Un messaggio in bottiglia

Ho ancora in testa alcune parole di Gerard nel famoso monologo , rilflessione quando cerca di screditare il poeta Chénier : nemico della Patria …e poi conclude : son sempre un servo…e un finale da perfetto socialista inizio Novecento : fare del mondo un Pantheon….

Non a caso l’aria era molto amata dai nostri vecchi , è un bellissimo manifesto , programma , ahimè utopisticamente mai realizzato .

L’ìItalia conobbe poi il terribile periodo fascista , l’opera andò nel dimenticatoio retorico , più del romantico poeta restò nel cuore di molti quell’afflato universale del bel socialismo d’antan.

Ma non ricordavo la chiusa originale dell’opera , oggi i registi la cancellano !  Sono andata a rileggermi il vecchio libretto azzurro Sonzogno : Gerard piange mentre cala la ghigliottina sugli  sfortunati amanti : ha in mano il biglietto di Robespierre con la risposta : Mème Platon a banni les poetes de sa Repubblique;
morì sulla Ghigliottina esattamente quattro giorni dopo Chénier.

Mi riguardo l’opera , grazie al mio archivio , in gran parte merito di un’amica preziosa , mi incanto a vedere la bravura degli interpreti, tutti ,e penso al grande messaggio politico dell’opera .Anche il famoso Improvviso in realtà è una bellissima denuncia , passano gli anni , anzi ormai i secoli ; si crede che al giorno d’oggi non ci siano più le ingiustizie , le classi sociali.

Niente di più illusorio , l’ascensore è fermo perlomeno da un paio di generazioni .Il vento di Destra che corre dalla Finlandia alla Turchia è solo la manifestazione superficiale di un immobilismo politico che ha privilegiato un fittizio benessere piuttosto che una risposta ad una vera giustizia delle classi sociali.

La ribellione fa paura , ma basterebbe anche solo  leggere un libretto d’opera , non a caso di Luigi Illica , per capire molto cose di più sul nostro disastrato mondo attuale.

Ancora sullo Chénier

Foto di Marco Impallomeni

Dal 1896 , dal giorno della prima che avvenne proprio alla Scala, l’opera di Umberto Giordano ha camminato per tutti  teatri del mondo con periodi di trionfale presenza ad altri in cui sembrava passata di moda .

Ci aveva visto giusto l’editore Sonzogno quando commissionò al giovane allievo del  Conservatorio di Napoli questa sua prima e felicissima opera verista.

La scrittura è un po’ grezza , forse , e non ha le sottigliezze orchestrali di un Cilea o del primo Mascagni  ma il plot narrativo ben amalgamato dalla penna di luigi Illica risultò un perfetto meccanismo teatrale . Soprattutto furono le grandi arie a garantire all’opera il grande favore popolare e Giordano si permise pure  di inserire il Tristan-accord nel momento di amore-morte che accompagna la sentenza del Tribunale del popolo.

Opera amata , tantissimo , e poi odiata dai puristi finché qualche anno fa trovò nell’accoppiata Pappano/ Kafumann un nuovo periodo di gloria.

Forse qualche forzatura orchestrale non ha reso perfettamente i molti passaggi melodici degni di migliore ascolto , forse la bella Sonya Yoncheva qualche momento ha un vibrato di troppo nella voce , forse l’applauditissimo baritono mongolo non ha dato tutto lo spessore necessario al super-classico Nemico della patria , ma quando si hanno in palcoscenico autentici mostri come Carlo Bosi  (l’Incredibile ) o la gloria eterna di Elena Zilio (come vecchia Madelon ) viene da dirsi : avercene di serate così.

Anche se il mio adorato Jonas aveva i vestiti che gli pendevano addosso restava di lui sempre intatto il carisma di chi quando entra in scena praticamente non ce n’è per nessun altro e questo ci deve bastare.

A mente fresca ho pensato che valesse la pena tornarci sopra e poi la seconda parte l’ ho  vista da una prospettiva fantastica , ero in barcaccia e la Scala vista da lì è un ulteriore spettacolo nello spettacolo.

