Lear a Monaco

Ero rimasta affascinata dalla musica di Aribert Reimann già da diversi anni , una prima volta a Salisburgo ( La conquista del Messico) e poi a Firenze nel Maggio di due anni fa.

Sollecitata da mia sorella ero andata a sentire il Lear  , un’opera straordinaria , violenta e dolcissima e l’allestimento , che veniva da Parigi , era notevole e gli interpreti perfetti ciascuno nel proprio ruolo.

Ero quindi molto curiosa e dispiaciuta di non potere ancora andare a Monaco per rivedere questa opera che proprio qui aveva visto la luce per la prima volta nel 1978 con Fischer- Dieskau nel ruolo del titolo.

In religiosa attesa davanti allo schermo ho seguito la storia di questo povero re vecchio e impazzito , delle sue crudeli figlie Goneril e Regan e della dolcissima Cordelia.

Ebbene , soltanto chiudendo gli occhi e ascoltando ho ritrovato la magia perché l’allestimento mi ha veramente molto delusa .

Non si capisce proprio perché serva inscatolare  ( letteralmente ) la tragica vicenda in una sorta di freddo stanzone museale , non si capiscono gli orrendi costumi , se non si conoscono tanti momenti strazianti e ben resi musicalmente la cosa più probabile è che si consideri l’opera una “cosa moderna” da cui salvare alcuni momenti di lirismo.

Gli interpreti , tutti di altissimo livello ce l’hanno messa tutta a a cominciare da Christian Gehrahrer , protagonista molto considerato, alle tre figlie , tutti grandi nomi di cantanti specializzate nel repertorio .

Ma la tragedia non c’era e ne sono molto dispiaciuta .

Ricordo la foresta simbolica che si apriva e chiudeva , ricordo la capanna del povero Tom- Edmound ( e la prestigiosa idea del cambio di voce del cantante ) , ricordo l’abisso di Dover in cui vuole gettarsi  Glouchester , il vagare del Matto seminudo , la fedeltà di Kent .

Shakespeare grandissimo , Reimann pure, ma a mio avviso topica grandiosa del BSO, una vera occasione sprecata.

Ovviamente queste sono valutazioni “ da streaming “ di una povera ignorante , aspetto le recensioni titolate , eventualmente per ricredermi.

Resta la sensazione di qualcosa di bello da riascoltare con attenzione per rivivere le emozioni che già una volta questa musica mi aveva regalato. 

Una serata inutile

Sono tornata a teatro . Il residuo di un piccolo abbonamento di prosa ante-Covid , la platea piena compatibilmente con le norme restrittive , uno spettacolo che non cito e  di cui non voglio parlare perché non ne vale veramente la pena , farei cosa troppo gradita con una recensione.

Quello di cui voglio parlare è l’atteggiamento  del pubblico : risate ad ogni intercalare pesante , descrizione di un mondo che avrebbe dovuto essere in disfacimento senza però tentare una precisa analisi freddamente obbiettiva .

No , si respirava una complicità da “fiction” dove tutto era scontato : nel linguaggio dei personaggi , nella metafora troppo facile , nelle situazioni da “sit-com” le più banali in puro stile TV commerciale , del racconto di una vita che sembrava subita dai personaggi ma che in realtà ne alimentava l’essenza.

Ebbene , mentre io tutto sommato mi annoiavo mortalmente fino alla voglia , repressa per educazione , di alzarmi a metà e andarmene via ,il pubblico rideva alle battute scontate  fino ad applaudire l’improbabile finale tragico , messo lì proprio pour “épater” …i decelebrati spettatori.

Uscendo ho incontrato un uomo degnissimo che reputavo intelligente anche se mooolto di sinistra vecchio stile e gli ho detto che a  me lo spettacolo non era piaciuto e lui serafico : io mi sono commosso!

Tornando verso la macchina mi sono messa a ragionare cercando di trovare un perché a tanta decadenza culturale . Troppo facile parlare solo del ventennio berlusconiano e ho cercato di spiegarmi il gradimento popolare rifacendomi  alle farse aristofanesche , agli spettacoli sguaiati del Globe Theatre ( non c’era solo Shakespeare in scena! ), ma il paragone non reggeva.

