Concerto a Roma

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Roma -Auditorium Parco della Musica – concerto diretto da Ivor Bolton in sostituzione di Myung  Whun Chung  infortunato . Dopo la  sinfonia n.39 di Mozart il clou del programma : lo Stabat Mater di Rossini in occasione dei 150 anni  dalla morte del compositore.

Dopo un paio di mesi di digiuno musicale mi sento appagata dalla  musica dal vivo.

In ottima compagnia , incontro anche amici vecchi e nuovi  e che la festa abbia inizio .

Questa preziosa composizione è  interessante anche perché rompe il silenzio di Rossini , chiuso nella sua nevrosi che nasconde la grande crisi personale  dopo l‘ultimo suo capolavoro , il Guglielmo Tell.

Nel pubblico silenzio però ,  su sollecitazione di un amico banchiere spagnolo e con la promessa che questa musica non sarebbe uscita dalla sfera privata compone questo Stabat con la promessa di farne un uso strettamente privato.

In effetti il  grande pesarese  questo silenzio se lo era  imposto nel suo rifiuto di riconoscere l‘evoluzione musicale del Romanticismo .

in realtà  sappiamo che alla fine ,per motivi particolari in realtà  il compositore fu   costretto a rimettere le mani alla  sua  composizione che non voleva fosse eseguita monca della sua creatività.

Lo Stabat Mater, opera forse fuori tempo , resta comunque ( insiema alla Petite Messe)  , il regalo di un genio che forse si considerava superato , ma che con la sua grande arte ci regala ancora oggi una pagina mirabile .

Ripreso dalla sequenza dei versi di Jacopone da Todi la partitura si articola in nove parti che partendo da compianto della Vergine attraverso l‘invocazione del Figlio si arriva alla mirabile chiusa corale che chiude circolarmente la stupenda pagina.

Mentre ascolto mi viene di pensare una cosa particolare  : le quattro voci soliste sono tutte italiane , caso raro e sono tutti e quattro giovani , il che mi da un motivo di speranza  per il futuro della nostra musica.

Due addirittura li conosco da tempo , cioè da quando ad Ancona si faceva ancora della buona musica con giovani cantanti  , come usa dire , di belle promesse.

La compagine è composta da Eleonora Buratto , Veronica Simeoni  , Paolo Fanale e Roberto Tagliavini e si esibiscono coadiuvati dal grande coro mirabilmente preparato da Ciro Visco.

Devo dire che il reparto femminile è decisamente prevalente : Eleonora Buratto brilla di una voce aperta e sicura che sale agilmente , la sua maturazione è percepibile , una grande voce italiana ormai.

Veronica Someoni mi si rivela , aldilà dei suoi recenti successi , una voce interessante sul versante interpretativo , mi piacerebbe sentirla in un repertorio liederistico , per me potrebbe essere una sua strada interessante .

Paolo Fanale , alle prese con l‘aria più nota e impervia dell‘intera composizione parte sicuro e brillante , forse però tutti abbiamo nelle orecchie tante interpretazioni preziose , credo debba seguitare a studiare , la sua qualità vocale lo merita.

Chiude il basso Roberto Tagliavini , corretto e preciso ,non ha dalla sua una pagina che ne valorizzi appieno la vocalità e forse è il più penalizzato dagli scolastici inserimenti corali.

Chiude la grande corale a cappella che riprende l‘incipit e ci  procura un vero brivido finale .

 il Cigno di Pesaro è stato onorevolmente omaggiato anche dalla nostra più prestigiosa compagine orchestrale.

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Kaufmann forever

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foto del magico , inossidabile Angelo Capodilupo

Chénier con le braghe e gli stivali di Cavaradossi.

Fa molto Finis Austrie questa rappresentazione viennese dello Chénier:

scene vetuste , abiti recuperati qua e là , parrucche polverose.

Ovviamente le due superstar Hartesos e Kaufmann si divertono , il pubblico delira , specialmente le spettatrici, il teatro sold-out, l’operazione perfettamente riuscita.