Sullo Chénier scaligero

foto di Marco Impallomeni

Una cara amica nonché  fedele lettrice del mio blog mi scrive stamani : non vedo l’ora di leggere il tuo pensiero sullo Cheniér di Milano.

Ebbene , stavolta ci devo pensare  un po’ e partire  da lontano : vengo da due bellissime esperienze di ascolto con Jonas Kaufmann : il Tannhaüser a Salisburgo e l’incantevole Sigmund della Walkiria di Napoli.

Poi , in maggio ,una pesante tournée molto autarchica ad uso e consumo delle sue genti nelle quali ha cantato l’Italia in molte delle grandi arie che sono da sempre state nel suo grandissimo repertorio ,( d’altronde agli inizi della prestigiosa carriera ci giocava un po’ sul suo fascino latino..)

Poi , ciliegina sulla torta le due repliche milanesi di uno Cheniér nato con un altro tenore , sicuramente meno bravo di lui , ma anche sicuramente un po’ più alto tanto che i vestiti gli stavano decisamente larghi e la redingote gli arrivava ai calcagni .

Quando però è entrato in scena lui ( so bene da che parte arriva :dalla quinta a sinistra ) allora non ce n’è più per nessuno: il suo Improvviso da manuale con il famoso impeccabile “passaggio” , la limpidezza morbida del suo italiano purissimo sembra non esserci posto per nessun altro al mondo.

Però ..piano piano l’opera va avanti e io mi trastullo nella memoria ripensando l’elegantissimo Chénier di Londra , il drammatico Chénier di Monaco , il suo gettarsi quasi fuori scena : si , fui soldato e la meraviglia  di “passa la vita mia come una bianca vela” e io mi trovo a sorridere più ai ricordi che a quello che vedo in scena.

Forse faceva troppo caldo ieri a Milano , forse il viaggio tradotta durato il triplo per le tragiche vicende dell’alluvione in Romagna, forse la mia vecchiaia che avanza , certo è che alla fine ero tanto triste come se avessi assistito alla fine di una storia.

Eppure ero praticamente in palcoscenico grazie alla gentilezza di un caro amico impresario e sono anche riuscita a mettere il mio piccolo libro nelle mani di Jonas , ma per il giudizio complessivo della serata ci devo pensare ancora un po’.

Ci torno su domani.

Un caso familiare

Passa sullo schermo del Festival di Cannes  il film di Bellocchio sul tragico caso del piccolo ebreo Edgardo Mortara e tutt’a un tratto mi è venuta in mente una piccola storia di casa  ,forse  addirittura rimossa , che ebbe un risvolto molto meno drammatico di quella raccontata nel film sulla nostra vita familiare.

La storia banale riguarda la troppa solerzia di una monaca dell’ospedaletto del bambini di Ancona.

Il mio ultimo figlio , nato prematuro , era stato messo nell’omonimo reparto e  a nostra totale insaputa  la solerte sorella aveva “salvato la sua anima “ battezzandolo di nascosto.

Un mese dopo , bimbo a casa , famiglia contenta organizziamo il Battesimo in chiesa e con grande imbarazzo e stupore l’amico sacerdote ci informa che il battesimo non si può fare perché sarebbe un falso! Il bambino è già battezzato.

Rimediamo ridendo e inscenando  una deliziosa falsa cerimonia per la gioia degli amici e parenti.

Venimmo così a sapere che la missione salvifica della suora ospedaliera era prassi consolidata e tranquillamente tollerata dalla direzione.

Poi le suore infermiere scomparvero e con loro la pessima abitudine di battezzare di nascosto i bambini nati prematuri.

Credo che oggi sarebbe impossibile pensare qualcosa di simile anche perché in quello stesso ospedale nascono in percentuale molti bambini diversamente colorati , per la gioia del loro genitori e per la prospettiva anagrafica meno deprimente delle nostre percentuali sulla  italica natalità.

Sculture

Masserizie buttate in mezzo alle strade , montagne di ricordi familiari resi tuti uguali dal fango che uniforma tutto .

Lo conosco da tanto tempo quel colore piatto ,che cancella memorie di vita .

