Rivedere Die tote Stadt

E’ passato più di un anno da quando a Monaco ebbi la fortuna di vedere Die tote stadt al Bayerischestaatsoper .

Ne ebbi una emozione violenta che raccontai a suo tempo , poi sperai di rivedere l’opera l’estate successiva , ma tutto questo finì nel grande tritacarne della pandemia e per molti mesi ho solo sperato nell’uscita del DVD , anche perché ero in sala la sera in cui fu fatta la ripresa.

Ieri , come uno strano miracolo è uscita in  una forma semi-clandestina una ripresa video , tutto sommato di ottima qualità e ho potuto rivedere quello spettacolo che allora mi aveva tanto emozionato.

Nel frattempo mi ero ordinata il libro Bruges -la –morte  di Rodenbach da cui era stata tratta l’opera , mi arrivò in francese , ma era un francese facile , forse perché l’autore era belga (?) e lo lessi tutto d’un fiato.

La storia era abbastanza fedele al testo , la città di Bruges inquietante protagonista , forse la messinscena di Monaco era meno fedele di altre che avevo visto in rete , ma si basava sulla grande capacità attoriale dei due interpreti , da questo il suo grande fascino e l’enorme successo ottenuto in sala.

Devo dire che rivedere l’opera sullo schermo di casa mi ha rinnovato l’emozione , anzi quello che si perde nella visione video , cioè tutto lo sfaldarsi e il ricomporsi della casa del protagonista che era molto chiaro  dal vivo si perde un po’ nella visione sul piccolo schermo ma la si guadagna negli spettacolari e insistiti primi piani dei due protagonisti.

La visione , abbastanza pirata credo , non ha i sottotitoli , ma essendomi scaricata a suo tempo un libretto in originale col testo a fronte mi è stato  possibile seguire questa storia allucinata di un uomo che crede di rivedere in  una ballerina incontrata per strada la sua amatissima e perduta Maria.

Marietta non è e non sarà il doppio della moglie scomparsa , la sua volgarità , il suo fascino carnale travolgono il povero Paul che finirà in un vortice onirico complicato dalla colpa cattolica e dal senso di vergogna che questa opprimente città gli fa cadere letteralmente addosso.

Tutta la decadenza e il fascino Jugendstil del testo si perde un po’ nella realizzazione iperrealistica monacense  di Simon Stone ma sotto la bacchetta di un Kiril Petrenko al solito in stato di grazia la musica strana di Korngold emerge in tutto il suo fascino ambiguo.

Un’opera strana in cui si alternano pagine di una liricità “pucciniana “ a pagine di uno stridente accentuazione che porta dai leidmotiv wagneriani ad accenni mahleriani , in un miscuglio stilistico di difficile approccio ad un primo ascolto.

Jonas Kaufmann e Marlis Petersen sono eccezionali nei rispettivi ruoli e anche gli altri componenti della piccola compagnia di canto a cominciare dal baritono Andreij Filonczkyk cui l’autore riserva una delle bellissime pagine liriche sono tutti degni di grande rispetto per la professionalità , che d’altra parte è cifra di garanzia delle produzioni del BSO.

Kaufmann in una breve intervista per Musik di Rolex dice che forse la giovane età del compositore ha contribuito a rendere praticamente impossibile nel primo atto la gamma pazzesca del canto tenorile , comunque l’autore poi fuggito  negli USA in seguito alle leggi raziali riversò tutta la sua particolarissima gamma musicale nelle colonne sonore hollyvoodiane che contribuì a rendere affascinanti e di grande  successo.

Il pelo nell’uovo

Senza alcuna spesa e ricerche varie ho visto , e mi sono molto divertita  ,il film Un grande tenore nella vita privata , distribuito da Prime Video e dato che sono iscritta ad Amazon Prime senza nessun costo aggiuntivo .

E’ un prodotto piacevole, evidentemente la lunga estate senza impegni ha prodotto oltre al bellissimo Selige  Stunde ,il CD prezioso nato dalla collaborazione con il suo accompagnatore – maestro – amico Helmut Deutch, anche questo film ben fatto , in cui c’è tanta Italia , tanto da esserne quasi stupita.