Resta da vedere se questa tappa viennese del must di Umberto Giordano , per molti anni lontano dalle scene, resterà memorabile negli annali dello Staatsoper viennese.

Personalmente ho smesso da tempo di rincorrere il cosiddetto “repertorio” , aspetto il grande cantante a più grandi imprese o anche riprese , ciò non toglie che il 29 mi metterò davanti allo schermo se non altro per godermi  “passa la vita mia come una bianca vela “, aria che mi da sempre un’emozione lontana , come un ricordo d’infanzia.

Perché Andrea Chénier è un’opera azzeccata , certo Giordano non è Puccini ,taglia con l’accetta le emozioni , ricorda molto la Rivoluzione francese dei clichés tipo “ il popolo ha fame , dategli le brioches” e i romanzi della Primula Rossa che ormai non legge più nessuno , ma …ma se c’è un tenore bello e impossibile la storia funziona eccome.

Alla povera soprano , schiacciata dall’impossibile paragone callasianodella “mamma morta” restano le briciole , anche se sei la stangona e compagna fedele Harteros .

Poi c’è sempre la scommessa sull’attacco dell”ora soave” ..riuscirà il nostro eroe a prendere quel diabolico “là” senza rete …?

 

 

Scuola e teatro

Unknown

 

Ho vissuto gran parte della mia vita frequentando il mondo della scuola : ho insegnato , sono stata rappresentante dei genitori nelle scuole dei miei figli e soprattutto ci ho lavorato  come operatore teatrale fino a che una preside molto ambiziosa ha pensato bene di levare il teatro classico antico da un liceo classico per sostituirlo col musicale potenziando un bel progetto fallimentare come il liceo musicale dal quale non è uscito neppure un  ragazzo acculturato davvero musicalmente .

Ma ormai è tutta acqua passata .

Di questi giorni è la polemica suscitata da un ‘Amaca di Michele Serra , che condivido , nella quale l’autore ha avuto il torto di dire quello che sanno tutti e cioè che è molto più difficile insegnare in una scuole tecnica o professionale che in un liceo  e ..orrore orrore gli sono saltati tutti addosso con accuse di classismo .

Serra ci ha pensato da solo a chiarire il suo pensiero , ma stamani un post di una persona intelligente ha aperto anche un’altra prospettiva di intervento .

 

Riporto testualmente il brano finale :

io sono un’insegnante di teatro (in Italia, sì, pensa che pazza!) e non posso far a meno di notare quanto poco credibile sia la sua performance: ( si riferisce al video incriminato del ragazzo che minaccia il professore) I ragazzi che si comportano così hanno un disagio e delle energie da incanalare: qualcuno spieghi loro che il pubblico dal vivo di un teatro darà probabilmente meno fama di questa video-perfomance ma è sicuramente più appagante sotto tantissimi punti di vista. POTENZIATE IL TEATRO NELLE SCUOLE! PER DAVVERO! Diamo a questi ragazzi quello di cui hanno davvero bisogno: essere visti, sicuramente vivono in qualche situazione di invisibilità che non conosciamo.

 

Certo che è una osservazione marginale oltre che provocatoria , se non fosse che per trent’anni ho visto e fatto tanto teatro scolastico  (di ogni ordine e grado , come si dice nel linguaggio ministeriale ) e so quanto faccia bene esternare disagi e limiti nel momento in cui si chiede ai giovani di imparare alcune banali regole comportamentali : stare fermi , non gesticolare inutilmente , esercitare la memoria .

Aggiungo anche che forse un corso di autostima teatrale farebbe bene pure ai docenti , una volta insegnare era una missione , oggi è un lavoro di ripiego , oltretutto sottopagato e ovviamente  di conseguenza sottostimato.

 

Non tiro in ballo il rapporto scuola- famiglia :ormai è una battaglia persa , inutile sperare nel recupero dei valori quando questi valori si sono persi in decenni di sonno televisivo, invece il ruolo di  un potenziamento dello spazio teatrale nella scuola potrebbe essere considerato non del tutto marginale .

Vogliamo aprire un dibattito ?

