi Tristano. Cosa avrà voluto dire Puccini con questa breve notazione non lo sapremo mai , ma di sicuro sappiamo che non lo convinceva del tutto l’happy end forse quel tragico “non finito” nasconde la fatica di una creazione musicale che tardava a venire e che ci ha lasciato la testimonianza più esplicita di quel tempo nel quale non era più possibile tornare indietro ma anche la consapevolezza che andando avanti si doveva per forza scegliere una via sconosciuta .

Il finalino di Alfano tagliato da Toscanini si basa sulle 26 pagine di appunti lasciati dal maestro e mi convince ancora meno la versione lunga , filologicamente proposta da Pappano ,che oltretutto sottopone i cantanti ad un tour de force pazzesco.

Lasciamo da parte la fiaba settecentesca di Gozzi , l’esotismo e le cineserie e troviamo una storia di donne : dall’ava stuprata dallo straniero alla gelida vendicatrice contrapposta alla tenera innamorata pronta all’estremo sacrificio, tutto un universo femminile ( molto caro a Puccini) nel quale l’elemento estraneo è il maschio dominatore …. l’opera si doveva chiudere sul tema di Calaf e queste erano le indicazioni del genio toscano, il quale richiedeva anche un bacio “vero” ai librettisti e quell’avvicinamento seducente di quel marpione di Kaufmann alla Radvanovsky ce lo spiega bene anche se non sapremo mai quale fosse la vera intenzione del Maestro.

Enigma che chiude il tempo dell’opera intesa come un fluire melodico di arie e prelude a quel tempo spezzato , violento e dissonante delle opere del Novecento avanzato ?

In questo senso va letto il tentativo di Berio il cui finale tenta di sciogliere in chiave psicanalitica la conversione di Turandot trasfigurandola ( Wagner) mediante il sacrificio di Liù che resta morta in scena fino alla chiusa in diminuendo , lasciando aperte molte porte su quel secolo breve e  su un genio sensibile ormai proiettato verso un divenire musicalmente innovativo.

Molte intuizioni ci ha regalato comunque Pappano con la sua mise en espace che permette di apprezzare alcune preziosità che sfuggono alle messinscene rituali che accentuano le spezzettamento  in tre del ruolo del Ministro ( due sono gli echi del primo) , l’iconico silenzio dalla Principessa di gelo nel primo atto , il grande ruolo del popolo con l’accenno anche  all’Inno nazionale cinese , la rutilante abbondanza strumentale arricchita da strumenti esotici, il ruolo prezioso delle voci bianche a contraltare dell’orrore in scena. E ultimo ma abbastanza prezioso l’avere riportato il “Nessun dorma … stanotte a Pechino” al suo momento di sfida virile , breve  inserto utile psicologicamente  e del tutto difforme  al canto di vittoria calcistica d’uso comune.

Sarà un successo annunciato il Cd di prossima uscita , di questo ne sono fermamente convinta.

A botta calda

Ci voleva sir Tony per farmi ascoltare una Turandot inedita. Lo ha fatto come ultimo dono a questa Accademia Nazionale prima di prendere il volo definitivamente per la sua Londra.

Roma ha molto gradito , io non del tutto ( ma mi spiegherò in seguito)

Ci voleva lui per farmi digerire anche il finalone di Alfano , lungo e per me inutile, come disse Toscanini dopo la morte di Liù : “qui il maestro Puccini è morto.”

Ci voleva lui per far cantare Kaufmann l’intera opera dopo che aveva chiuso per anni i suoi concerti con un “Nessun dorma” tutto suo , a perenne sfida pavarottiana.

Ci voleva lui per prendersi una matta come la Radvanovski per farle fare una Turandot spacca- cristalli e ci voleva Pappano per farci apprezzare il diverso peso che ha Ping ( un magnifico Mattia Olivieri) e la dolcissima Liù di una magica Hermonela Jaho , nonchè un regale e sontuoso Timur quale Michele Pertusi.

Un solo rimpianto : perché Jonas ha aspettato tanto a cantare questo must di ogni cartellone ?