Ma c’è qualche leggerezza di troppo . Per esempio  :

era a conoscenza Kaufmann che la canzone Mamma era  stata lanciata da Beniamino Gigli in un film omonimo del 1940 , regia di Guido Brignone ,con la grande attrice Emma Gramatica nella veste della mamma del titolo?

Che i film “colorati a mano “ non si facevano in Italia dal 1914 e che il primo vero film a colori italiano Totò a colori era in un innovativo Ferraniacolor?

Che Gianni Morandi sapeva bene di non avere scritto Tu che m’hai preso il cuor…solo che a Kaufmann glielo aveva detto Giletti in una trasmissione tv del 2015 e che tanti altri cantanti avevano cantato in italiano Du bist der welt für mich sapendo bene che era di Lehar!

Insomma piccoli peccati veniali , mentre si parla tra amici , con leggerezza, ma che a una italiana possono sembrare un poco superficiali.

Detto questo poi una tirata d’orecchie anche al Corriere della Sera che oggi se ne esce con una perla : Kaufmann e Garancia per la prima volta inseme a Napoli per la Cavalleria! Peccato che avessero cantato a Parigi il Don Carlo solo un paio di anni fa senza contare i concerti ( per es. Baden Baden ) e pure una Carmen qualche anno prima a Monaco . 

Un giornale serio che ormai non ha quasi più spazio per la lirica  se fa un virgolettato sull’argomento mandi perlomeno il redattore su Google per un attimo.

Agresta alla Scala

Ha iniziato dolcemente Maria Agresta il bellissimo concerto in diretta streaming dalla Scala di Milano : la sua interpretazione della Canzone del salice la conoscevo e sapevo quanto il ruolo di Desdemona le sia particolarmente caro, poi il concerto è andato avanti e devo dire anche se  personalmente non amo lo spezzatino di arie , anche le più celebri e celebrate quando si alternano come un’altalena di ricordi , la serata grazie a lei è stata piena di vere emozioni. 

Già al secondo brano il miracolo si è ripetuto : Ebben ne andrò lontana  Maria è diventata Wally , un’eroina purtroppo spesso dimenticata del nostro repertorio e rimasta nei nostri cuori di vecchi melomani attraverso  la straordinaria voce di Maria Callas .

Maria era diventata Wally , come con raffinati e divistici cambi d’abito , tutti bellissimi e tutti a valorizzare la sua figura elegante e sottile , è diventata una sconvolgente Manon ,Tu tu amore tu, seducente e dolcissima tra le cui mani si scioglieva un De Grieux fortunatamente nel caso abbastanza lontano da permetterle tutta la seduzione che la musica le metteva a disposizione.

Ed eccola infine  Maddalena De Coigny , tremante creatura impaurita : il suo “proteggermi volete ?” mi ha fatto rimpiangere che il concerto non proseguisse con “la mamma morta”, so già grazie uno spezzatino pirata dalle quinte di uno Chenier cantato ad Atene quanto avrebbe potuto emozionarmi ancora.

Questo giovane soprano italiano è cresciuta nel silenzio di questi mesi di vuoto , lei che ha cantato poco , come hanno cantato poco tutti i cantanti anche bravissimi in tutto il mondo , evidentemente  però ha seguitato a studiare e la sua voce si è fatta più forte , più piena .

Soprattutto è diventata quell’interprete rara che sa entrare nel personaggio , una preziosa qualità che hanno pochi interpreti : Maria come Desdemona , Wally, Manon , Maddalena , grazie per le emozioni che ci hai regalato.

Ti auguro, e soprattutto mi auguro di poterti applaudire dal vivo , presto , ovunque si possa andare. 

Ritrovamenti

Avevo parlato di ricerche concatenate : ebbene dalla visione di una banalissima messinscena scaligera del dittico Die Seben Todstünden e   di Mahagonny Songspiel di Kurt Weil e Bertold Brecht  passo a rivedere lo streaming di Lulu di Berg da Salisburgo , dieci anni fa  (ogni tanto ripassa su Classica e vale sempre la pena di rivederlo) non fosse altro per la stupenda interpretazione di Patricia Petibon.