C’è qualcosa di veramente marcio in questa “Danimarca contemporanea “, forse sono veramente una persona sopravvissuta che è arrivata a vivere decisamente oltre il proprio tempo.

Sognatori di navi

In anni lontani , in possesso di una prestigiosa tessera nazionale AGIS  in una delle mie tante vite andavo al Festival del Cinema di Venezia per intere settimane.

Fu così che verso la metà degli anni ’90 per caso una mattina andai a vedere un film di quelli meno pubblicizzati e mi trovai tra tanta gente che si aggirava ammirata intorno ad un signore di mezza età biancovestito di cui non sapevo nulla : era A’lvaro Mutis . scrittore cileno e il film “Ilona llega con la lluvia “ 

( Ilona arriva con la pioggia ) era tratto da uno dei suoi romanzi.

Fu così che conobbi le storie di Maqroll il Gabbiere e di Abdur Bashur e mi persi nelle loro avventure di mare e di sogni .

Comprai tutti i libri che riuscii a trovare ( ricordo lo sguardo di un commesso in una grande libreria romana : anche lei lo conosce signora ? e nei suoi occhi brillava la complicità.

Leggere Mutis per una come me che ama l’odore dei porti , quel misto di catrame e ferro mischiato con il cordame bagnato,  è stato un innamoramento a prima vista .

In questi giorni ho ripreso in mano il primo di quei libri che avevo letto ormai più di venti anni fa , un Adelphi molto stropicciato , evidentemente letto da molti nelle estati in barca : L’ultimo scalo del Tramp Steamer e da li ho ripercorso il cammino di una lettura  che mi aveva davvero affascinato.

Ho scoperto poi che quel signore biancovestito se ne è andato già da molti anni ,ma lo scrittore che Garcia Marquez non esitava a indicare come uno dei più grandi della nostra epoca  meriterebbe una maggiore conoscenza tra coloro che amano ancora leggere , anche nel nostro paese.

La smusurata preghiera di Fabrizio De Andè è ispirata a questo grande poeta  e scrittore e la sue opera sono tradotte in moltissime lingue.

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Non c’è un’ordine cronologico nelle storie di Maqroll , ci si perde nei suoi molti itinerari trai fiumi limacciosi del Sudamerica  e tra le nebbie dei porti del Nord Europa .

Avventurieri , farabutti fantasiosi con una strana morale disincantata si muovono tra bordelli di Panama e sordidi alberghi di Amburgo. 

Si viaggia moltissimo , con ironia e senso del tragico nel racconto di vite sempre sul filo di una  legalità improbabile  : a Marsiglia come a Beiruth , a Trieste come a Maracaibo.

Auguro a chi voglia intreprendere questo viaggio fantastico nel mondo molto “conradiano” di Mutis la stessa gioia che ha procurato a me , non solo leggendolo la prima volta , ma anche adesso che ho ripreso in mano i suoi molti libri , purtroppo non tutti trovabili.

Destino

Ci sono dei giorni in cui non hai voglia di aprire la televisione e quando l’ho accesa sono andata direttamente ad ascoltare musica evitando con cura le news.

Ancona non sapevo i particolari sulla tragedia della funivia e già mi immaginavo i fiumi di parole e di sciacallaggio mediatico che si sarebbero puntualmente scatenati dopo.

Io che da vecchia sciatrice ho preso tante e tante volte le funivie confesso che sono sempre stata contenta di mettere piede alla stazione di arrivo e durante il viaggio applicavo sempre lo stesso distacco che comunque provo quando sono in aereo.

Destino : al dilà di ogni colpa , negligenza , incuria , fatalità mi sono sempre domandata quando succedono queste tragedie . Perché.

Perché non la cabina che scendeva , perché non quella prima , perché l’appuntamento col destino ci aspetta sempre puntualmente e le modalità non le scegliamo sicuramente noi.