 

 

 

 

 

 

 

Don Pasquale alla Scala

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Ho aspettato un giorno prima di commentare il Don Pasquale e soprattutto prima di riflettere sui commenti barcacciani durante la visione all tv in diretta.

Personalmente ho trovato questa edizione tristissima e pretenziosa , tutto quel nero che contrasta con la solarità donizzettiana , un grande spreco di mezzi inutili e trovatine molto ripetitive come lo scorrimento dei tapis-roulant.

Soprattutto ho trovato molto banale l’impianto riferito al cinema italiano “anni cinquanta” , non mi è sembrato né necessario , né utile ai fini della messinscena.

Diverso il discorso musicale: Rosa Feola una Norina perfetta e anche il dottor Malatesta di Mattia Olivieri , anche se musicalmente un po’ leggero per il ruolo resta molto valido scenicamente ( e oggi questo conta e non poco!)

Ambrogio Maestri per me non canta più , è una presenza ingombrante  in tutti i sensi , ha toccato il massimo nel Falstaff di Michieletto e da lì non si è mosso più.

L’Elvino di René Barbera , modesto vocalmente e impresentabile fisicamente non me lo spiego proprio , siamo alla Scala , perbacco!

Musicalmente invece la direzione di Chailly , anche se un po’ debordante nel suono mantiene l’alto livello che si richiede ad un allestimento scaligero.

Coro sempre buono , anche se lo zum zum di Spirto gentil è pericolosamente accostabile all’incomparabile performance di Amici miei!

Nell’insieme mi sono accorta dai commenti  per lo più molto conservatori che lo spettacolo è piaciuto ai melomani tradizionalisti che lo seguivano in diretta, poche le notazioni negative e quasi sempre riferite alle voci di una volta.

Invece a me tutto ispirava tristezza , aria di provincialismo , “voglio e non posso” .

Dalla Scala mi aspetto magari una provocazione , magari uno sgambetto , non queste trovatine da teatro provinciale.

Velo pietoso poi sull’intervista al Mereghetti (!) , inviterei qualche volta a mettere il naso fuori Milano per vedere come si può intervenire essendo culturalmente informati , basta guardare una diretta Arte….

Il regista Davide Livermore ha poche idee ma sicure: massimamente mette una sigaretta in mano ai cantanti e già gli pare di fare una cosa “moderna”!

Penso gli farebbe bene una gita fuori porta , magari a Zurigo  o Berlino ..per non dire di Monaco …

Non ho ben capito se a Pereira mancano i soldi o la voglia di un tempo , pensare che avevo festeggiato speranzosa il suo arrivo a Milano!

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Una Tosca di Carsen

 

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In questa città di mezzo Adriatico la primavera stenta ad arrivare . Davanti a casa mia il mare sempre un po’ verde , il vento da nord mi ricorda che lassù c’è la porta del Quarnaro , la porta della bora.

Tutta la vetegazione è in ritardo , l’inverno veramente pazzo ci ha portato anche il Burian , la neve a febbraio , il vento a marzo e ora addirittura anche la nebbia ad aprile.

Tutto questo per dire che le stagioni sicuramente hanno anche un effetto notevole sulla psiche , non so se sia l’età o il sole che ancora mi manca , ma certamente ho deciso di essere autorizzata a dichiararmi depressa.

La depressione però ha una radice più frivola : non ho fatto più i miei soliti viaggi-premio per andare a teatro da febbraio.

Però ieri sera mi è dispiaciuto non essere ad Amburgo e non per l’ennesima Tosca della mia vita ma perché , insieme alla coppia favolosa Kaufmann Harteros c’era un bravo baritono italiano : Franco Vassallo , persona oltretutto squisita e gentile e un direttore d’orchestra , anche lui italiano , che porta nel mondo la grande tradizione dei direttori del nostro paese. Piergiorgio Morandi.

Sarei andata per loro e anche per la favolosa , per me , messinscena di Carsen .

Una Tosca diversa , diversa perché Carsen ha interpretato e enfatizzato il ruolo della Diva e quel finale doppio , verso la platea immaginaria è un vero bellisssimo colpo di teatro .

