Il battito della farfalla

L’India brucia . Le immagini delle pire infuocate che arrivano dai nostri teleschermi possono sembrare tanto lontane da sembrare folkloristiche e invece ci riguardano tanto da vicino .

In quell’immenso paese che ho visitato due volte in anni lontani e del quale mi è rimasta una nostalgia quasi fisica ricordo l’enorme differenza  che si traduceva in una crescita forsennata di case , di caotico disordine , di traffico incredibile con ancora le magre mucche in mezzo alle strade intasate di folla e di taxi nero-gialli sguscianti tra la gente coloratissima e poverissima.

Poi un forte sviluppo e ora sappiamo che addirittura la metà abbondante dei vaccini nel mondo intero viene prodotta proprio nei loro mega –istituti .

Ma nonostante l’idea di ricorrere magari alla medicina ayurvedica e alla sottovalutazione di quello che sta diventando il  più tremendo focolaio virale del mondo  solo il dieci per cento scarso della popolazione di quell’immenso paese è vaccinata e con vaccini a bassa copertura , come il cinese .

Le colpe politiche , soprattutto quella di minimizzare i dati e le cifre dei malati hanno portato a questo devastante momento in cui si muore per la mancanza di ossigeno addirittura per le strade e le bombole ( tutte in mano privata ) vengono vendute , quando si trovano , a cifre impossibili per gran parte della popolazione. 

Pare , ma niente è certo con questa pandemia , che alcuni vaccini siano in gran parte più sicuri di altri , ma le varianti impazzite del virus non ci devono lasciare per niente tranquilli perché come disse una volta lo scienziato Lorenz :” il battito d’ali di una farfalla a Pechino può scatenare una tempesta a NewYork.”

Mentre noi stiamo discettando di un’ora in più di svago serale l’ombra della pandemia che sembra scomparire per poi riaccendersi ferocemente con l’effetto “ giorno della marmotta” è ancora dietro l’angolo, l’India non è poi così lontana e devono restare chiari i nessi tra eventi locali e ricadute globali. 

M()uchenik

Siamo disabituati ad un cinema che fa pensare , i nostri schermi ( perlopiù televisivi) sono inondati di immagini veloci , effettti speciali , qualche volta una risata ,ma difficilmente provocano un pensiero che non finisce con la visione : però per la prima volta dopo tanto tempo mi è capitato di vedere un film difficile e problematico .

Come un bel libro pieno di occasioni di pensiero : ho visto il film del regista del Parsifal viennese, come al solito uno stimolo culturale ne provoca altri , a catena .

Ho già detto quanto la regia cinematografica di Serebrennikov mi avesse incuriosito e allora grazie ad una amica bravissima che sa muoversi con sapienza nel web ho potuto vedere un suo film.

Questo Parola di Dio , ma il titolo russo contiene in se anche un ulteriore messaggio , la parola intraducibile e composta tra studente che con la M diventa martire è un pugno nello stomaco ad una prima visione , poi si capisce che il regista ci voleva dire che ogni estremismo , ogni forma fanatica di religione più provocare solo orrore : illuminante la frase del protagonista al Pope quando gli rinfaccia che i cristiani non muoiono più per la fede e cita come esempio glorioso i ribelli ceceni o i fondamentalisti islamici.

Il suo Vangelo , la sua Bibbia usata a uso e consumo di una fede esasperata possono solo causare l’orrore ed è quello che inevitabilmente succede.

Unica speranza è la logica ferrea della fiducia nel razionale e nella scienza   dell’insegnante di biologia che comunque paga la sua posizione aperta e che infine si ribella e si inchioda al luogo di lavoro con il suo sfidare l’illogico e il testardo credere nella cultura  e nella conoscenza pagato con l’incompresione dei “ benpensanti”  ed è  l’unica via indicata dal regista.

La vittima sacrificale , agnello predestinato nella pochezza mentale resta a monito di quello che può accadere se non ci ancoriamo , letteralmenente , al pensiero positivo dell’evoluzione scientifica.

E’ strano che una volta tanto dalla lirica mi venga uno stimolo diverso , comunque devo confessare che in questi giorni “mi faccio” di Parsifal quasi ogni notte e ogni volta scopro qualcosa di nuovo .