Una volta Dino Buzzati scrisse un bellissimo pezzo sul Corriere che riguardava una delle più assurde vicende a proposito delle funivie .

La funivia del Lagazuoi  ( quante volte l’ho presa!) ebbene quella volta fu un aereo militare a tranciare i fili volando troppo basso.

Mi ricordo che lo scrittore aveva raccontato le vicende degli sciatori ignari che salivano su quella cabina e terminava scrivendo : In quello stesso  momento l’aereo partiva dall’aeroporto di Aviano.

Perché c’è qualcuno che si trova sempre lì dove non dovrebbe essere , perché quel treno , quell’aereo , quella funivia , perché quel giorno preciso ?

C’è un’opera di Verdi che amo tantissimo , ma è l’Innominata per eccellenza , sembra che la parola destino faccia davvero paura anche solo a pronunciarla.

Comunque avevo trovato abbastanza curioso ascoltare all’aeroporto di Barcellona” la voce celeste” che in spagnolo avvvisava la partenza di un volo 

A destino : Madrid. 

Ci dovevo salire e trovai che la lingua spagnola non era divertente , era la verità che cerchiamo sempre di rimuovere come se non toccasse mai a noi essere puntuali ad un certo appuntamento .

Forse che una certa mia componente psicologica abbia  radici lontane ?

Magritte in carne e ossa

Ho avuto una strana visione :un quadro di Magritte camminava per strada davanti a me.

Pioveva e un uomo aveva ben pensato di mettersi un cappello in testa invece di aprire l’ombrello: avanzata verso di me e tra le tesa del Borsalino , gli occhiali e la mascherina l’uomo era letteralmente senza volto .

Un Magritte in carne e ossa .

Sono andata a ricercare una riproduzione che mi restituisse l’immagine e ho trovato questo famoso quadro nel quale in realtà il volto umano è parzialmente nascosto da una mela , non sono capace di fare giochetti con le immagini sostituendo una maschera alla mela , ma quell’uomo senza volto era davvero l’immagine estrema di questo senso di mistero che ci ha accompagnato ormai per tanti mesi.

Qualche volta ci si guarda per strada e ci viene da domandarci . chi sei?

La maschera ci ha resi tutti più simili , sicuramente a me ha regalato qualche anno nascondendo le rughe e le guance che cadono insorabilmente.

Qualche tempo fa , una sera in cui ero particolarmente depressa avevo deciso di truccarmi prima di uscire per una banale commissione ed è stato divertente accorgermi che quel poco di trucco che mi ero messa aveva in realtà ottenuto solo l’effetto di sporcare irimediabilmente la mascherina , ormai da buttare.

Che si arrivi alla nostalgia da maschera? Per tutti coloro che sono costretti a tenerla per lunghe ore lavorative penso sarà un sollievo ritornare a respirare liberamente , ma quel senso di mistero e di appiattimento che coprendoci il volto ci ha resi meno riconoscibili indubbiamente ha avuto il suo fascino , il mistero delle donne velate d’Oriente sarà pià comprensibile dopo questa faticosa stagione di maschere obbligatorie per motivi sanitari.

Ho scoperto il voluttuoso incanto della negazione del proprio io a disposizione di tutti , il rivelare interamente il proprio volto in realtà sembra essere ritornato un privilegio elitario .

Lo sapevano bene a Venezia dove le “bautte” concedevano una libertà ben maggiore a coloro che le indossavano .

Insomma : dall’incontro angosciante dell’uomo invisibile alle riflessioni elitarie il passo è breve , ma guarda cosa ci può fare scoprire anche una tragica pandemia !

Comunque , mi raccomando , per ora tenere la maschera non è solo una romantica voglia di mistero , è obbligatoria e guai a tenerla a bandolera sotto il mento e col naso scoperto .

Per questo ci correggono i bambini in età scolare , loro sono bravissimi a indottrinarci:- nonno , metti la maschera perbene!. L’ho sentito davvero un bambino redarguire così il nonno all’uscita di scuola.