Ripensandoci però credo che quel bellissimo giovane Jonas ai tempi di Zurigo  quando all’inizio del terzo atto si muoveva per terra ricordando i”dolci baci e le languide carezze” ormai sia  diventato un uomo grande , ormai per lui sono giusti i grandi ruoli wagneriani che oramai lo aspettano.

Non ci sono andata , Amburgo è tanto lontana , mi servono due cambi d’aereo e se non sono andata a NewYork per stanchezza e pigrizia a maggior ragione non vedo perché avrei dovuto trovare la voglia di andare ad Amburgo!

Però ripensandoci mi dispiace , soprattutto per i due artisti italiani che sicuramente hanno onorato la nostra tradizione e la nostra professionalità , sicuramente molto più apprezzata nelle fredde terre del nord che non a casa nostra.

Teatrini

Unknown

 

Periodo di stop operistico ma non per questo non mancano occasioni teatrali .

Se qualcuno si è perso una performance del Mimo major in diretta l’ha potuta vedere in tutte le salse sui social .

Credo che raramente si abbiano delle prestazioni così sfacciatamente comiche come durante le pseudo consultazioni per la formazione di un governo in questo sgarruppato paese .

Ormai siamo al ventriloquo, credo che solo la sicumera di chi ha ancora tanti soldi possa concerdere ad un signore neanche tanto specchiato di prodursi in uno spettacolo così sfacciatamente grottesco come quello che abbiamo visto tutti. Eravamo abituati alle faccie severe e compunte , che magari non dicevano niente , di signori in grisaglia i cui messaggi in politichese subliminale riguardavano solo gli addetti ai lavori .

Adesso invece siamo alla comica finale , onore al merito del burattinaio incredibile . Per un attimo ho provato una autentica ammirazione , difficilmente sarà battutto il record di comunicazione spontanea ed efficace come quella vista recentemente .

Contemporaneamente però facevano una certa pena i comprimari involontari .

Che figura , loro sì , da comparse ininfluenti.

 

Secondo grande momento teatrale la performance di Mark Zuckerberg davanti al Congresso americano.

Il ragazzo vincente , il genio che si è inventato Facebook e per il quale avrò sempre eterna riconoscenza vestito come un uomo grande , lui che della maglietta e dell’understatement ha fatto una forma di vita costretto a chiedere delle scuse formali, mentre sicuramente nella testa gli passavano tutte altre idee sulla sottostima verso i  i severi censori , i quali ignari del suo talento e delle sue intuizioni che hanno rivoluzionato il mondo intero, sulle domande che banalmente gli ponevano.

Lui rispondeva formalmente , magari anche con qualche attimo di incertezza , in fondo è umano anche lui, ma gli si leggeva negli occhi la vittoria finale.Potrà perdere qualche miliardo di dollari restando comunque tra gli uomini più ricchi d’America , ma a uno che  quando a aveva venticinque anni hanno già dedicato un film biografico ( The social Network; peraltro neanche brutto ),  uno così in attesa solo del second “biophic “ dobbiamo solo guardare come ad un grande rivoluzionario del secolo , un Like grande come una casa non glielo può negare nessuno.

 

a proposito del Ring

 

 

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Ci sono dei giorni in cui mi sembra di vivere in un mondo parallelo.

Oggi ho annunciato allegramente ad un gruppo di colleghi di un corso di tedesco che quest’estate avrei avuto la straordinaria fortuna di avere trovato i biglietti per assistere all’intero ciclo dei Nibelunghi .

Il commento più pertinente , anche perché dubito che alcuni non abbiano neppure capito di cosa si trattava è stato : poverina , come ce la fai ?

Posso accettare che non tutti provino  godimento ad ascoltare un’opera di Wagner , nel nostro musicalissimo felice paese si va ben poco all’opera e quando ci si va si ripercorrono solo i percorsi più noti , i titoli  del cosiddetto repertorio più tradizionale , ma passare da questo alla commiserazione per chi come la sottoscritta sembra addirittura provare un sadico piacere ad ascoltare musica germanica mi è sembrato un grande segno di decadenza globale e mi ha pure rattristato.

