Fine d’anno

Ieri mi è arrivato un piccolo pacco da molto lontano : un calendario con le bellezze della Lituania e una deliziosa scatola di dolci.

Il dono mi arrivava da Riga , da parte di un’amica deliziosa , di quelle che si trovano come un miracolo tra le astratte fila del web , una lontana affezionata lettrice del mio blog con la quale ci siamo anche incontrare fisicamente un giorno davanti all’Arena di Verona .

Con la curiosità tipica di chi tira le somme dell’anno trascorso ho voluto contare anche le mie piccole statistiche : nonostante il calo dei miei viaggi e quindi delle mie cronache musicali il mio blog è rimasto nella media statistica degli anni passati : nel 2022 ho avuto 35237 visitatori e forse a mezzanotte saranno qualcuno di più. Ovvero 35334.

E’ anche salito a ben undicimila il numero dei visitatori di un mio piccolo video privato e clandestino che rubai durante un concerto a Lubiana in Slovenia : Ombra di nube , non passa giorno che ancora qualcuno lo scopra  sul mio profilo Fb: quando lo confessai a Kaufmann durante la piccola cena che seguiva la cerimonia dell’assegnazione del Premio Corelli ci rise di cuore , anche perché gli dissi che avevo anche registrato un suo piccolo colpo di tosse.

Tra mezz’ora per chiudere l’anno in bellezza ( anno che in realtà di bellezze ne ha regalate ben poche ) mi connetterò sul canale dei Berliner e so che insieme a me molte altre persone nel mondo si uniranno in questo ascolto.

Non fosse per altro dobbiamo al grande tenore  , a Jonas Kaumann questo nostro legame fatto di gioia dell’ascolto e comune passione per la musica.

Buon anno a tutti , a quelli che tra un po’ si metteranno in ascolto e a tutti quelli che potranno recuperare il concerto su Arte per i prossimi tre mesi.

Magari ne parlerò anch’io.

Il ritorno di Charlotte

Il ricordo di un libro letto tanto tempo fa ,l’ennesima visione del Werther e la voglia di rileggere una storia che riaffiora dal troppo pieno di chi ha letto tanto ma che crede di essersi dimenticato le emozioni lontane.

Ho trovato il tempo , tra Natale e Capodanno i giorni sono più quieti, e sono andata a riprendere il libro nello scaffale.

La storia di Carlotta che arriva a Weimar ormai sessantenne per levarsi uno sfizio femminile è quanto di più sottilmente cinico poté venire in mente a quel grandissimo scrittore che fu Thomas Mann.

Carlotta a Weimar , rileggerlo è stato all’inizio anche lo stupore nel constatare quanto più elaborato ed elegante fosse lo scrivere nel secolo scorso .

La forma elegante e preziosa , la cura delle descrizioni , i personaggi tratteggiati con cura fino dall’inizio mi hanno colpito nella forma oltre che nella sostanza.

Il mito suo malgrado che si rivela ai lettori di un tempo stupiti di trovarsi di fronte la vera Charlotte di Wetzlar, quella giovinetta di cui si invaghì il giovane Goethe che rimase immortalata nelle pagine di quel libro tanto famoso e che fu ,si direbbe oggi ,il best seller di un’epoca .

Werther , tormentato dall’amore impossibile per Charlotte si sparò, non altrettanto fece il giovane Goethe che scrisse la storia dell’infelice e romantico giovane consegnando alla letteratura mondiale un capolavoro ma si guardò bene dal compiere il tragico gesto .

Lascio al lettore di oggi e al ri-lettore che come me hanno ripreso in mano il lungo racconto manniano la gioia di rileggere il sottile e ironico gioco delle parti dei protagonisti invecchiati.

La civetteria tutta femminile dell’anziana signora , il vestito galeotto di un lontano incontro , la curiosità sottile nella speranza di rinnovare un’antica  emozione , tutto raccontato con una lievità oggi impossibile da ricreare nella scrittura del nostro tempo.

C’è un orribile modo di dire oggigiorno molto usato dalle nuove generazioni : non si deve spoilerare , traduco per i vecchi : non raccontare come va a finire la storia .

Invito i miei lettori a divertirsi da soli , io mi sono ricordata la fine già dopo avere letto le prime dieci pagine!