La vela gialla

Dal Canzoniere di Umberto Saba :

passò una barca con la vela gialla , che di giallo tingeva il mare sotto ;

e il silenzio era estremo .

Questo verso di una poesia intitolata “In riva al mare”  è secondo me il verso poetico perfetto e da sempre amato .

Lo associo ad un quadro di Egon Schiele : Barche a Trieste , un piccolo quadro che mi emozionò quando vidi a Vienna una mostra all’Albertina interamente dedicata a lui.

Oggi sono andata a ricercare il libro per essere sicura di fare una citazione esatta e sorridendo ho scoperto che da sempre su quella pagina c’era un segnalibro.

In tempi lontani anche io ho attraversato un periodo nel quale mi esprimevo più facilmente attraverso la poesia , un periodo in cui non mi andava di scrivere più compiutamente e il verso sembrava la forma più vicina alla mia necessità di espressione e per la perfezione di quel verso ho sempre provato una specie di invidia.

La pittura e la musica dovrebbero essere equiparate a scuola alla poesia , non  come un gioco intellettuale ,ma come facile inquadramento di epoche storiche , ricordo le mie lontane battaglie di quando facevo teatro  , spesso mi intrattenevo con i ragazzi dopo la prova  e si scivolava da un argomento all’altro .

Così attraverso la poesia si arrivava alla pittura , dalla pittura alla musica e le associazioni arrivavano con grande facilità : fu così che arrivammo a Mahler in un percorso che sembrava una scoperta individuale ed era invece frutto di una concatenazione collettiva e ancora oggi quando ritrovo i miei ex-attori , molti nella vita non hanno più coltivato certi interessi ,però si fermano volentieri a parlare di quelle “ costellazioni” che avevano arricchito il nostro percorso ed era lontano da ogni accademismo scolastico.

Pensieri sparsi

Mi è entrata in testa una frase , è una mitica risposta di Gurnemanz a Parsifal quando il ragazzo dice pressappoco che sta perdendo il senso del tempo e dello spazio e allora ecco la risposta : vedi figlio mio : qui lo spazio diventa tempo . Lo scrivo in italiano anche se in testa mi ronza in tedesco , il mio povero balbettante tedesco di scuola da terza età.

Ho anche notato che la frase sembra risuonare palindromica , tempo e spazio si confondono nella memoria tanto che una persona amica l’ha citata al contrario in un suo post .

Poi chissà perché mi viene da collegarla a Franco Battiato , in fondo Wagner da quel gran fantasista che era giocava con i suoi testi e anche con i nomi : (Amortas – Infirmitas) e il cantautore scomparso ieri ,come il grande compositore ,si divertiva a spiazzare con i versi i suoi adoranti seguaci.

Qui mi immagino le urla di scandalo dei lettori inorriditi dall’avere accostato il tanto alto con un paragone che può sembrare imbarazzante.

Ma tant’è.

Ho scoperto che la notte può sembrare meno lunga da attraversare ascoltando il preludio del Parsifal che ha in sé qualcosa di ipnotico per la mia mente , ascolto e mi scorrono avanti le immagini di questo difficile ultimo anno  privo di riferimenti precisi : i mesi si assommano in un vago passaggio da un arancio ad un rosso, poi di nuovo alternati . Sempre senza prospettive .

Mi sembra altamente ridicolo festeggiare un’ora d’aria in più , come se la cena fuori o l’orribile “ape-cena” fossero il fine ultimo della vita sociale.

Ridicolo è anche lo spasimante desiderio di sposarsi quando ormai il calo delle cerimonie di nozze era diventato una costante del nostro vivere civile , forse che il non poterlo fare ha riesumato voglie e tradizioni sepolte dalla modernità?

Cominciano ad affastellarsi le notizie di programmi futuri : si sprecano le Tosche e le Traviate con molti ritocchi in corsa , ho la sensazione di stare alla finestra di un mondo che riprende ad agitarsi .Per ora ritengo prematuro pensare a viaggi all’estero anche se domani sarei stata volentieri a Vienna , la testa corre ma  i piedi sono ancora di piombo.