Per esempio quel ripetere del Parsifal “vecchio” le parole che precedono il suo canto , come se averle interiorizzate confermasse la sua ineluttabile conoscenza del domani di sé.

Un maturo e di nuovo bellissimo Kaufmann e uno straordinario e inquietante giovane ( ma che ha già 29 anni) sono due faccie indimenticabili di un destino che credevamo di conoscere e che ogni volta ci racconta una storia nuova.

Milva , bella ciao

Oggi è il 25 aprile . Quando non c’era il Covid andavo al corteo che parte dal Monumento ai Caduti e poi proseguivo cantando sempre Bella ciao.

Sul mio terrazzo metto il tricolore , un omaggio a mio marito che fu giovane partigiano, ma dentro di me canto ancora Bella ciao , anzi la canto insieme a lei : la rossa splendida Milva che ci ha lasciati per sempre in questa vigilia di festa.

La ricordo in bianco e nero a Sanremo , colpiva la sua voce forte naturale di contralto, la chiamavano “la pantera di Goro “ perché in quegli anni alle nostre cantanti davano questi soprannomi da balera , ma la ricordo soprattutto quando ormai affermata e raffinata cantante la vidi sul palco della Scala : era piccola con la sua grande voce e solo la sua grande chioma rossa brillava sotto i riflettori .

Cantava Brecht : “I sette peccato capitali “, poi la sentii di nuovo Jenny delle Spelonche alla Fenice di Venezia nell’”Opera da tre soldi”.

Ormai Milva cantava all’Olimpia a Parigi ,cantava a Berlino e forse ormai era più famosa in Europa che in questo nostro paese tutto sommato piccolo per lei.

Dichiaratamente di sinistra , non nascose mai le sue idee e a lei vennero autori importanti per dedicarle una canzone : Theodorakis e Battiato : bellissima la sua Alexaderplatz  e forse la più bella è La rossa di Jannacci.

Ha cantato I canti per la libertà e le canzoni popolari : dalla Filanda  a Addio a Lugano bella…

Oggi la sua voce riempie i miei ricordi , per fortuna agli artisti è dato il grande privilegio di restare anche dopo la vita :  in questa ricorrenza la tua voce accompagna il ricordo e indica la speranza di un futuro , ciao Milva , bella ciao!

Parsifal cinematografico

Ritorno sul Parsifal di Vienna  ,ma questa volta per parlare della regia e di una scoperta molto interessante . Un nome che  oggi non mi diceva niente, forse una volta , quando ero attenta alle cose di cinema e di Festival lo avrei messo a fuoco, ma questo Serebrennikov è veramente un cineasta di altissimo livello.

Una scoperta perr me tardiva , quando i suoi film avevano già girato nei Festival internazionali ed erano noti agli addetti ai lavori.

Il risultato teatrale dell’opera wagneriana non è verificabile al momento , lo si  saprà solo se e quando l’opera sarà ripresa all’Opera di Stato , ma non so se sarà possibile riavere lo stesso cast ,che in questo caso è fondamentale per la capacità attoriale dei cantanti decisamente tutti in stato di grazia e fuori dal comune.

Aldilà delle lunghe dissertazioni musicali , tutte degnissime di attenzione , quello che forse molti non hanno colto è l’altissima qualità “cinematografica” dell’insieme.

Ho sorriso all’idea della ricerca spasmodica dei “sottotitoli” nelle varie lingue.

Non servono assolutamente : immagini e musica sono perfettamente integrati insieme ai gesti , gli sguardi , alle voci dei cantanti.

Chi non ha pensato al dissidennte Navalny vedendo Kaufmann nell’ultimo sguardo doloroso in primo piano non ha capito niente di questo Parsifal.

Il Gral c’è eccome : è la libertà cercata con dolore e offerta sul proprio  sacrificio .

Messaggio fortissimo che credo sarebbe davvero piaciuto a Wagner, basta leggere i suoi tanti scritti , ripensare la sua vita di eterno fuggiasco.

Per chi avesse voglia di vedere i due film di Kirill Sebrennikov premiati sono : Parola di Dio (Muchenik) a Roma e Leto ( Summer ) a Cannes.