Si crede di dimenticare ,invece tutte le emozioni sono semplicemente chiuse nei tanti cassetti della memoria .

25 dicembre

La città è scomparsa , nascosta da una fitta coltre di nebbia , di quelle nebbie tipiche di questo medio adriatico in cui si aggirano ombre mattutine: i forzati della corsa con il berretto di babbo Natale in testa , i ciclisti tenaci , i rari passanti senza meta.

Mi sento come il nonno di Amarcord di felliniana memoria : sarò forse già morto ?

Questo silenzio ovattato nasconde tutto e forse questo mondo bislacco pensa di nascondersi nella fitta nebbia per non vedere i migranti che muoiono di freddo sotto i cavalcavia , quelli in fila per un pasto caldo davanti alle mense dei poveri e tutti quelli che il Natale lo sentono come una ferita del cuore nella loro solitudine.

La Messa dell’Aurora , così si chiama la prima messa del mattino perché tanti molto più festosi sono andati in massa alla messa di mezzanotte , quella bella con canti , luci e suoni  e questa è invece una messa raccolta per intimi e beghine.

Celebra un sacerdote che non conoscevo , tanto era simile ad un altro altrettanto nero che invece celebra spesso in questa parrocchia che ho adottato come mia , tanto ormai la burocrazia ecclesiastica  non conta più.

Le letture sono molto teologiche , l’indifferenza regna sovrana.

Ma ad un tratto mi accorgo che dalle parole di una omelia niente affatto scontata mi arriva una bella citazione di Saint -Exupéry, un pensiero alto sul senso della morte che chiude questo nostro passaggio breve nel mondo.

Oggi celebriamo la nascita dal buio del nulla nel quale ritorneremo e forse in quel nulla c’è una scintilla che chiamiamo Dio , anche se ostinatamente gli uomini seguitano a chiamarlo con nomi diversi.

Penso a questa nostra nebbia che nasconde il freddo e il buio delle città ucraine , le impiccagioni  iraniane , i lager libici , le guerre e le carestie di tanta parte del mondo in cui noi siamo una piccola parte di privilegiati solo per il caso di essere nati in questa fetta di mondo tanto egoista che chiamiamo Europa.

Chissà se durante il giorno la nebbia si alzerà?

Auguri per tutti

Il buio si accorcia nel solstizio d’inverno , tutto avviene ed è Hanukà , ed è Natale e sono anche le Sigillarie : a Roma in questi giorni si regalavano ai bambini delle piccole statuine di bambinelli , piccole statuine di coccio per questo tempo festoso , un ponte di sosta prima dei Saturnali , ma quella è un’altra storia.

Qualche giorno fa ad un tratto mi è tornato in mente uno strano saluto che si scambiavano i cittadini di Ancona ebrei , una città piena di mercanti e porto di mare : Buon navale e buon anno commerciale! Ovviamente era uno scherzoso aggiramento della formula augurale .

Il buon commerciante ebreo , totalmente inserito  nella vita cittadina faceva gli auguri a modo suo e ancora ricordo quando giovine e straniera venni in questi lidi ancora qualche vecchio ci scherzava sopra.

Un cambio di consonante e una definizione dell’anno che ovviamente non coincideva col capodanno ebraico e le convenzioni erano salve .

Oggi tutto questo , anche l’aneddoto ebraico , non esiste più , un po’ perché di quegli ebrei osservanti in città non ce ne sono più e un po’ perché ormai , perlomeno dalle nostre parti è scomparso talmente il senso religioso che si farebbe fatica a pensare alla diversa religiosità delle genti.

Ma in questo tempo laico e poco osservante di ogni fede sopravvivono i rituali pagani , luci abbondanti in ogni strada e vetrina , festosità fittizia di canti natalizi che scendono sulle folle indaffarate per le strade affollate di finti mercatini con casette di legno anche a latitudini ben lontane dai mercatini veri , quelli del freddo e della neve.

Anche le musiche natalizie sono quasi tutte importate e tradotte , se si escludono un paio di classici : tu scendi dalle stelle e  venite adoriamo la quasi totalità dei canti è tradotta dal tedesco e in minima parte dall’inglese  e direi che sono tradotte anche male.