Centro di gravità permanente

Strano che il mio ricordo più vivo di Franco Battiato sia legato ad un altro grande cantautore prematuramente scomparso .

Ma una sera durante una serata in memoria di Fabrizio De André quando tutti cantavano un omaggio al poeta scomparso Battiato scelse per ricordarlo di cantare una canzone triste e bellissima : Inverno e non riuscì a finirla per l’emozione.

Fu un momento di grandissima tensione e stranamente stamani quando ho letto la notizia della sua scomparsa ho ricordato quel momento , quella voce rotta di pianto , quel volto affilato di antico intellettuale mediterraneo.

Era una voce che veniva da lontano , gli echi arabi mischiati alle parole colte e inusuali , la sua collaborazione con un poeta ci avevano regalato dei preziosi momenti di raffinata eleganza , il senso del mistero delle sue melodie che partivano da tanto lontano eppure stranamente riuscivano ad arrivare anche ad orecchie poco aduse a tanta elegante musicalità.

Il suo concerto dall’Hangar Bicocca era stato perfetto , le sue musiche in mezzo ai Sette Palazzi Celesti di Anselm Kiefer sembravano avere trovato la scenografia più consona alla sua eleganza misteriosa .

L’uomo seduto sul tappeto , come su un piccolo altare , le mani volteggianti nel vuoto, la cura che metteva nelle sue parole e La cura , la canzone d’amore più bella che una persona avesse mai dedicato ad un suo simile,

resteranno a ricordare un intellettuale coltissimo , un grande musicista , un testimone prezioso della sua Sicilia raffinata e inusuale, il suo modo di dirci “ e ti vengo a cercare”

Errata corrige con nota

Mi capita spesso , quando cerco di stare “ sul pezzo” il più rapidamente possibile di commettere anche grossolani errori ma per fortuna ho un carissimo amico , mio correttore ufficiale ,che arriva in soccorso e mi fa notare lo svarione .

Nel caso avevo scambiato la perorazione di Sigmund  Wälse con quella di Sigfrido Notung, ma se ne era accorto subito solo lui!

D’altronde sui miei sbagli è velocissimo : una volta avevo addirittura scritto Donizetti con due zeta e un’altra volta avevo sbagliato il cognome di un noto baritono , ma il mio affezionato amico –correttore interviene con garbo e io corro al riparo .

Non semplicissimo perché devo correggere sul PC, sull’Ipad e sul telefono nonché  sui vari siti dove diffondo le mie modeste note quando c’è di mezzo JK   e di solito pasticciando parecchio.

Mentre stavo allegramente cercando di correggere mi è arrivato una misteriosa mail praticamente con soltanto un titolo e un autore .

Il mistero l’ho risolto riconoscendo l’autrice , un’austera vestale monacense alla quale in tempi beati porgevo il mio saluto ricevendo in cambio solo un teutonico cenno del capo.

La informatissima signora in questione mi aveva scritto : Frülhing – Edvard Grieg. Ci ho messo un pò a capirlo , poi ci sono arrivata . Era evidentemente il titolo del Lied cantato da Lise Davidsen che avevo cercato invano leggendo la stampa bavarese ( BR Classik e Mercure online) , ma nessuno l’aveva citato.

La signora in questione non aveva ritenuto di aggiungere altro e io comunque la ringrazio pubblicando questo post tardivo . Avevo immaginato , dal fatto di non capire la lingua in cui il soprano cantava che doveva essere nordica  (avevo azzardato Sibelius o Grieg ) ma non avevo osato di più e avendola già ammirata nel Fidelio londinese , quello finito con poche repliche causa Covid, al tempo ne avevo scritto molto bene  perché mi aveva colpito la sua forte voce nel primo atto , quando vestita da uomo era perfetta e credibile.

Il secondo atto , quando il cencioso Florestan se ne stava incatenato sulla roccia non mi aveva consentito di notare quanto fosse gigantesca la sua figura.