Cominciai a conoscerlo nel 1966 , quando arrivati a Firenze dopo l’alluvione che in qualche modo fu anche spartiacque della mia vita anche se ancora non lo sapevo.

In anni più recenti avevo pensato spesso di raccogliere sotto il titolo L’alluvione una prima parte della mia vita e poi non ne feci niente , come di tante mie velleitarie idee , troppe alluvioni ho visto in seguito e ogni volta quelle montagne di memorie calcificate agli angoli delle strade mi riportano allo stesso stato d’animo.

Perché serbiamo tante case , perché amiamo i nostri ricordi , i nostri libri se poi un giorno l’acqua arriva a cancellare tutto ?

In certi casi mi torna in mente un verso di Cardarelli : le cose non stanno che a ricordare …eppure testardamente , tenacemente ancora metto in ordine la vita ,riordino le foto , i pensieri , le poesie , la musica amata come se non sapessi che basta un attimo di distrazione della natura  per cancellare tutto.

Adesso sotto la Romagna assolata , dove ancora nell’aria putrida galleggiano i ricordi  devo ammettere di sentire  che la vita è sempre più forte dei miei tristi pensieri.

Forse perché chi è corso a spalare non sa che un giorno ci andarono i loro padri , forse anche i loro nonni e che il loro slancio comunque serve a chi in questi momenti ha bisogno di credere in qualcosa che assomiglia alla fratellanza umana.

Non mi riguarda più , ormai io conto solo quello che resta e la somma non indica un risultato di speranza.

Le sculture calcificate di divani , libri , materassi , pentole , elettrodomestici mi ricordano semplicemente che sarebbe ora di cominciare a buttare via tutto , prima che arrivi la piena , quella definitiva , che cancella ogni cosa.

Manzoniana

Ci fu un momento in cui capìì la grandezza di Alessandro Manzoni , ma non fu ai tempi della scuola  , ai miei tempi si imparavano a memoria brani celebri : dai monti sorgenti alla vigna di Renzo ma quello che mi piaceva di più era il racconto della madre : scendeva dalla soglia di uno di quegli usci,….

Probabilmente era quello che drammaticamente mi piaceva di più recitare , da brava aspirante Duse ne ero conquistata.

Ma Manzoni non era in quelle letture scolastiche , nelle noiose parafrasi , nello studio nozionistico sulla vita dello scrittore .

Poi una bella estate in barca , il tempo dell’età media , allora feci la grande scoperta e cominciai a leggere molto di più su questo signore lombardo , ma molto molto europeo , con una mamma davvero ingombrante e una paternità abbastanza misteriosa .

Oltre al grande romanzo lessi di seguito La storia della colonna infame e cominciai a capire di più le contraddizioni di una mente piena di dubbi , di domande e poi anche di certezze difficili.

Mi piacque in quel periodo leggere anche un libro della Ginsgurg . La famiglia Manzoni  , molto meno un libro più recente sulla seconda moglie , mi è stato regalato e mi è sembrato piuttosto un instant book in vista del centocinquantenario  della morte.

Il suo grande libro , il primo vero romanzo italiano dell’Ottocento , quando nel resto di Europa erano tanti gli scrittori che riflettevano sulla condizione umana , fu forse erroneamente declassato a “libro da studiare a scuola “ e questo fatto insieme alle prese di posizione di Gramsci e in seguito anche di uno scrittore moderno come Moravia ,lo  allontanarono dalle nostre letture .

Ma io che sono una insalata- culturale- sentimentale lo amo anche per quel Requiem verdiano che fu eseguito in San Marco in sua memoria, Verdi che omaggia Manzoni , Manzoni che celebra Napoleone : una catena di pensiero che attraversa i secoli e la nostra cultura tutta.

La magia del silenzio

Ho aspettato con ansia lo speciale sulla mostra di Wermeer di Amsterdam annunciata con gran pompa dal Canale Classica , lo metto anche in registrazione  e  alla fine l’unica cosa che mi è venuta in mente di dire : tutto qui?