Questo è quello che offre il nostro tempo , una falsa festosità accanto però a un vero desiderio di ritrovarsi .

Tanti auguri a tutti!

Una docente

I suoi allievi dicevano che secondo loro la Bellagamba pensava in greco.

Minuta e determinata non era il terrore dei ragazzi che capitavano nella sua sezione , semplicemente si sapeva che con lei non c’erano scorciatoie e che dietro quella calma apparente c’era una docente comprensiva ma molto  rigorosa .

A me è capitato di lavorarci insieme , quando con molta incoscienza mi accingevo alla riduzione per il teatro scuola dei suoi sacri testi teatrali greci, qualche volta tagluizzandoli per motivi tecnici , qualche volta manipolandoli per renderli più appetibili per i ragazzi del Centro Teatrale.

Un suo mini garbato consiglio , una sua piccola correzione di rotta e di sicuro tutto migliorava nel risultato finale.

Poi tutto finisce , anche la bellissima storia del glorioso Centro e piano piano le insegnanti paladine del progetto sono andate in pensione.

Anche lei ci è andata via  ma seguitavamo a incontrarci spesso anche per la strada , per anni lei con una grande madre vecchissima che  ha assistito con rigoroso rispetto poi , rimasta sola  ogni tanto mi telefonava rinnovando il ricordo delle nostre bellissime trasferte siciliane , quando tra uno spettacolo e l’altro delle scuole a Palazzolo Acreide scendevamo a Siracusa per gli spettacoli dell’ Istituto Nazionale del Dramma Antico.

Piano piano però il tempo ne ha levigata la persona e la memoria : era diventata piccola piccola , quasi trasparente nelle sue vecchie improbabile giacche a vento che le cadevano addosso.

Un piccolo cencio con la sua prestigiosa memoria cancellata , i suoi saperi perduti : se n’è andata in silenzio ma resta nella memoria dei tanti suoi allievi ai quali lei , in tempi neanche tanto lontani , è riuscita ad inculcare un vero amore per quel mondo classico nel quale penso che alla fine si sia perduta.

Sull’ascolto dei Meistersinger

Leggo sempre e con molto piacere le riflessioni e le critiche di un illustre esperto in tutto : FMC e lo seguo dagli anni in cui mi deliziava con i suoi inarrivabili Papillon che poi ho ritrovato raccolti nell’Aristocratico di Leningrado a uso e consumo di coloro che non ne godevano su Classica.

Recentemente il Nostro è stato a Francoforte per dei Meistersinger che per una buona metà non gli erano piaciuti ( ah! la regietheater) e poi  ha cambiato idea attraverso una specie di divinazione circa il rapporto tra Eva e Hans Sachs. 

Strano , perché io quel rapporto nascosto lo avevo capito tanti anni fa in una edizione del Maggio Musicale al tempo in cui amavo i baritoni perché quel bel calzolaio di mezz’età mi aveva conquistato e avevo capito il nascosto desiderio della giovinetta. Era il 1986 e dirigeva Zubin Metha, il cantante era   Bernd  Weikl

Poi a Salisburgo , in una deliziosa edizione tutta in miniatura scoprii il lato tragico e umano di Beckmesser , non una caricatura ma un povero essere pensante e vittima della sua stessa intransigenza , di quello ricordo anche il nome : era Markus Werba.

Dove però divergo totalmente dal giudizio del colto spettatore è nel valutare come la figura più debole e incongrua sia nel ruolo  di Walther von Stolzing ;  ci credo se lo mascherano da cavaliere ridicolo delle fiabe o se  lo relegano a partner stucchevole da principe azzurro!

Ma se hanno avuto la fortuna che ho avuto io in ben due repliche di godere le fortunate peripezie di Jonas Kaufmann nel ruolo possono capire quanto divertente ed esplosivo sia il messaggio wagneriano affidato al rinnovatore musicale ( che poi è praticamente lui stesso).