La forbice si allarga pericolosamente , non sto parlando solo delle giovani generazioni per le quali ahimè nutro ben poche speranze ma anche per coloro che hanno varcato l’età dei giochi e delle scoperte constatare quanta poca cultura esista in giro mi fa veramente male.

Poi in cotanto squallore ogni tanto mi si accende un filo di speranza quando un figlio mi telefona dicendo di avere passato una bella giornata se in un seminario bancario ha potuto ascoltare anche un po’ di musica suonata da un quartetto , quando un nipote mi manda un Whats’app dal loggione della Scala durante l’Orfeo , quando un altro in gita alla città di Alba mi manda una foto di un loggiato con scritta sul muro una frase di Beppe Fenoglio ..e l’aggiunta : credo che dovrò proprio leggerlo….. allora capisco che soltanto seminando ( e magari rompendo anche le scatole come faccio spesso) riesco a trasmettere qualcosa tra i miei numerosi figli e nipoti.

Mi rendo perfettamente conto che anche in passato esistevano differenze ma vivevamo in una civiltà che aveva nelle cultura contadina importanti argini di valori , che nella borghesia d’antan  aldilà del salotto di nonna Felicita c’erano anche le buone maniere e il pianoforte nel salottino .

Oggi che siamo tutti appiattiti davanti allo schermo che trasmette ciò che vuole farci sapere , anzi peggio , con i social che ci dicono anche quello che dovremmo comprare , vedere e anche votare mi pare di assistere davvere al ritorno di un medioevo prossimo venturo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ascoltare Wagner

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Il secondo atto del Tristan da Boston è arrivato sui nostri computer nella prima mattinata generosamente condiviso da volentierosi/e che hanno registrato alle due di notte ( ora europea).

La prima impressione è stata quella di capire ancora una volta ,se ce n’era bisogno ,che Kaufmann è un fuoriclasse per la rotondità del suono , per il colore della voce e per la perfetta dizione che mi ha permeso di seguire facilmente anche il libretto, cosa che ahimè non avveniva con la Nylund , vuoi perché il registro femminile più difficilmente è intelleggibile ( Callas a parte), vuoi per la minore resa drammatica dell’interprete.

Emozione garantita , ma …poi ho avuto bisogno di qualcosa di più e ho ritrovato nel mio prezioso archivio operistico il Tristan und Isolde della Scala nel 2007 e ho capito cosa mi è mancato nel concerto di Boston.

Non si può cantare il secondo atto uno di qua e uno di là dal direttore , in frack lui , in abito paralume lei , con lo spartito davanti : si perde la sensualità viscerale , la carica erotica che la musica ci regala in onde successive che ci lasciano senza fiato .

Un musicologo ha detto che nel secondo atto del Tristan si contano sette orgasmi ..ed è vero.

Ma uno dei due da solo non ce la fa, d’altra parte in un analogo concerto al Festival di Lucerna nel 2004 diretto da Abbado si era visto nella forma semiscenica una soluzione decisamente più aderente alla musica.

Se questa era la prova per Jonas per riuscire a superare il tabu..wagneriano ne è uscito in maniera trionfale ( anche se il terzo atto non scherza in quanto a lunghezza!).

Per affrontare la montagna in teatro però gli ci vuole una partner all’altezza  ( i brividi che mette Waltraude Meier!!!)  ne sono la conferma.

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Gli americani hanno molto elogiato l’interprete di Brangäne , forse anche perché il fascino della voce lontana  (Habet acht! ) è stupefacente ,Andris Nelson è un buon direttore e l’orchestra di Boston di ottimo livello.

Se mi si permette di dirlo : Kaufmann merita ancora di più.

Un po’ di Tristano

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Ci sono stati molti anni in cui ho seguito Kaufmann in ogni sua nuova avventura musicale e non me ne sono mai pentita anche perché non mi ha mai deluso , perlomeno quando c’era!

Poi un certo numero di defezioni , sempre più o meno giustificate dalla mancanza di forma ottimale o peggio dalla malattia improvvisa mi hanno fatto trovare come una scema a Londra ( un paio di volte ) e addirittura a Bucarest!