Intanto bisogna dire per  onestà che questa splendida mostra non è la prima che in terra d’Olanda aveva radunato quasi tutte le opere di Wermeer in giro per il mondo , infatti ero stata all’Aja nel  1996 al Mauritshuis per vedere una splendida mostra , quella sì davvero la prima ,che radunava due terzi di tutta la produzione del pittore .Probabilmente mancavano i tre della Frick Collection come hanno detto i valenti presentatori , ma il resto c’era davvero tutto.

Anzi c’era anche una bella mostra a Deft molto esaustiva  ( Deft Masters , Contemporaries of Wermeer) che introduceva con intelligenza il mondo della pittura contemporanea al grande pittore .

Ho ritrovato il catalogo , colto e bellissimo nel quale c’era anche il deplian della mostra di Deft  e , ciliegina sulla torta, una mostra su Friedrich al museo Van Gogh. Una tre giorni olandese che ricordo ancora con emozione. 

Ricordo anche di avere aggirato la rigida tempistica che permetteva di sostare ben poco davanti ai quadri da me furbescamente violata semplicemente facendo perdere le mie tracce nelle altre sale del ricchissimo museo.

Sono stata così , “bergottianamente” una buona mezz’ora in più da sola davanti alla Veduta di Deft,.

In questo speciale sulla mostra però mi è mancato un momento magico : tra le dotte dissertazioni di illustri personaggi mi è mancato il più bell’omaggio mai scritto sulla lattaia .

Lo scrisse Wislawa Sztymborska ed è intitolato Wermeer.

Finchè quella donna del Rijksmuseum

nel silenzio dipinto e in raccoglimento 

giorno dopo giorno versa 

il latte dalla brocca nella scodella

il Mondo non merita

la fine del mondo.

La differenza

Avevo scritto qualche giorno fa di un bel film che avevo visto da poco e avevo anche aggiunto che avrei comprato il  libro da cui era tratto per metterlo nelle letture estive.

Il libro l’ho comprato e appena l’ho aperto mi ci sono persa dentro e non ho alzato la testa fino all’ultima pagina.

Niente mette così tanta emozione come la parola scritta , in definitiva sapevo già tutto della storia , compresa la fine e quindi non era per questo che stavo divorando le pagine.

Un libro lo lasci all’ultima pagina , ma resta dentro con la forza dei sentimenti che ha suscitato , un bel film resta un bel film e basta.

Lo vedi , ti piace , ne apprezzi  tante cose : l’immedesimazione degli attori nei ruoli , la vista delle montagne ma il gusto sottile che può dare la pagina scritta è infintamente più sottile e appagante .

Forse quello che ho pensato oggi chiudendo il libro non è un pensiero tanto originale , però  è importante ricordarlo sempre: non è una gara tra due diverse forme di espressione dell’intelletto , è dichiaratamente la conferma della superiorità della parola scritta  sull’immagine , anche quando questa vive di vita autonoma.

Infatti si possono vedere bellissimi film ,magari tratti da libri modesti e la storia funziona perfettamente.

Ma quando la parola scritta ha dentro di sé una carica umana così viva e naturale che capisci quanto sia più importante leggere che vedere .

Forse i nostri giovani , nati nell’era dell’immagine non sanno quanto si perdono nel confronto.

Il libro lo lasci ma ti resta nel cuore , sicuramente anche se magari gli hai dato l’aspetto dei protagonisti del film ,restano a galleggiare nella memoria i loro pensieri , i loro caratteri con una forza del sentimento e del nodo alla gola che mi hanno procurato.

L’arte dell’addio

Premesso che non capisco niente di tennis , sport che ho sempre trovato un gioco molto elegante e misterioso per come si gioca e soprattutto come si forma il punteggio ( a questo proposito una mia cara amica tennista aveva perso vanamente il tempo per spiegarmi il complesso meccanismo del calcolo punti ) mi ha colpito leggere oggi che anche Nadal , uno dei grandi tennisti del nostro tempo ha deciso che sia venuto anche per lui il tempo del ritiro.

Già l’uscita del mitico elegantissimo Roger Federer aveva lasciato scie di rimpianto tra tutti coloro che ne avevano seguito la fantastica carriera e ora anche un altro splendido quarantenne pensa al ritiro.