Intanto la sua entrata in scena da cantautore con chitarra e cuffia auricolare al collo ci racconta già la sua estraneità al mondo ammuffito dei cantori , poi le gags si seguono , addirittura diverse in ogni replica  ( dalla clamorosa uscita alla fine del primo atto con il gesto dell’ombrello fino al divertente ruttino sul tetto del camioncino di Hans sorseggiando una lattina di birra ) , tutto un susseguirsi di gioiose invenzioni che accompagnano il canto mirabile che scorga con naturalezza e che lo porterà alla vittoria sulla Pegnitz

Tutto questo per dire che in una stupenda opera come sono i Meistersinger giocano con notevole importanza le capacità attoriali e di introspezione dei vari cantanti chiamati alla bisogna.

Dove sono perfettamente d’accordo col mio illustre esperto è nel dire che il Quintetto è una delle più belle pagine mai scritte in tutta la storia della musica  ( Selig vie die Sonne) dall’attacco di Eva fino alla fine è una pagina che quando il morale scende serve a riconciliarmi con la vita.

Ritrovare il segno

Un mare di melassa scende dai teleschermi inondandoci di tavolate di famiglie felici , di sorridenti scambi di doni sotto alberi di Natale sempre più brillanti mentre da ogni malefico altoparlante calano le caròle natalizie e contemporaneamente come in un film dell’orrore scorrono sotto i nostri occhi indifferenti le stragi  nella neve vera che mette freddo , non  quella sorridente e pubblicitaria delle stazioni sciistiche .

Avviene così che il Natale sia il giorno più odiato da miriadi di persone moderatamente infelici , spesso avvolte nel freddo della solitudine che diventa più evidente in cotanto buonismo imposto.

Dove sono più “ les neiges d’antan?”

Si dovrebbe cercare di ritrovare  il senso vero di questa luce che arriva dopo il buio del solstizio d’inverno e che poi per convenzione fu adottata dal Cristianesimo come luce divina che scende nel mondo a illuminare le genti.

Intorno si respira una speciale speranza che superi la ricorrenza e che  fu sintetizzata nel cereberrimo : – “e anche questo natale ce lo siamo levato dalle balle!” di un famoso cine.panettone dei felici anni ottanta.

Poi però avviene che , nonostante tutto quello che ho scritto finora per una specie di rito scaramantico io abbia finito per rifare il classico albero davanti alla vetrata e il presepio con le statuine sempre uguali e sempre più stupite di uscire ancora una volta dagli scatoloni della cantina .

Così una sera è venuto qui per pochi attimi il mio nipote più piccolo , un bambino vero che si è incantato davanti alle luci della sacra rappresentazione   , fermo e attento guardava incuriosito dietro i suoi spessi occhiali la scena che io cercavo di raccontare come un cronista laico.

Poi ha visto anche l’albero e mi ha detto : questo si vede di notte anche da lontano ! e anche se io so che non è vero la sua ammirazione mi ha intenerito.

L’unica strada possibile per recuperare il senso vero del Natale , quello con la maiuscola ,lo dobbiamo cercare  guardandolo attraverso con gli occhi di un bambino , forse solo così ne potremo ritrovare il messaggio e la poesia perduti.

Il campanello

Poi arriva un giorno in cui pensi che sia ora di finirla con questo blog , viaggi sempre meno frequenti , le occasioni più rare.

In un triste giorno di dicembre arriva anche la notizia dell’improvvisa scomparsa di un vecchio “compagno” che mi inondava quasi giornalmente di poesie o meglio di filastrocche ironiche .

L’ultima ha la data del 13 dicembre e ha questo incipit:
Dov’è che andremo privi di compagni e compagne , e bandiere nel gran vento?

Non ha molto senso parlarne in questo mio spazio sempre più privato e che ha statistiche gratificanti solo quando scrivo di quello che ormai sembra più un ricordo lontano piuttosto che una star mondiale e che ormai fatico a rincorrere nella fatica dell’età che avanza .

Ma eccomi qua ,: davanti ho il campanello da “ presidente di assemblea “ che ironicamente il mio caro ex compagno  mi regalò quando gli tolsi la parola nella mia rigida regola che “ tre minuti bastano anche al parlamento europeo… “ e a te che amavi fare lunghe dissertazioni sembrò un’offesa da lavare col sangue.