Un abisso tra i due approcci : da una parte una leccata rivisitazione patinata in stile d’epoca ,dall’altra una graffiante metafora della stessa epoca: vero che Kurt Weil non è Berg , ma è anche vero che con gli avanzi e i tempi stretti non si fa sicuramente un bel servizio alla musica e al ricordo di un’epoca cosi’ drammatica e piena di suggestioni come fu quel primo nefasto Novecento grondante tanta metaforica distruzione.

Allora vado a cercare e trovo il programma di sala di una Lulu di Spoleto , c’era di mezzo addirittura Roman Polanski come regista! 

Concatenando riprendo il Vaso di Pandora di Wedekin e scappa fuori la Lulu di Pabst . La Valentina di Crepax gli deve molto.

Cerca cerca e nella confusione trovo anche un programma di sala del Musikverein con tanto di firma di Kaufmann, diomio , di questo concerto non avevo proprio più memoria!

Il mio amatissimo mi dovrà perdonare , evidentemente sono andata troppe volte a chiedere un autografo , quel suo sgorbio che sembra un ideogramma cinese ce l’ho davvero su troppi programmi. Per sua fortuna e mia disgrazia non credo che avrò molte più occasioni in futuro di andare a dargli fastidio : come un po’ cinicamente lui stesso ha detto in una intervista “ il pubblico che mi segue è anche mediamente molto avanti con l’età.”

Il ritiro prosegue , qui non abbiam che fare ….seguito a giocare ai ritrovamenti.

Rosenkavalier

Ci ho dovuto pensare un po’, mi sono presa quel minimo di tempo necessario per cercare di capire cosa mi è mancato nel nuovo Rosenkavalier di Monaco.

Sapevo da tempo che era intenzione dell’illustre teatro rinnovare il vecchio allestimento che peraltro avevo avuto la fortuna di vedere e l’idea di affidarsi ad una firma -garanzia di qualità attuale quale Barrie Kosky mi era sembrata buona , anche se ultimamente , com quasi tutti i registi tende ad avvitarsi su cose gà fatte che furono innovatrici in passato .

Cosa c’è dunque di notevole e cosa manca a questo allestimento ?

Di notevole c’è soprattutto una strepitosa Marlis Petersen , una Marescialla perfetta e senza sbavature di stile . Ci sono anche un Octavian , Samantha Hankey di felice fisicità ( un po’ meno come Mariandel ) ma qui entriamo nel cotè vaudeville improntato dalla regia che è uno dei punti deboli dell’allestimento . La seppur brava Sophie di Katharina Konradi mortificata dai costumi : perché di nero all’inizio e poi che senso ha il vestito da bambola povera nel finale ?

Dignitoso Barone Ochs di Christof Fischesser, era un ottimo Poigner nei Maistersinger , fa parte della squadra sicura del Bayerische , ma ne abbiamo conosciuti sicuramente di migliori , anche qui pesava la scelta dai ritmi troppo macchinosi della regia .

Cosa manca soprattutto in questo Rosenkavalier ? Manca Vienna ,la sua atmosfera , il senso della sua vita e di tutte le sue sfumature di linguaggio e di tristezza nella falsa giocosità.

Quella è tutta nella magica musica di Strauss e nel testo di Hofmannsthal .

Ottima partenza con un primo atto che parte col botto per poi perdersi in trovatine tipo il“ di rigori armato” in stile barocco ( che non era sicuramente l’intenzione ironica di Strauss per ironizzare sul canto Italiano), poi abbiamo il vecchio tremante cencioso desnudo (l’’ho visto troppe volte qua e là a Monaco) e non mi è sembrato di buon gusto trasformare il galante schiavetto in un simbolo banale : il Tempo (?) , il Fato(?) … mettere la crocetta a piacere.