Se poi torno molto indietro ci sono le defezioni di Vienna , di Monaco , di Roma …

Il mio personale carnet di delusioni comincia ad essere abbastanza pieno e se a questo aggiungo l’età che pericolosamente avanza mi spiego la decisione saggia quanto basta di non avventurarmi oltre oceano per questa tanto attesa performance pre – Tristano di Boston.

Ma , se il cervello e la tasca hanno ragionato bene , il mio cuore no e adesso mi devo contentare dei piccoli inserti che generosamente l’Orchestra di Boston ha messo in rete.

Dal poco che ho visto , e dalla ampia intervista fatta al giornalista di Boston (  al solito un nome italiano) si capisce che questa “ generale”  lontana da casa è stata ben programmata dall’Ufficio stampa e dalla sua Agenzia.

Ovviamente è andata benissimo , la partner un po’ meno importante di lui ( vestita come un paralume) il direttore d’orchestra amico , la sala dall’ottima acustica .

Come al solito Kaufmann ha trionfato , e chi ne dubitava?, per la gioia delle migliaia di fans americane che potranno apprezzarlo ancora nella replica e poi nella terza tappa alla Carnegie Hall a NewYork.

Non mi resta neppure per  consolarmi di fare come la volpe con l’uva : c’è andato e ha cantato benissimo  .

Questa volta ho sbagliato a non programmarmi la gita americana , in fondo il dollaro è sceso e andare negli USA non è poi tanto più costoso delle solite trasferte salisburghesi….

C’è da sperare solo che , andata bene la trasferta americana , si azzardi a replicare in Europa in attesa dell’ormai molto annunciato Tannhäuser.

 

 

 

Macbeth in streaming

 

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Gli inglesi sono decisamente conservatori e lo dimostrano anche attraverso gli allestimenti delle opere che poi noi vediamo grazie allo streaming della ROH che viene distribuito in più di mille sale cinematografiche di 25  paesi .

Ultimo è arrivato ieri sera sui nostri schermi un Macbeth di Verdi la cui prima messinscena risale al 2002 poi ripreso con successo nel 2011.

Quindi questa è la terza volta di questa cupa vicenda verdiana che dopo il debutto alla Pergola di Firenze nel 1847 e la successiva ripresa parigina del ‘65 vide la quasi totale sparizione dai cartelloni fino a quando , grazie a Maria Callas alla Scala nel 1952 fu praticamente riscoperta e da allora è entrata regolarmente nel repertorio dei nostri teatri .

Cosa ha da giustificare questa ripresa con le regia di Phyllida Lloyd dalla regia originale di Daniel Dooren?

Due punti di forza : la grande maestria di sir Tony Pappano , meraviglioso direttore di voci e la carismatica presenza della divina ( sempre più divina) Anna Netrebko nel ruolo clou di Lady Macbeth.

Indubbiamente l’intero cast è di tutto rilievo ,ma Zelico Lucic non ha il carisma del suo predecessore Simon Keenlyside , né il Macduff  di Yussif Eyvazov , aldilà della simpatia personale e dei pregi coniugali , non ha il fascino necessario per reggere una delle più belle arie per tenore mai scritte da Verdi : “figli mei ..ah la paterna mano.”.un’aria che mette i brividi e che pur cantata con estrema diligenza non mi ha trasmesso quel frisson che altrove avevo provato .

Ottimo invece , sia vocalmente che scenicamente Ildebrando D’Arcangelo , un Banco decisamente coreografico.

I cori , che sono il punto di forza di questa decima opera di Verdi in cui ancora si hanno  le arie chiuse , non sono invece ahimè il punto di forza del Covent Garden ( Belsadonna dove sei?) e si salvano per  la dizione grazie alla provvidenziale aggiunta dei sottotitoli.

L’impianto scenico elementare e cupo è piuttosto povero ,le streghe abbigliate ..alla Frida Kalho (?)- lo ha detto la regista- non hanno niente del selvaggio look necessario e i quattro bastoni spogli personalmente non mi sono proprio sembrati la foresta di Birman.