Stamani si sono alzate le nebbie costanti di questo Medio Adriatico così poco attraente alla fine dell’autunno , si è alzato un vento di terra che porta squarci di azzurro e anche se sto pensando di smetterla di raccontarmi ai generosi amici che mi seguono fedelmente mi sono messa ancora una volta davanti alla tastiera ,so che non avrò tanti Like, ma se questo che nacque come uno spazio di omaggio per un grande tenore nel tempo è diventato il mio diario pubblico oggi un argomento per scrivere ce lo avevo davvero ed eccomi qua ad annoiarvi.

Ma prima o poi smetto davvero , prima che siano costretti gli altri ad annunciarne la chiusura.  

Père, Père !

Ieri sera ho rivisto il Werther di Massenet in televisione sul canale Classica e nonostante che a suo tempo lo avessi rivisto tante volte ho provato ancora una volta la stessa emozione e ho subito lo stesso fascino che ormai dodici anni fa la visione di quello spettacolo parigino mi aveva procurato.

Negli anni ero pure andata a risentirlo al Metropolitan a NewYork  ma quel giovane disperato ,nel perfetto vestito indicato da Goethe nel suo capolavoro romantico , era stata una delle grandi emozioni della mia vita di melomane.

Jonas Kaufmann in quegli anni era veramente l’incarnazione dell’infelice giovane che tanto aveva fatto vittime nel tempo in cui il romanzo fu scritto e dopo un paio di secoli anche in tutti quello che lo sentirono all’Opera Bastille o ne videro il video diffuso da Arte-

La perfetta e scarna regia di  Benoit Jacquot  e anche la ripresa televisiva di  Louise Narboni che introduceva il protagonista già nelle quinte avevano avuto buon gioco nel trasportarci in quell’atmosfera semplice e rarefatta di quel microcosmo familiare di quella lontana provincia tedesca.

Mi ricordo che a suo tempo parlammo del cinema di Ingmar Bergmann per trovare qualcosa di simile e il povero Ludovic Tezier si è portato dietro negli anni con quella marsina amaranto l’ingrato ruolo del marito di Charlotte.

Nella ripresa video diretta il povero Kaufmann era davvero malato e in alcuni momenti sembrava soffocare nascondendo a fatica dei colpi di tosse che comunque aggiungevano , se possibile , ancora più fascino al personaggio.

Era l’epoca in cui aveva i suoi denti storti poi nel tempo sfoggiò l’attuale sorriso merito anche di qualche anno di lavoro di dentista.

Come molti ammiratori del tenore ho anche il DVD ufficiale nella mia ,credo integrale collezione di video ,ma ormai i video quasi nessuno li guarda più , se ne stanno allineati sulla scaffale a futura memoria.

Diverso è stato ieri sera rivedere sullo schermo grande della tv l’amato spettacolo.

Anche stavolta sono arrivata alla fine col cuore in gola.

Le notti della peste

Ho finalmente finito di leggere un libro lunghissimo che mi ha fatto compagnia per qualche settimana e mi ha divertito moltissimo.

Dello stesso autore avevo già letto altri libri ma Le notti della peste di Orhan Pamuk è particolarmente interessante anche se , devo ammetterlo , la inusuale lunghezza mi aveva inizialmente intimorito.

Invece questo fluviale libro- mondo si legge con leggerezza e pagina dopo pagina ci si accorge che dietro il presunto libro storico di denuncia corre una sottile e continua vena di umorismo , un disincanto totale verso tutte le storie ufficiali che tutti abbiamo letto e magari studiato durante la nostra vita .

Non inganni l’idea superficiale che sia un libro  sul Covid o che sia una denuncia contro l’attuale regime turco.

In realtà nelle pagine di Pamuk c’è un po’ di tutto , ma soprattutto c’è l’intelligenza dell’autore che smettendo i panni di narratore si fa portavoce di un’autrice apocrifa e con il sistema delle scatole cinesi ci racconta un libro- nel libro- nel libro.

Cosìcchè l’inesistente isola di Mingher diventa uno specchio del mondo e ci racconta con sublime ironia tutte le inutili storie di eroismi passati , tutte le leggende storiche più o meno plausibili che hanno riempito i nostri libri di storia.

Ne consiglio la lettura agli amici che abbiano avuto un po’ di domestichezza con la Grecia , la Turchia , le isole greche e che si ricordano un po’ di storia anche del nostro passato.