Kosky è un australiano imbevuto di quella cultura ebraica di ritorno che ha trasformato felicemente a Berlino nei suoi allestimenti della Komish Oper , ma che qui sbaglia il bersaglio di fondo : la fine non è nel volo chagalliano dei due giovani felici , è nello” ja , ja “di Resy , nella rinuncia amara di chi è arrivato con stanchezza a capire la fine di un tempo della vita che non sarà più suo.

Ma questa è solo la modesta riflessione di una  spettatrice –video che ha molto sofferto nel vedere il bel sipario rosso con le frange dorate chiudersi nel silenzio di questo tempo vuoto. 

In “quasi” lookdown

Un tempo vuoto ,un lungo fermo immagine nel quale passare da uno streaming all’altro ; da una suggestione provocata da una lettura ad un’altra in una specie di gioco della mente per salvarsi dalla pigrizia mentale che in certi momenti si concretizza anche in una pigrizia fisica .

Perché vestirmi se non devo andare da nessuna parte ?  Il rischio è concreto e allora leggo di persone che riordinano cassetti chiusi da troppi anni , riemergono foto del passato , memoria di cui non si ha quasi neppure più memoria.

Così mi è successo di trovare programmi di sala di concerti dimenticati , di opere sicuramente viste ,ma di cui non ricordo nulla , di sicuro non mi avranno colpito se invece di altre visioni ho memorie nettissime , addirittura emozionanti nel ricordo.

Un gioco divertente è stato quello di ricostruire una costellazione : dalla lettura biblica   riemerge il Salmo 37 : lamento dell’esilio in Babilonia del popolo ebraico e un verso in particolare mi riporta alla poesia di Quasimodo : ma come potevamo noi cantare ….le cetre appese.. .Allora parte un ricordo , vago all’inizio e poi fonte di forsennate ricerche : queste parole le ho sentite anche in una corale , forse a Santa Cecilia .

Non ricordo né l’anno , né l’autore . Ricerca tra i programmi di sala , come sono messi alla rinfusa ! 

Infine , ecco Il festino di Baltazar di Warton , stagione 2008/2009 , mi era molto piaciuto , ricerca su YouTube , trovato !

Non è la stessa cosa , evidentemente dal vivo faceva tutto un altro effetto.

nello stesso programma , direttore Ashkenazy una corale di Beethoven : fantasia corale numero 80 , mi pare di non averla sentita mai…eppure c’ero quella sera .

La cerco e l’ascolto : l’aria è quasi identica all’aria di Berta nel Barbiere , buffissimo plagio non plagio .

Si dirà che scopro l’acqua calda , ma in tempo di pandemia questo è tutto quello che mi serve per continuare a pensare e a vivere .

Tutto sommato ci sono persone che stanno molto peggio, altri giochini li racconto la prossima volta.

Per il Maestro Levine

Quando sull’onda ridicola e moralistica che ha colpito gli Usa cadde vittima di questa specie di caccia alle streghe il Maestro James Levine mi sembrò oltre che ridicolo particolarmente iniquo: il Maestro , colonna portante del Met era già molto malato  e sapevo della sua fatica a dirigere .

Si muoveva a fatica , ma il vigore della sua bacchetta era inalterato così come la qualità sempre notevole della sua direzione.

Inoltre in cosiddetto “fattaccio” risaliva a quarant’anni prima e la denuncia tardiva di un ex ragazzino era particolarmente odiosa .

Ma nella puritana America certi linciaggi facevano comodo anche per motivi non necessariamente nobili e il vecchio direttore stanco e malato fu defenestrato senza pietà.

Del resto le vittime illustri ci furono anche dalle nostre parti, nella vecchia Europa, e anche in quel caso non ci furono certamente motivazioni nobili.

Leggere ieri la triste notizia della morte di Levine mi ha procurato una doppia stretta al cuore , so che era rimasto molto povero e solo . Morire nella solitudine dopo avere dato a tanti tanta gioia nell’ascoltare quella musica forte e decisa che sapeva trasmettere con gesto deciso e inconfondibile mi ha fatto aggiungere melanconia alla tristezza.