Ho scritto infatti adesso che la vedo bene in vesti wagneriane o anche in Turandot, ma tenendola sempre ben distanziata da tenori dalle stature più o meno normali. Il mio senso estetico ne risente troppo. 

Che ci posso fare, sono una inguaribile romantica : lui „deve“ essere sempre più alto di „lei“.

Un regalo dalla Baviera

Confessiamolo .Chi di noi un giorno non ha amato quel Sigmund dalle lunghe chiome che non riusciva a sciogliere il nodo che teneva legati i capelli mentre cantava il suo incestuoso inconsapevole amore per sua sorella Siglinde?

I pochi fortunati presenti quell’anno al Met e i milioni che l’hanno amato grazie al DVD erano tutti ieri sera davanti ai loro schermi , più i fortunati 700 presenti in sala ( un terzo degli abituali spettatori) , giustamente emozionati per questa ripresa semiscenica del primo atto della Walküre.

Giustamente a Monaco , è lì che echeggiarone quelle note per la prima volta ed è lì che con questo memorabile primo atto che si è ripresa dopo un anno di triste vuoto operistico l’attività del teatro col pubblico ed era davvero emozionato anche il Sovrintendente nel breve saluto di benvenuto agli happy few presenti.

Poi sono entrati nell’ordine il direttore Ashel Fisch e i tre cantanti : in frack gli uomini e in nero la gigantesca Lisa Davidsen.

Il tremolare dei contrabbassi e l’entrata di Kaufmann ci hanno fatto entrare nel modo incantato dell’opera dove si raccontano fatti straordinari che conosciamo tutti benissimo ma riviviamo intensamente attraverso le note struggenti  :ci raccontano di questo grandissimo amore che trasuda da ogni accordo e questo è il grande fascino segreto, il miracolo si ripete .

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Jonas Kaufmann è come sempre in lui un tutt’uno con il suo eroe dal triste segnato destino : la sua invocazione al padre :Wälse ! (non stiamo a contare i secondi della tenuta ) tanto è sempre straordinario come  il suo sciogliersi nel canto d’amore “quando il vento d’inverno cede alla luna” :

Non forza mai i toni , ormai la sua maestria è tutta nel dosare con perfetta dizione il fascino del suo canto .

Diversa Lise  Davidsen , leonessa wagneriana dalla enorme voce, starà molto bene a Bayereuth e altrettanto perfetto e sicuro nel ruolo di Hunding Georg Zeppenfelds ( non ha neppure lo spartito davanti.)

Ogni tanto l’inquadratura della sala ci mostrava il bianco fantasma dei senza volto , le orribili anche se preziose maschere che ci ricordano la nostra condizione di precari spettatori , un filo di angoscia in realtà me lo mettevano e forse per questo che i presenti in sala hanno cercato con forsennata caparbietà di applaudire come se fossero davvero tutto il teatro esaurito in ogni ordine di posti.

Poi , per la gioia di tutti ,i tre cantanti accompagnati al pianoforte da Fisch hanno offerto ciascuno un bis: preziosissimo ( per me ) Träume dai Wesendonk Lieder cantato da un Kaufmann in estasi beata , un non meglio identificato canto della Davidsen, molto omaggiata in sala e infine con preziosa citazione il brano di Zeppenfeld  “ Wie schön is doch die Music „ dalla Donna silenzosa di Richard Strauss  che poi finisce „ In diesen Zeiten“.

Appunto :quanto è importante la musica in questi nostri tempi pesanti.

Ritorno a teatro

Riapre il teatro delle Muse: ho un vecchio abbonamento per quattro serate di mini spettacoli: atti unici che dovevano essere rappresentati lo scorso anno , poi si sa , tutto saltato , non avevo chiesto rimborso , anche per l’esiguità della cifra.

Quindi ritorno a teatro e mi attende la trafila : certificato attestante la mia immunità, data , firma e coda in attesa di entrare sotto la pioggia .