Stupenda atmosfera da grande evento internazionale a coronamento di una incisione CD che uscirà il prossimo anno nel quale non potremo apprezzare visivamente le masse corali e il coro di voci bianche di Santa Cecilia , comunque ne sentiremo l’altissimo livello.

Italiani brava gente

Sono italiana con una felice vocazione europea : mi ricordo che già da ragazzina mi piaceva definirmi cittadina del mondo.

Del mio paese amo l’arte , la musica , la natura che fu con noi benigna , amo anche il Rinascimento che fece belle le nostre città.

Purtroppo però il nostro è quel bel paese nel quale è molto difficile tenere alta la testa contro la corruzione che genera un potere marcio ed è troppo  facile imputare alla matrice cattolica la nostra facilità al perdono , all’assoluzione senza critica.

Per esempio grave offesa e scandalo ha provocato nei poveri provincialissimi italiani l’essere stati esclusi da incontri internazionali nei quali non siamo stati invitati.

Giustamente un intelligente inviato da Bruxelles ha commentato che questa esclusione l’abbiamo commentata solo noi italiani perché quelli che erano stati invitati lo erano per varie ragioni del tutto istituzionali , certamente non fatte ad excludendum.

Abbiamo evidentemente un grave complesso di colpa ,evidentemente ci offendiamo per poco .

Ma siamo anche capaci di trovare nei momenti più drammatici e crudeli una forza colletitva che ci riscatta da tante ambiguità e incertezze storiche.

Fortunatamente in questo momento le persone che guidano le nostre più alte istituzioni sono ben degne e questo mi fa comunque bene sperare , solo che vorrei non fossimo solo bravi a trovare forza e coerenza solo nei momenti tragici della storia.

Nessuno si augura guerre e pandemie : cerchiamo di essere degni del nostro passato senza avere bisogno di eroi . 

Per Odessa

La scalinata di Odessa è nell’’immaginario di tutti : significa libertà e tragedia , significa qualcosa di importante nella storia del secolo breve e significa anche uno dei più bei film mai realizzati . 

La corazzata Potiomkin di Eijsestejn non è solo una delle grandi citazioni cinematografiche  ( che va dall’ironia fantozziana alla bella citazione di Brian De Palma negli Intoccabili ), è qualcosa di più per chi i film li vedeva in  religioso silenzio al Cineclub, meritoria istituzione aI tempi in cui  non esisteva YouTube.

Un brivido e un ‘intermittezza del cuore ripensare oggi lo sfregio che una dittattura criminale provoca offendendo un popolo e i suoi tesori culturali.

Ripensare Primo Levi ( voi che vivete sicuri nelle vostre tiepide case ) e vedere le immagini che spietatamente il video ci rimanda  in maniera crudele.

Una guerra ingiusta sbattuta in faccia al mondo che trova pure nelle pieghe delle menti deformate ideologicamente una sponda di critica ad un popolo europeo che soffre e non si piega , orgogliosamente.

Quanto può durare ancora la mattanza?

Quei bambini col piumino ( rigorosamente rosa e celeste ) , quelle bambole abbracciate testardamente e tutti quegli animali domestici salvati con amore ci raccontano di un paese civile e povero , ma ricco di sentimenti e di cultura che non merita l’affronto del pazzo di Mosca.

Non faccio il politologo , non mi interessano le recondite motivazioni geopolitiche mondiali anche se …se volete apriamo il dibattito , e quello che ne esce è una violazione di tutti i sacrostanti diritti di un popolo.

Solo che quello che ne resta è solo la nostra vergogna di europei incapaci di avere pensato in tempo a quella che doveva essere davvero una difesa comune , un pensare comune .

Secoli di storia ci avrebbero dovuto insegnare che si possono accettare stati cuscinetto , aree neutrali , equilibri storicamente 

ingiusti . Quello che non si può accettare è la violenza e la sopraffazione.

Si rassegnino i qualunquisti sempre presenti , L’Ucraina siamo anche noi .