Io sto cominciando a cercarli in rete.

In memoria di Francesco

Francesco Scarabicchi

Avevo un amico poeta , un poeta vero e conosciuto solo in quella piccola cerchia di intellettuali che nel nostro paese coltivano questa passione come una colpa segreta . 

Ero onorata della sua amicizia nei miei confronti ,era successo quando in un momento particolare della mia vita avevo sentito il bisogno di aiutarmi con i versi per esprimere il mio pensiero .

Per me è stato un maestro garbato e gentile , le mie piccole brochures devono molto al suo mite consiglio e alla sua infinita pazienza.

Mi aspettava , prima alla sua scrivania di bancario poi nella tranquillità della sua casa foderata di libri , regalandomi sempre un pensiero alto , una visione mai banale delle cose del mondo.

In questa piccola cittadina di provincia è stato un faro per molti e la sua creatura “iI nostro lunedì “,raffinata rivista letteraria, è stato uno dei momenti alti che in qualche modo lui ha regalato alle Marche e non solo.

Gli ultimi incontri , sempre affettuosi ma tristi per la sua evidente fatica di vivere sono avvenuti  quando lo incontravo per caso addirittura  alla cassa del supermercato .

Le mie ultime molte poesie che non gli ho più portato a leggere , che non hanno più visto la pubblicazione non saranno forse mai più pubblicate anche perché senza il suo benevolo assenso non troverò più il coraggio di raccontarmi attraverso i versi.

Spero che aldilà dell’emozione del momento la città onori questo mite e silenzioso cittadino che ha portato la sua raffinata voce anche in luoghi lontani di questo nostro paese che lui considerava con dolore perso al bello e al sentire civile come cifra importante della nostra identità .

Riposa in pace Francesco e che davvero per la lievità del tuo sentire ti sia lieve la terra.

Il cammino dell’eroe

E’ stato lungo il cammino di Jonas Kaufmann attraverso il personaggio di Parsifal.

Il ricordo corre dall’esteticamente raffinato Parsifal del Met , le fanciulle in fiore nel sangue che le colorava , il letto da parto di Kundry ,madre perduta , quel fisico giovane dell’eroe volutamente esibito . Il gesto della lancia fermata nel’attimo conclusivo .

Sembrava non avere paragoni , anche se poi nel mezzo ci fu un Parsifal viennese , da molti visto senza di lui , di cui resta uno spezzone sconvolgente della scena di seduzione di Kundry ( una Evelin Erlizius strepitosa).

Arrivò il Parsifal , definitivo musicalmente ,di Kirill Petrenko a Monaco di Baviera .

I grandi pannelli di Georg Baselitz , i costumi barbarici e il protagonista che si replicava coraggiosamente in una mitica scena illuminata a giorno nel suo grido “Amfortas , die Wunde.

La sua interpretazione aumentava in spiritualità , ancora il  suo corpo coraggiosamente esibito nel ritorno del cavaliere “redento”.

Ed ecco Vienna , oggi.

Si divide coraggiosamente in due il Parsifal-Kaufmann e si sdoppia nella pietà e nella misericordia del perdono .

Ma lui ormai non è più doppio  , è il reine Tor , è la somma di tutto un cammino artistico fatto nella piena consapevolezza del ruolo che per questa generazione non avrà rivali .

Lui è Parsifal , la sua voce , ormai un tutt’uno col personaggio, il suo sguardo di pietà  che conferma il peso della colpa universale accettato in toto.

Nevica sulla memoria e gioca diversamente tra lo stupore giovanile e la tristezza di un passato da accettare.

Non c’è religione in questo Gral , tutte le religioni sono narrate attraverso segni materiali, emerge la spiritualità wagneriana e  lo sguardo disperato di un grande artista che ha percorso l’intero cammino insieme al suo personaggio.

Attraverso la compassione

Si chiude in modo inusuale questo bellissimo Parsifal viennese : è nelle braccia tese del “cigno” di spalle il senso del perdono e della redenzione .A Parsifal resta la pietà di accompagnare l’umanità dolente verso una meta lontana , forse un seme di speranza.

Su di lui resta il carico della nostra colpa , noi suoi contemporanei.