Personalmente l’avevo sentito poche volte dal vivo , ma per uno strano caso le poche volte che ero andata a NewYork , l’avevo visto sul podio e quella sua figura inconfondibilmente familiare per le migliaia di registrazioni che avevo visto da casa mi avevano fatto sentire in grande confidenza con quella caratteristica figura che in  qualche modo per me si identificava addirittura col Met.

Tra le sue registrazioni ho un bellissimo Ring , ieri sera per omaggiarlo mi sono rivista e risentita la sua interpretazione potente della cavalcata delle Walkirie , è stato un mio personale postumo omaggio al grande direttore che aldilà della snobberia di certa critica paludata, per me è sempre stato  e resterà un pilastro della direzione americana.

Luna Rossa forever

Stamattina mi ha preso una strana botta di nostalgia : sono andata a cercare in fondo ad un armadio e ben piegata e serbata come una reliquia ho ritrovato la giacca mitica che un gentile membro di Luna Rossa mi aveva regalato alla fine dell’avventura neozelandese.

Ho letto con stupore anno 2000 ! per quella strana accelerazione – distacco temporale che avviene nella mente mi pareva che non fossero passati così tanti anni.

Negli anni successivi alla ormai lontanissima trasferta la giacca la usavo per andare in barca , poi in barca non ci sono andata più e la mia vita ha preso tutta un’altra strada .

In quel lontano anno 2000 furono giorni bellissimi in cui uscivamo su barche appoggio nella baia di Hauraki per seguire le regate e poi facemmo anche un viaggio straordinario attraverso le due isole insieme a mio marito approfittando di un tempo intermedio tra le regate .

Ho ancora attaccata dietro la porta del mio studio una buffissima carta geografica comprata a Auckland “Upside Down Word Map” in cui l’Italia è piccolissima in fondo ad una altrettanto non grande Europa.

Ma le barche in quegli anni lontani non erano quei mostri simili a enormi insetti come quelle che regatano oggi, avevano ancora randa e fiocco , l’equipaggio aveva mediamente i capelli schiariti dal sole e dal vento e sicuramente erano meno tecnicamente preparati di quelli di oggi.

Chissà cosa avrebbe pensato il “ mio capitano” di tutta questa strana tecnologia , lui che ancora aveva le sue belle carte nautiche con le macchie del caffè e i segni delle rotte tracciate a matita con il sestante .

Non gli era neanche tanto piaciuto il computer di bordo…. 

La notte non guardo le regate ma la mattina presto apro la televisone , comunque finirà mi pare comunque potere dire che un risultato simile agli italiani non era mai capitato . Mettere paura ai kiwi , chi l’avrebbe mai creduto!

La fine di una storia

Esce in televisione Il metodo Catalanotti . trasposizione del penultimo romanzo di Camilleri ( se non consideriamo Riccardino , uscito postumo ,ma scritto tanto tempo prima )

e apriti cielo..si scatenano le reazioni indignate delle donne che ( offesa grande!) scoprono che Montalbano lascia Livia dopo una vita insieme , si fa per dire , lei a Boccadasse e lui a Vigata : chiaramente Camilleri era stufo e per evitare un happy end che non era nelle sue corde taglia il rapporto usurato addiruttura con la vecchia compagna con una scarna , e fedelmente riportata nel telefilm, , telefonata .

La nuova triste fiamma è giovane e lui ha ormai sessant’anni , un classico, reso più classico dall’indole indipendente della nuova fiamma  e con un inquieto : è ora ? che sottintende un più realistico quanto durerà..

Quello che mi ha lasciata perplessa in questa indignata reazione femminile è la riprova che chiaramente per quanto molto venduto ben poche donne avevano letto il libro al momento della sua uscita perché la storia c’era già tutta lì e la coincidenza dell’otto marzo deve come essere stata del tutto casuale ( lo sceneggiato più seguito in Italia ormai da decenni  è sempre uscito in quel giorno della settimana).

Allora perchè tutto questo scandalo ? 