Con una felicità unica ci si trova a familiarizzare  con i deliziosi nomi inventati di tutti i personaggi , il gioco leggermente faticoso all’inizio si apre piano piano e la peste che invade le strade della incantevole isola , somma e compendio di tante bellissime isole sparse nel Mediterraneo ,diventa il pretesto su cui si fondano tutte le agiografiche vicende pseudo-eroiche delle nostre letture passate.

Parole nuove

Le notizie curiose di fine d’anno. C’è chi si diverte a cercare le parole nuove e gli stili di tendenza e allora la Oxford University Press ha studiato la le parole dell’anno e quella che è risultata vincente è Goblimode ( letteralmente moda del folletto ) e consiste nello stare comodi e rilassati come è successo durante il lookdown , quando costretti a stare in casa per lavorare e/o  per studiare si ricorreva allo smartworking e a tutte le forme di contatto remoto restando comodi e informalmente coperti davanti al computer .

Quando poi si è lentamente potuto tornare a uscire di casa molti che avevano scoperto la comodità di restare praticamente in felpa o in pigiama hanno rinunciato a fatica a questa conquistata libertà nel loro abbigliamento.

E’ nata così la goblimode , versone un po’ meno sciatta dell’abbigliamento casual diventato universalmente usato da chi si alzava dal letto e comodamente vestito spesso a metà si siedeva davanti al proprio pc.

Gli stilisti attenti e in generale i venditori di abbigliamento di moda hanno  introdotto sul  mercato una gran quantità di tute e felpe , rigorosamente bi-sex così che ciascuno , pure sentendosi gratificato nel nuovo acquisto, trovasse in giro tutta una gamma di outfit comodi e che contenesse quel tanto di modaiolo che ne giustificasse la spesa.

Giorni fa , cercando in vecchie riviste di cucina alla ricerca di una ricetta natalizia che non trovo più , mi è saltato all’occhio quanto la moda e il costume siano cambiati diciamo così dalla seconda metà del Novecento.

Addio alle cravatte , addio alle calze di seta , al mezzo tacco delle signore bene, addio alle teste cotonate , addio ad ogni forma di abbigliamento che ne indicasse la classe sociale.

Oggi è tutto appiattito in una libertà globale , giovani e vecchi , ricchi e poveri tutti in goblimode, non è detto però che questa libertà porti ad una nuova eleganza diffusa.

Mistero giallo

Leggo da qualche giorno strane storie di polizia cinese in Europa con uffici anche nel nostro paese e ad un tratto mi viene in mente una strana vicenda che riguardava un emporio molto divertente e pieno di mercanzia di ogni genere che stava nel vicolo dove passo ogni giorno per andare al parcheggio.

Da un giorno all’altro quell’emporio , un vero dedalo di stanze cariche di oggetti di ogni tipo : dalla cartoleria ai casalinghi , dai giocattoli alla biancheria l’ho trovato chiuso , sbarrato il cancelletto esterno, cartellino misterioso in caratteri cinesi e nessuna spiegazione in italiano.

In un primo momento avevo pensato che fossero andati in ferie , una famigliola gentile e sempre sorridente, poi sono passati i mesi e il mistero ha finito per non appassionarmi più fino a quando ho cominciato a leggere quegli strani articoli su misteriose stazioni di polizia cinese in Europa con finalità abbastanza vaghe e giustificazioni della loro presenza altrettanto risibili.

Il controllo della repubblica cinese sui cittadini all’estero sembra essere molto capillare , dal sistema delle rimesse economiche alle attività di dissidenti politici , tutto rientra in un calderone di controlli che è sembrato sfuggire per anni alle polizie occidentali.

Mi sembra impossibile pensare che quella sorridente compagnia di cinesi che lavoravano tranquilli nel loro fornitissimo regno potesse nascondere attività irregolari per il loro paese o peggio che complottassero contro la  loro patria lontana.

Certo è che da quando leggo certi articoli sempre più frequenti sui nostri quotidiani ho cominciato a guardare con occhi molto più incuriositi a quel cancelletto chiuso sull’emporio del vicolo che sicuramente nasconde ancora tutta la merce e che in nessun modo e in una sola notte penso sia stato possibile portare via.