Ho pensato intensamente a loro per analogia quando mi sono ricordata   di un mito di quella che fu un tempo una delle mie grandi passioni , la danza  ,una diafana danzatrice che  al culmine di una strepitosa carriera aveva deciso di uscite letteralmente di scena con un bellissimo canto del cigno : la sua fantastica  Signora delle Camelie di cui pochi giorni fa ripassava sul canale Classica un documentario relativo alla costruzione del famosissimo balletto.

Alessandra Ferri , sono parole sue , ha preferito uscire di scena nel momento della sua massima capacità di danzatrice e soprattutto della sua grande qualità di interprete .

Uscire dalla comune nel momento del massimo splendore non riesce a tutti , si ama troppo la scena , si ama o si crede di amare tanto il proprio ruolo nel mondo variegato della fama e forse non si coglie abbastanza   quel fascino sottile che lascia un protagonista o una protagonista che si fa rimpiangere .

La lunga carriera di Placido Domingo , un grandissimo tenore che ha dominato la scena nel secolo scorso non credo cha abbia allungato il suo mito passando , con evidente e inevitabile maestria scenica  e continuando a cantare nel ruolo di baritono ben oltre il limite che avrebbe dovuto segnare , a mio avviso , un saggio e valido addio alle scene.

L’arte dell’addio : mi viene in mente la Sinfonia di Haydn , cominciano a suonare in tanti, poi piano piano escono tutti e rimare un solo strumento a segnare il silenzio della fine,

Ma forse questa è un’arte rara , sicuramente più consona a tempi lontani e porta  in un sé un vago sapore settecentesco.

pensieri pesanti

 

Giornate che non aiutano ad essere leggeri : immagini tragiche di terre  sommerse , un fango che invade anche i pensieri . Piove e sembra di essere nel sud-est asiatico , il  freddo entra nelle ossa ed è già maggio inoltrato.

Accompagna il peso del cuore l’avere dato l’addio ad un amico di sempre , un ragazzo per me che fu parte integrante della nostra vita di un tempo : ho passato la notte a ricordare i nostri discorsi in barca , durante le notti mentre attraversavamo il canale d’Otranto tra i traghetti illuminati ; lui al timone. io in terra nel pozzetto , il nostro turno notturno.

I pensieri si rincorrono pesanti . Ho anche capito quanto sia fuori luogo rientrare anche solo come gesto di volontariato civico nell’agone politico.

Non è più il mio tempo , si esce dalla comune molto prima di andarsene definitivamente . Davvero bisogna sempre ricordare l’Ecclesiaste : c’è un tempo per mietere , un tempo per raccogliere e , aggiungo io , un tempo per ritirarsi da quella parte di vita che magari fu anche nostra , ma nella quale sono subentrati valori o disvalori nuovi , comunque è il tempo per farsi da parte.

Non sempre ci si riesce in tempo , quando non è il destino che decide per noi si dovrebbe avere la saggezza di ritirarsi nel momento giusto ; non mi è piaciuto un articolo scritto su un giornale di Amburgo circa l’usato sicuro di una tournée trionfale che ha tutta l’aria di essere la celebrazione del canto del cigno.

Sto andando qua e la nel filo dei pensieri , non volevo finire come al solito per ricondurre la riflessione di oggi all’amato tenore che spero di sentire ancora perlomeno finché le forze me lo permetteranno.

Torno alla lettura dei giornali bagnati del mattino , per  il fine settimana è prevista una tregua , poi chissà….

Per cercare di pensare positivo domani se tutto va bene mi aspetta l’Ottava di Mahler a Milano .Non è una prospettiva da poco.

Era di maggio

Non sono più le mezze stagioni , signora mia ! Lo dicevamo come un luogo comune quando ormai da tanti anni si passava dal freddo al caldo ma ancora non ci era mai successo di perdere un mese intero.

Era il mese delle rose  , il mese dolce della primavera inoltrata con le giornate lunghe lunghe , l’estate imminente .

In gioventù lo vivevo a Firenze con il profumo dei glicini che pendevano languidamente dalle mura dei villini a San Gervasio, poi nei tanti anni della mia vita con il mare davanti alla finestra e allora il profumo era quello del pitosforo in fiore , delle rose sfacciate e non facevo in tempo a raccoglierle tutte , la casa ne era inondata.