Il libro che a suo tempo mi era molto piaciuto narra la storia di uno strano regista filodrammatico che ha un suo metodo speciale per preparare gli spettacoli , una via di mezzo tra il metodo Stanivlavskji e quello di Stehler ed è chiaramente un atto d’amore per il teatro da parte di un uomo che nella vita aveva fatto per anni il regista e addirittura il professore all’Accademia di Arti Drammatiche a Roma.

Le dotte citazioni  : da Becket a Cocteau fino il sottilissimo sottotesto pirandelliano me lo avevano fatto amare più di tanti suoi libri –fotocopia degli ultimi anni.

Il protagonista è vecchio , stanco e deluso : manca nel telefilm il ridicolo vedersi allo specchio con gli abiti nuovi , penoso tentativo di rinnovarsi esteticamente ma il viso stanco di Zingaretti , stupito per quello che gli sta succedendo ,vale la visione.

Il fatto che lasci Livia era già scritto , evidentemente ben pochi in Italia leggono , anche se si tratta di un autore molto amato e molto venduto si tratta comunque di numeri molto piccoli in confronto all’indignazione a valanga che ha suscitato la visione dello sceneggiato.

Poi mi sorge anche un ulteriore anche più tragico dubbio : forse anche se lo avevano letto non lo avevano capito che la vecchia storia era finita davvero ?

Si sarebbe divertito davvero il vecchio sornione e astuto autore al sorger “di cotanto sdegno”, io penso proprio di si.

MY TV

Molti anni fa facevo parte di una struttura regionale che si chiamava Mediateca , ci lavorava una ragazza visionaria e colta che una volta ci intrattenne su una ipotesi futuribile: “in un domani prossimo ciascuno si potrà fare un proprio palinsesto televisivo” perché, ci spiegava, ci saranno tanti canali che al tempo ancora non esistevano e nei quali ciascuno potrà scegliere un suo percorso personale.

Ci ho pensato qualche sera fa , quando al solito , come un sentiero mentalmente tracciato mi trasferivo meccanicamente da un canale all’altro nell’ora serale in cui normalmente guardo la televisione.

Alle sette e mezzo su SKY TG mondo , mezz’ora di notizie allargate su quello che succede fuori dai nostri confini di cronaca , curato da un bravissimo conduttore: Renato Coen che ormai mi pare di conoscere personalmente.

Poi alle otto cambio veloce : vado sulla Sette per il TG di Mentana , non è un telegiornale asettico : Mentana è partigiano , qualche volta sopra le righe , ma il suo tg è il meno appiattito tra tutti quelli che passano in quell’ora canonica , ultimo e veloce passaggio vado su Classica dove mi diverto con le divagazioni quotidiane di Maranghi e Piccinini , specie l’aria sorniona di quest’ultimo mi diverte moltissimo.

Quello di cui parlano , spesso lo conosco perlomeno come loro , ma poi citano il buon Mattioli , Francesco Maria Colombo e mi sento di casa anche li.

In realtà questa è la realizzazione di quel MY TV prefigurato in anni lontani dalla colta ragazza della Mediateca delle Marche .

Da quando poi mi sono regalata un televisore nuovo e la versione aggiornata di Sky ho fiumi di canali nei quali potrei affogarmi ma che forse ancora non riesco a gestire come vorrei.

Dribblando molto tra tanto trash però se si entra attraverso il vocale nella parola magica si apre tutto un mondo di lirica e di sinfonica inimmaginabile solo pochi anni fa .

In realtà questo è l’unico rifugio per noi appestati e reclusi con poche prospettive di tornare a respirare l’odore vero dei teatri e la gioia dell’applauso liberatorio finale.

La differenza

Come ho scritto sulla mia bacheca ho ricordato la data della prima ( un fiasco!) della Traviata alla Fenice di Venezia e per commemorare doverosamente l’evento  un programma musicale ha trasmesso un piccolo attacco del duetto del terzo atto : Parigi o cara.

Lo ascolto , quello che canta è un tenore italiano , giovane e carino , la messincnena deve essere recente perché abbastanza rivisitata , ma c’è qualcosa che non mi convince e allora vado a prendere la Traviata di Parigi con Kaufmann e ascolto attentamente .