Bello il momento del coro “patria oppressa “ , una delle aggiunte per la ripresa parigina che è stato reso con semplicità ed emozione mentre mi è proprio mancato il momento horror del banchetto ,che non c’è ,con lo spettro di Banco ad effetto.

Resta da dire della divina che in questo ruolo chiaramente si compiace della sua incredibile splendida vocalità , se lo sente suo questo personaggio al quale presta la sua consueta gamma di gesti ed espressioni , ormai non cerca neppure più di variare neanche un poco , sa di avere una voce mirabile e forte e ce la fa godere tutta .

In questo caso  si sente molto  il lavoro fatto da sir Tony, certi filati , certe impennate da brivido sono sicuramente il frutto del lavoro accurato fatto dal grande direttore.

In ultima analisi direi un Macbeth senza infamia e senza lode e , mi si permetta una ultima cattiveria , con un Malcom: Konu Kim , il coreano di turno ,che ho fatto molta fatica immaginare come re di Scozia.

 

 

 

La via di mezzo

 

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Questa volta la ia mia reazione alla folle Tosca di Salisburgo non è rimasta isolata , veramente era troppo brutta perché non si scatenassero scandalizzati i melomani di ogni paese.

Il rischio però in simili casi è quello di dare voce ai passatisti-doc, ai tradizionalisti puri , quelli per intenderci che parlano solo dei cantanti morti e preferirebbero le calzamaglie medioevali e le parrucche incipriate.

Questa Tosca era indifendibile , ma stranamente non ho letto dello scandalo musicale di Thielemann che per quanto famoso e stimato direttore ( dirige la Staadtskapelle di Dresda)  poco si accorda con la musica italiana, di Puccini poi…

Un organico mostruoso , tempi enfatici   per uno che dice di volere pulire dalle scorie delle brutte abitudini sovrapposte la pulita linearità della partitura mi è sembrato  proprio che non ci abbia neppure provato.

I cantanti possono non essere complici , mi ricordo di Kaufmann a Torre del Lago , lui che in quei giorni cantava una Damnation di Faust a Parigi decisamente brutta , spiegare gentilmente ( è persona molto garbata) che generalmente i cantanti arrivano quando lo spettacolo è già montato e poi  loro ..non lo vedono dalla platea…

Mi piacciono gli spettacoli innovativi , quelli che cercano di raccontare la storia addirittura evidenziandone particolari di lettura diversi dal “ si fa sempre così” o meglio quando le riletture  esaltano  la verità nascosta del libretto.

I facili riferimenti alla Traviata degli specchi di Macerata di Svoboda  con l’accusa finale a noi spettatori borghesi che assistevamo alla fine della povera ragazza perduta, oppure alla Butterfly di Michieletto in cui la truce ambientazione asiatica in una squallida città di oggi  che ci mostrava la verità sulla povera vita della prostituta bambina.

La linea di confine non è tra ieri e oggi , è tra il buon gusto e la volgare mistificazione trash dove per innovativo si arriva allo stravolgimento di Salisburgo.

L’ambientazione senza tempo di alcune opere wagneriane è sicuramente migliore di certe messinscene troppo attualizzate , come ad esempio quando vidi arrivare Parsifal con lo zaino sulle spalle (a Berlino  lo si dà ancora ) e nel quale le fanciulle fiore erano bambine con bambole e abiti a fiorellini.

Ma forse l’esempio più eclatante è ia diversa anbientazione di un’opera a me tanto cara che è l’Evgenj Onegin .

Ne ho viste tante : da quella meravigliosa fiorentina con Rostropovich direttore , a quella tutta in una stanza di Tcherniakov del Bolshoi , a quella orripilante di Walikowski con la tv e i cowboys fino all’ultima bellissima di Barry Kosky a Zurigo .

Ebbene questa ultima . con quella lettera di Tatiana ritrovata nel  vaso della marmellata sul prato mi è sembrata un valore aggiunto e un brivido in più.

Ecco in questo senso mi piacciono le riletture e seguiterò a preferirle alle opere realizzate con rigore filologico che per me proprio non esiste più.