Dopo una vita passata a vedere ed ascoltare questo immenso capolavoro wagneriano non avevo pensato di poterne vedere una diversa interpretazione ad un tempo infedele e fedelissima ed è con enorme emozione  che ho assistito a questo spettacolo , purtroppo in solitudine ma non per questo sentendomi sola.

Sapevo e sentivo che comunque eravamo in tanti a soffrire questa lontananza , anche se per una volta ho pensato che questa visione cinematografica mi regalasse addirittura qualcosa di più della rituale visione teatrale.

Ma cominciamo dall’inizio: la prigione Monsalvat è triste come ogni prigione , siamo in un mondo molto russo ( e questo inizialmente mi richiamava il Parsifal di Tchernialkov visto a Berlino e non è che mi entusiasmasse) , ma già dai primi momenti capisco che la chiave di lettura è molto più grande e più coinvolgente.

La scansione scenica racconta in modo diverso la storia, il giovane Parsifal è un teppista come ce ne sono tanti , affari di droga , un accenno di omosessualità e intanto mentre il capo riconosciuto Gurnemanz gestisce l’ordine  la giornalista come un occhio impietoso fotografa la crudele vita carceraria.

Lontano da tutto , corre la memoria del Parsifal invecchiato  e ne soffre perché “sa” già quello che al giovane è ancora oscuro.

Lo spazio che diventa tempo è scritto sul muro , fuori nella neve , le note scandiscono la storia nota :Amfortas arriva sostenuto dai suoi compagni ,il suo è dolore allo stato puro : la piaga fisica intrecciata con quella morale, sa di avere ucciso suo padre . L’uccisione del Cigno , crudele nella latrina , è un fatto comune e i carcerieri si girano di spalle per non vedere.

Una svolta azzardata nel secondo atto: Schloss è un giornale di moda , il boss tiene in pugno la creativa Kundry , il giovane modello attornato dalle ragazzeinfiore, il bello in grigio ( autoironia con autografi e selfie ), poi in lui prevale la sofferenza nella comprensione dello sfruttamento del giovane.

Tutto si snoda sulla musica che spiega quello che non si spiega , la memoria della madre , la sofferenza del ricordo e infine la catarsi , dopo la grande scena di seduzione il taglio netto finale che non è liberazione ma colpa su colpa.

Ritorniamo a quello che fu Monsalvat , rovine nella neve. Parsifal torna e il suo canto è straordinario , la stanchezza dell’essere e non basta il riportare la lancia ( un banale spezzone di tubo), occorre la compassione verso la silente Kundry , verso un sé stesso ormai accettato , verso un desolato Amfortas , arroccato in un  dolore senza fine , verso Gurnemanz senza più potere.

Apre la porta e libera tutti dal proprio peso , a lui resta il senso della colpa universale , non c’è speranza in questo Parsifal definitivo .

Solo grandi interpreti /attori per questa mesinscena che resterà storica:

sicuramente Elina Garancia attraversa un momento vocale e scenico felicissimo , una maturità d’interprete senza eguali .

Il debutto di Ludovic Tèzier nel ruolo di Amfortas è strepitoso , come è perfetta l’interpretazione di Georg Zeppenfield come Gurnemanz.

Wolfang Koch ormai è Klingsor , talmente nel ruolo da esserne fisicamente contaminato.

Il giovane attore /doppio volutamente acerbo nel fisico e nel volto indurito non desta quello che per me è il solito fastidio del “replicante”.

Una regia intelligente che “tradisce” mantenendo ogni significato : Kirill Serebrennikov , anche con le difficoltà materiali che ha dovuto incontrare è riuscito nel miracolo di mantenere una lucida analisi di totale aderenza wagneriana.

Forse mi è mancato Kirill Petrenko , la sua tensione esasperata , ma farei torto a Philippe Jordan , la sua comunque è una corretta interpretazione del capolavoro conclusivo dell’immenso Wagner.

Di Jonas Kaufmann ho troppo da dire , rimando ad una ulteriore tappa del mio diario la valutazione .

Devo superare l’emozione fortissima della sua voce che ormai “ accarezza le note” , come ha detto un mio amico emozionato alla fine della visione.