Mentre il seppur bravo tenore scandisce Pa-a-rigi o ca-ara noi lasceremo…Kufamann la dice tutta in legato , avvolge la soprano tra le braccia , sta a testa bassa e nella sua perorazione mette qualcosa che sembra volere dare forza e fiducia , anche se effimera.

Lo ascolto in un’altra edizione ( ahimè solo audio ) con la Netrebko a Londra . Stesso effetto e dalla foto di scena si capisce lo stesso atteggiamento protettivo e avvolgente. Forse a testa bassa , confuso tra gli abiti di lei la voce corre meno fluida , ma non è questo che conta , al fuoriclasse non interessa la messa in voce perfetta , a lui interessa l’emozione che si trasmette attraverso la splendida e anche un po’ usurata aria verdiana.

Nella mia vita di melomane ho avuto “ la disgrazia” di incontrare Kaufmann tardi e dico disgrazia perché ha vampirizzato tutti i personaggi che ha interpretato  e non è per colpa sua se dopo certe opere che hanno avuto questa sua specie di imprimatur, senza quel terribile confronto non riesco più a seguirle con la stessa emozione..

Quell’Alfredo sprovveduto e quasi adolescente , capace di cantare il Do della cabaletta correndo sulle scale , non è straordinario per la prestazione vocale soltanto , è un’interpretazione di quelle che lasciano il segno.

La Traviata di Parigi ( Con la Schäfer che vuole ricordare Edith Piaf ) non credo sia nei ricordi preferiti di Kaufmann , nel suo film racconto „ privato „ ne parla con una certa ironia , non gli era piaciuto come gli avevano lisciato i capelli, anche se poi nel terzo atto i suoi ricci tornano comunque fuori prepotentemente .

Non sa  quanto invece quanto quella sua interpretazione avesse  colpito al cuore le kaufmanniane doc!

dalla Bibbia

Genesi 12-2 . Il Signore disse vattene dal tuo paese .. e Abramo uscì da Ur e si incamminò verso il paese di Caanan…

La visione del vecchio Papa stanco in mezzo a quella radura , in quel deserto irakeno, sotto quella tenda pronuncia le parole con coraggio mentre sembra non avere più voce :”l’estremismo non deve trovare spazio nelle religioni “ e le pronuncia in una terra bagnata ancora , quasi ogni giorno dalla violenza e dall’odio .

Non si può restare indifferenti di fronte a questo Papa  che fa del suo corpo claudicante e stanco un messaggio fortissimo per le genti di tutte le religioni. 

La televisione rimanda queste immagini nelle News e ho letteralmente un tuffo al cuore :non credevo  di essere particolarmente sensibile a un evento come un ennesimo viaggio del Pontefice ma questa volta ho ripreso la Bibbia in mano per andare a ricercare la storia di Abramo e nelle dotte note della piccola Bibbia preziosa che tanti anni fa mi regalò un amico ho trovato anche le varie grafie con cui questo nome è riportato nelle scritture cuneiformi come a confermarmi quanto le tre religioni monoteiste si riconoscano in questa discendenza comune.

Profondo è il pozzo del passato..così inizia un bellissimo libro di Thomas Mann : Giuseppe e i suoi fratelli e veramente è profonda tutta la nostra vicenda umana che partì da quella terra fra due fiumi e che oggi il vecchio Papa è andato a visitare.

Intanto nella mia provincia siamo in zona rossa , praticamente in lookdown , anche se ormai non vogliono neanche più usare questa parola per non avvilirci troppo , nei fatti siamo chiusi nelle case o almeno dovremmo starci per ottenere qualche miglioramento nelle cifre spaventose che riguardano le terapie intensive e l’aumento dei ricoveri negli ospedali.

Non ho molto da fare , così in realtà ho molto tempo per seguire il viaggio apostolico , si può trarre vantaggi da tutto. In questo vuoto sono andata a riprendere la Bibbia, il libro dei libri che noi italiani cattolici leggiamo così poco.