E poi succede anche questo : il mese scompare nascosto da una nebbia novembrina , fumi di nuvole basse e pioggia mangiano la memoria di un mese che fu , davvero stiamo vivendo una stagione strana: un novembre bagnato come se la campagna inglese avesse inghiottito le nostre arsure mediterranee..

Im wurdeschönen Monat Mai….un bellissimo Lieder di Schumann , che mi piaceva tanto ascoltare dalla calda voce di Jonas Kaufmann, ma oggi 16 maggio 2023 suona un po’ anacronistico l’ascolto mentre una pioggia pesante e battente bagna i vetri delle finestre.

Siamo tutti un po’ metereopatici e il maltempo influisce più di quanto crediamo sulla nostra psiche , ma quando l’assurdità della natura impazzita ci fa perdere anche il ricordo di quella che fu la primavera ci si sente svuotati e come defraudati,

Le rose bagnate e pesanti chinano il capo prima di esplodere nel profumo  e le previsioni meteo non sono ottimistiche.

Per ora c’è da dire che ci va ancora bene , l’allerta meteo delle zone vicine parla di nuovo di alluvioni , di fiumi ingrossati , di campagne inondate , di fango nelle case.

Cerco di girarla in positivo , perlomeno io ancora non devo pensare ad  annaffiare il praticello davanti casa , è così verde che sembra proprio di un bel verde irlandese.

Vecchio paese

La crisi degli alloggi per gli studenti nasconde la più grande crisi che riguarda le giovani generazioni, tanti  giovani che vorrebbero  programmare un futuro di coppia  sono frenati dalla mancanza di prospettive economiche minime che permettesse loro di  pensare al domani in maniera più sicura .

Penso a i nostri padri che si poterono permettere con il lavoro l’acquisto della casa , alla mia generazione che partiva già con qualcosa alle spalle e vedo i ragazzi di oggi il cui unico pensiero è vivere il loro tempo senza contemporaneamente progettare il futuro in maniera stabile.

Comunque è’ forse semplicistico pensare che la grave crisi di natalità che ha colpito , e non da ieri , il nostro paese dipenda esclusivamente dall’instabilità economica delle giovani generazioni , come è altrettanto semplicistico incolpare le donne che , raggiunta una certa stabilità lavorativa non se la sentono più di accollarsi il peso della maternità.

Sono generalmente uomini vecchi che la pensano così ,le donne tacciono perché sanno ,anche solo inconsciamente ,quanta parte del peso di diventare famiglia comunque seguiterebbe a ricadere sulle loro spalle.

Già adesso molte donne nel tempo in cui furono madri adesso hanno il carico dei loro anziani genitori che sommato al tempo del lavoro raggiunto diventa una  magra consolazione perché ancora e di nuovo non le rende libere.

La maternità non è una vocazione naturale , anche se per secoli questo ci ha insegnato la chiesa cattolica mentre invece è molto più riconducibile al senso della prosecuzione della specie l’istinto maschile alla riproduzione.

Le donne non cercano più nelle maternità la realizzazione delle loro legittime aspirazioni , gli uomini appesantiti dalla precarietà lavorativa trovano più comodo pensare al tempo breve della vita di coppia ; siamo di fronte veramente a qualcosa che assomiglia  ad una mutazione genetica.

Più facile forse trovare questa aspirazione nei giovani che emigrano in paesi anche limitrofi ai nostri in cui sono garantite tante tutele nei confronti  delle giovani famiglie , ma la nostra classe politica preferisce leggere i dati colpevolizzando le giovani generazioni piuttosto che cercare la strada per nuove politiche a sostegno della famiglia.

Questo è il nostro dramma attuale , il destino è segnato .

Il paese sarà salvato solo dalla nuova linfa vitale che arriverà attraverso la tanto temuta immigrazione.

Il paese cambierà colore , cambieranno i suoni e i colori , cambierà il profumo che uscirà dalle nostre cucine e questo avverrà naturalmente , perché è la sorte di ogni ciclo naturale ; sia che si tratti di individui che di popoli.