Un pensiero pericoloso

C’è un momento in cui si arriva a sperare che qualcosa possa cambiare nelle nostre ormai impigrite abitudini , che si possa cominciare a sperare in una riapertura dei confini comunali , regionali o addirittura che si possa tornare a viaggiare e anche se questo per il momento appartiene più alla speranza che ai fatti concreti mi viene da domandarmi come reagiremo , noi persone adulte e stanche di fronte all’ipotesi di una nuova ritrovata libertà di movimento .

Me lo chiedevo, quando passando davanti alla fermata del bus che prendevo per andare in aeroporto ,ho provato quasi un senso di panico .

A distanza di un anno da quando ho preso l’ultimo aereo , a distanza di sei mesi da quando ho preso l’ultimo treno avrò di nuovo la voglia di mettere nell’ormai famoso trolley amaranto le mie cose che in un tempo ormai lontanissimo cominciava a sembrare la valigia di Mary Popping che si faceva da sola?

Fino a ieri non ci avevo pensato, ma il senso di disagio che mi ha procurato l’idea del riprendere un ipotetico viaggio , l’idea molto più banale di “vestirmi” la sera per uscire mi ha fatto un po’ paura .

La pandemia ha colpito nell’inconscio molto di più di quanto fino ad ora ci siamo resi conto.

Se e quando ne usciremo ci guarderemo intorno come sopravvisuti , spogliati dalla protezione delle mascherine , denutati agli sguardi del prossimo , privati da ogni protezione fisica .

Non so se faranno il passaporto vaccinale , molte norme sulla privacy e sul diritto alla difesa della libertà individuale ne frenano la fattibilità  e anche se molti già possiedono l’attestato della doppia vaccinazione, basterà per sentirsi liberi di affrontare quel mondo nel quale personalmente e incoscientemente ho seguitato a muovermi fino all’autunno scorso ?

Mi sono accorta che il mio cervello lavora a due velocità : da una parte la voglia di rimettermi in viaggio , di realizzare quei sogni ai quali ho aspirato per mesi e d’altra parte la paura che questo possa di nuovo realizzarsi .

Sarebbe l’ultimo crudelissimo scherzo di questa pandemia alla quale per adesso sono sopravvissuta , ma che potrebbe avere ucciso in me la voglia di vivere che mi ero tenuta dentro finchè non ho realizzato che forse ormai comincia ad essere troppo tardi per rimettermi in cammino.

Almanacco snob

Parafrasando Alfredo nella Traviata posso ben dire che li conosco da un anno : quando affogando le giornate vuote del lookdown della primavera scorsa una sera  stanca del solito salotto della Gruber , sempre meno divertente per la noiosa presenza dei“ soliti noti”, passai a Classica  e feci la piacevole conoscenza di Piccinini e Maranghi che parlavano di vicende che furono anche mie, di cose magari dimenticate , di interessi lontani .

Sono molto più vecchia dei due e in molti casi certe vicende le conosco meglio di loro .

In un dialogo da vecchia matta col televisore li precedo perché capisco al volo dalle citazioni dove andranno a parare .

Leggo oggi : Almanacco di bellezza , la trasmissione più snob della tv  e allora mi viene da sorridere perché evidentemente sono snob davvero anch’io che li seguo fedelmente la sera , alle otto e mezzo in quella mezz’oretta divertente e se c’è qualcosa che qualche volta mi infastidisce è solo quel parlare di tanta ristretta “picciol compagnia” e della loro milanesità , anche se poi Piccinini , il più dotato dei due ,una botta da emiliano doc. se la rifila sempre.

Loro citano storie e persone , citano spesso persone che conosco anch’io ,

ma mi sono utili nei ripassi storici alleggeriti da quei frammenti musicali che mi riportano a casa , dove sicuramente potrei intavolare con loro una bella conversazione a chi ne sa di più.

Svolazzano sulle date , mai banali nelle scelte giornaliere : anche sul cinema dove sono ferratissima anch’io ( passato glorioso da cineclubbista) , mi distraggo sullo sport ma poi con elegante svolazzo mi riportano verso i miei amori musicali. Non sempre sono d’accordo sulle loro predilizioni amicali , ringraziando Iddio sono molto pù snob degli snob e poi su Classica c’è qualcuno che amo e che in quanto a snobberia è anche molto più ferrato di loro.