Ma la gioia di ritornare …a casa è tanta  e mi siedo soddisfatta,distanziatissima, in platea .

Per un teatro da 1089 posti solo 250 spettatori, ma credo che in realtà siamo anche meno ,e qui comincia la parte divertente : come si diceva “ fatta l’Italia bisogna fare gli italiani “ parafrasando bisogna rifare gli spettatori .

Abituali a stare davanti alla tv tutti parlano a voce alta ,colgo un commento prezioso : ma se è un monologo perché tanti nomi sulla brochure ? 

Ovviamente si tratta di testo , musiche ,luci e quant’altro può servire , ma  la gentile signora non si da pace e lo chiede a chi le sta vicino , si fa per dire ,e parla come se fosse in fondo a un corridoio.

Poi ovviamente tutti si chinano a guardare il proprio I Phone , magari succede qualcosa nel mondo che nel momento può sfuggire e allora le lucine che distraggono , come lucciole , si accendono continuamente.

Lo spettacolo dura poco “ la brevità gran pregio “, come canta Rodolfo nella Boheme e la corsa verso l’uscita ( paura del coprifuoco?) è un po’ triste per il bravo attore- autore che comunque ringrazia i coraggiosi tornati all’ovile.

Lo spettacolo non è male , l’autore – attore molto bravo ma la prevedibilità del fatto di cronaca molto triste che racconta è talmente scontata che lo sai fin dall’inizio come andrà a finire.

Penso con nostalgia al bellissimo Parsifal che non smetto mai di rivedere/ risentire e mi manca la musica.

Comunque uscendo dal teatro dopo avere appassionatamente battuto le mani e ottenuto il commoso saluto dell’attore torno a casa e accendo la tv , riflesso condizionato e passo ad ascoltare la coda di un concerto .

Quando riuscirò ad ascoltare di nuovo la musica dal vivo?

La sindrome di Stoccolma

Non l’avrei mai creduto , ma sabato mattina ho avuto paura e sono fuggita davanti alla folla che sciamava sul Corso della mia città.

Era quasi mezzogiorno e girato l’angolo da una piccola traversa mi sono trovata davanti una marea di persone , tutte o quasi con la mascherina d’ordinanza , alcune col cane , a gruppi , a coppie  o in piccoli allegri assembramenti di conversazione.

Niente di allarmante mi dicevo mentre il cuore a cominciato a battermi forte e una violenta nostalgia del vuoto pandemico mi ha quasi provocato un malessere fisico . 

Nessuna irrazionale paura , non ce ne era obbiettivamente motivo ma una feroce nostalgia del silenzio della strada vuota , un rimpianto per una felicità perduta , qualcosa che aveva a che fare con l’inconscio più profondo.

Respirando affannosamente sono corsa a riprendere la macchina e solo arrivata a casa , nel silenzio periferico del mio piccolo giardino ho cercato di analizzare in maniera ragionevole il mio irrazionale stato d’animo.

Non si può , neanche per scherzo, pensare di avere nostalgia di un incubo però  io l’ho provato  e ho anche pensato con preoccupazione cosa mi capiterà quando ( ed ecco l’assurdo della mia reazione), finalmente potrò riprendere un treno o l’ancor più desiderato aereo.

Fra i tanti strascichi che questo maledetto virus ci lascerà , se e quando ci lascerà davvero , ci sarà anche la diabolica nostalgia del silenzio e del vuoto delle pesantissime quarantene che tutti abbiamo fatto e che non vedevamo l’ora che finissero.

Pensavo fosse una reazione isolata , da persona anziana, poi leggo del solito studio americano fatto da eminente università e scopro che anche ai giovani quello che mi era sembrato il pensiero stupido di una vecchia matta è un fenomeno ricorrente anche in persone decisamente molto più giovani.

Meno male , pensavo di essere un caso di imbecillità isolato , invece pare che si tratti di una variante in questo caso non del virus ma della altrettanto nota “ sindrome di Stoccolma “, ovvero la nostaglia del prigioniero per il suo imprigionatore.