 

 

 

Una Tosca da ridere

 

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Credo che nessuno possa dubitare della mia disponibilità ad accettare messe in scena di opere in abiti moderni , rivisitazioni qualche volta anche inutili , ma quello che ho visto per caso ieri sera , andando su 3Sat in cerca di un film su Anja Harteros supera ogni ragionevole livello di di sopportazione .

Una Tosca demenziale dal Festival di Pasqua di Salisburgo ,che fortunatamente non ho visto per intero  ma quello che ho visto mi ha fatto rimpiangere una qualsiasi zeffirellata d’antan.

Strano perché Philip Stöltz qualche volta le azzecca , per esempio il bellissimo Chenier di Monaco ( anche se mi ero già sorbita il figlio adolescente di Turiddu nella Cavalleria ( sempre a Salisburgo ) ambientata in una periferia industriale , ma tant’è …c’era Jonas.

Qui siamo in vesti moderne , e questo ormai non fa neppure notizia , già queste rivisitazioni le vedemmo negli anni novanta , ma quello che il regista proprio non capisce è che l’Italia non è solo quella di Gomorra e che i suoi svolazzi creativi alla fin fine suscitano il riso se non l’irritazione .

Credo che ln gran  parte dipenda anche dal creativissimo direttore  ….. ma che organico gli serve per Puccini? a  Thielemann che lo dirige manco fosse Wagner e infatti ne viene una direzione perlomeno falsata per non dire proprio brutta.

La Harteros è meravigliosa in ogni sua performance e anche qui la sua voce e la sua arte scenica emergono in tutta la loro validità ma mi si deve spiegare perché il “vissi d’arte “ lo deve cantare semistraiata sul tavolo , tutta storta e a testa in giù , tanto lei è brava e con la voce può fare quello che vuole.

Un po’ meno bravo Tezier , ingrassatissimo , con parrucca bianca a imitazione porco lubrico( leggi corruttore di dive ) con mosaccie da trivio, l’ho visto recitare tante volte molto ma molto meglio .

Antonenko la voce ce l’ha e va bene , ma come tutti quelli che cantano le note senza capire bene quello che dicono fa perdere al suo “lucean le stelle” tutta le sensualità e l’amore per la vita che invece è nella musica pucciniana.

Ma per raccontare la follia creativa del regista mi soffermo sul terzo atto , quello me lo sono visto tutto : si comincia in un dormitorio per ragazzini brutalmente svegliati da giovani preti ( un po’ pedofili?), il pastorello sennò come lo giustificavi?

Poi arrivano dei tipi usciti da Gomorra e scelgono quattro ragazzi  ai quali affidano revolver carichi . Comincio a capire dove vanno a parare .

Scende il dormitorio e appare la terrazza con vista su San Pietro , ma illuminata da una scritta roversciata  IL DIVO …che poi si spegne la V, così abbiamo un Dio tremolante e corrotto.

In un angolo , direttamente dallo sceneggiato di cui sopra stanno in terrazza romana un gruppo di malavitosi che sniffano coca ed altre amenità . Ovviamente ignorano quello che succede davanti quando arriva Tosca , lei bravissima e bellissima con occhiali da sole anche se ancora è notte ma quelli li anche portano tutti i cattivi  sullo sfondo.

La storia la sappiamo , le parole non si possono cambiare , ma ovviamente per sparare al pittore arrivano i quattro ragazzini killer e gran colpo di teatro finale ..arriva Scarpia ( in effetti alla fine del secondo atto si era tirato su dal pavimento ma avevo pensato ad una morte più lenta ) e invece no !

Ancora vivo e “cattivissimo –me” pur tenendosi la ferita tira fuori la pistola e spara a Tosca la quale però , ovviamente anche lei dotata di arma mette fine finalmente alla pagliacciata sparando definitivamente al cattivone coriaceo.

Finale con tutti morti per terra e ..lievi mormorii di disappunto in teatro , sfido! avevano pagato quasi cinquecento euro per una poltrona, non era il caso di protestare.