Un po’ per vezzo ..e un po’ per non morire …piangono miseria , se sul sottopancia ci vogliono mettere l’Iban vuol dire che un contributo per divertirmi mezz’ora la sera glielo potrei dare pure io.

Isole in guerra

Fra le tante guerre tra poveri ed egoismi nazionalistici questa pandemia devastante mette in evidenza anche alcune ridicole rivalità .

Ne è esempio l’idea di paragonare le isole minori italiane alle isole greche , ma in Grecia di isole ne hanno più di duemila e per le tante meravigliose piccole isole greche credo che sarà infinitamente più facile l’operazione di farle diventare Covid- free , anche a scopo turistico.

Ricordo una canzone in voga tanti anni fa che diceva : ma quante cavolo di isole ha questo cavolo di Grecia?

In Italia le isole minori sono decisamente molto meno e pensare di fare una guerra tra regioni  per sostenerne la precedenza sulla vaccinazione di massa è una di quelle belle pensate di presidenti di regione che vogliono fare battaglie di tipo elettorale.

Noi abbiamo coste stupende , la nostra economia è certamente basata sull’indotto turistico e le piccole isole sono sicuramente una parte importante del nostro patrimonio di bellezza , ma questa battaglia sembra ricordare la storia della coperta troppo corta : si tira di qua e si scopre di la .

Già avevamo la guerra tra le categorie : prima di docenti , anzi no i carcerati , anzi no  gli studenti , gli ambulanti … i magistrati …..

Bene ha fatto il responsabile nazionale  a indicare nell’età anagrafica l’unica strada per rimettere ordine ( o perlomeno di tentare di farlo) nel caos che quei signori cercano ancora di creare  i quali erroneamente e pomposamente si auto-definiscono governatori .

in realtà ,Costituzione alla mano , sono presidenti di regione  e questa indicazione della carica dovrebbe bastare loro in una democrazia avanzata, il governatore ricorda un po’ l’idea sudamericana alla Zorro , forse per questo piace soprattutto al Sud. 

Caccia al libro

Questo strano periodo porta anche a fare strane scoperte tra le mura di casa, si cerca un libro convinti di averlo , si crede anche che sia in una certa stanza in base ad una memoria che di logico ha poco , ma generalmente serve per ritrovare quello che si cerca .

Adesso però che il tempo vuoto è lunghissimo,idee per riprendere in mano un certo libro di un certo autore vengono più spesso e allora per me può cominciare il dramma.

I libri sono tanti e una volta un nipote mi ha chiesto veramente incuriosito : ma li hai letti tutti ? Ho risposto di sì ma , ho aggiunto, è anche vero che ci ho messo perlomeno una sessantina di anni , probabilmente certe letture le ho cominciate addirittura molto molto prima.

Il bello è che oggi posso rileggere con gioia libri di cui mi era restata una sensazione più che una vera memoria del contenuto .

Tutto questo è bellissimo quando il libro che si cerca lo si trova , ma ultimamente ho cominciato a perdere colpi : certi libri che so benissimo di avere avuto tra le mani , di avere letto e di averlì rimessi proprio lì ( per esempio tra gli Adelphi) non li trovo più e allora il mio sguardo si fa fisso , una specie di nausea che rasenta l’angoscia , occhio vitreo e alla fine finisco per rassegnarmi.

Forse l’ho prestato e non mi è stato restituito , anche se normalmente mi segnavo i libri dati in prestito proprio per averne memoria di ritorno.

La verità è che avrei dovuto catalogare la libreria , ma ogni volta che cominciavo a mettere in ordine arrivata più o meno ad una trentina di libri mi cominciavano i problemi per tutti quei libri che non sapevo proprio  come incasellare.

Forse è per questo che seguito ancora a vivere in una casa sovradimensionata per una persona sola , il mio vero problema è trovare il posto per i libri che tenacemente e stupidamente seguito ancora a comprare .

E non mi scrivete che potrei farmi un I book , me lo  avevano pure regalato , non sono capace di leggere un libro in quel modo , sul pc leggo i giornali , per i pensieri veri mi serve la pagina , l’odore della carta .

Si può far finta di aggiornarsi , di stare al passo con i tempi ma fino a un certo punto . 

Forse i libri che cerco prima o poi scapperanno fuori da soli!

Corelli , il centenario della nascita

Cento anni fa ad Ancona nella notte fra il 7 e l’8 di Aprile nasceva Franco Corelli , tenore di successo planetario , bellissimo , altissimo ( era un metro e 90 ) che avrebbe infiammato le folle d’Europa e d’America .

Ma questo mitico tenore aveva dentro un rovello ,era un uomo schivo e fragile e si portava dentro una terribile paura del palcoscenico.

Debuttò tardi , a trent’anni ,in una memorabile Carmen a Spoleto e da quel giorno tutto cambiò nella sua vita .

La sua casa si affacciava sul porto e suo padre lavorava al Cantiere navale. Ultimo di tre fratelli , faceva sport con la Polisportiva Stamura e cantava con la sua bella fortissima voce  insieme agli amici ,qualche volta svegliando pure la sonnacchiosa città  durante le notti allegre in compagnia.

Faceva il geometra in Comune e se qualcuno in famiglia aveva tentato la carriera musicale quello non era lui , ma il suo fratello grande , con non grande successo come avremmo saputo in seguito.

In casa mia si racconta che un giorno il geometra Corelli fu chiamato dall’allora burbero e severo Segretario generale che gli disse – Corelli scelga  o fa il geometra o si mette a cantare davvero. E lui scelse di cantare.

Se da queste parti si facesseo i film Biopic la storia di Corelli sarebbe esemplare per Hollywood e probabilmente si potrebbe intitolare :” un grande tenore suo malgrado” perchè Corelli che poi avrebbe inaugurato per ben cinque volte la stagione scaligera e avrebbe cantato al Metropolitan di NewYork per sedici stagioni aveva paura del palcoscenico , soffriva ogni volta prima di entrare in scena e quello sguardo perso , un po’ triste che gli leggevi dentro dopo avere virtuosisticamente sparato “la pira” del Trovatore forse era la chiave di fascino segreto che comunque emanava dalla sua splendida persona .Un lirico spinto ( ma lui preferiva definirsi  “una voce” ) credo dovesse molto della sua strepitosa carriera ad una moglie energica e combattiva : un crudele e divertente sketch di Franca Valeri ( la moglie del tenore ) racconta delle trattative che lei intratteneva con i direttori e i teatri fino a condizionare le scelte musicali e le prestazioni del mite e bellissimo marito.

Un po’ più grande di lui , si muoveva bene nel mondo musicale che era anche il suo e che tutto sommato fece molto di più per il suo splendido marito di quando normalmente facciano gli agenti musicali.

All’età di 55 anni Corelli si ritirò improvvisamente dalle scene , forse aveva retto pure troppo allo stress da palcoscenico , la sua rinuncia fu davvero speciale , non aspettò la fine ingloriosa e chiuse , credo con grande personale sollievo , in bellezza.

I rapporti di Corelli con Ancona furono sempre vivi , anche se in definitiva qui non ci cantò mai perché la città dorica aveva perso il suo Teatro delle Muse durante i bombardamenti e solo nel 2002 il teatro ricostruito fu finalmente riconsegnato alla città.

Ricordo un Corelli elegantissimo e biancovestito , ormai vecchio e stanco arrivare all’inaugurazione , gli avevano anche intestato un Concorso che poi negli anni si perse e quando morì a Milano non è che da queste parti lo onorassero in modo particolare.

I miei personali ricordi del cantante vanno da un bellissimo Ernani sugli spalti dell’Arena di Verona ad un don Josè a Macerata con Grace Bumbry .

Quella volta ancora si cantava “ l’amore è uno strano uccello” …ma lui si sbagliò e la Fleur se la cantò in francese , tutto sommato nell’indifferenza del pubblico.

Ieri il mondo intero ha ricordato il centenario della sua nascita , da queste parti si pensa ad una serie di manifestazioni estive ( sa., c’è la pandemia , signora mia…) . Speriamo bene.