Altri tempi

Nellla preistoria dell’automobile c’era una tecnica misteriosa che bisognava imparare per cambiare le marce , soprattutto per scalarle e questa operazione complicata si chiamava “ la doppia debragliata.”

Bisognava impararla , specialmente se si doveva guidare la mitica  Fiat 500 e consisteva in una piccola serie di movimenti sincronizzati tra il volante e il pedale della frizione.

Quando poi l’avevi imparata ti sentivi pilota di Formula Uno e affrontavi tornati e curve sulle strade impolverate con vera maestria.

La macchina era piccola  ma aveva in proporzione un volante grandissimo e poi c’erano le porte che si aprivano verso il davanti per cui la vera signora doveva imparare a uscire con rotazione totale del corpo tenendo le gambe ben unite , anche questa una speciale tecnica onde non sembrare come quelle signorine un po’ chiacchierate che non facevano il gesto elegante e che si dedicavano ad un antico mestiere.

Poi arrivarono le porte antivento , il volante divenne sempre più piccolo e soprattutto le marce furono sincronizzate  per cui la ragazza emanicipata che fu e che sapeva guidare come un camionista perse un po’ della sua aura sportvo-elegante.

Tra un po’  ci saranno macchine che si pilotano da sole e che non faranno correre i rischi relativi alla figuraccia di grattare sul cambio come succedeva con grande onta in tempi lontani  nei quali si poteva avere da parte dell’istruttore di guida un consiglio :
quando devi cambiare fai anche un bel colpo di tosse , tanto così per fare e soprattutto per coprire l’orrendo urlo del cambio di chi non aveva proprio la sensibilità necessaria a superare il test della “doppia deragliata”.

Valla un po’ a raccontare oggi una storia di questo  tipo , praticamente sei guardata come se venisse direttamente  dal pleistocene !

La commedia è finita

Il Covid non è finito  nonostante i  miei ripetuti richiami ( ho detto che per quanto mi riguarda posso emulare anche Beethoven e arrivare anche alla nona ) ho schiavato tutte le varianti e sottovarianti tanto che fino ad ora sono riuscita a evitare il virus.

Ma il Covid colpisce ancora , indirettamente e forse anche psicologicamente, anche me.

Ho deciso di non andare a Londra , buttando via un bel po’ di soldi ma la rinuncia , complice anche la confusione dei voli , i disagi che comunque comportano i medesimi e soprattutto le connessioni a rischio , il caldo che magari tra venti giorni sarà meno atroce , ho cancellato il breve programma estivo che mi ero concessa.

Doveva essere l’evento più importante dells stagione del ROH , è diventata una specie di Waterloo: prima la dolorosa sostituzione di Anita poi un Canio , anche se rispettabilissimo , che non avrà mai per me quel    violento impatto che provai a Salisburgo in quel mitico Festival di Pasqa del 2015.

Anche se sono certa che non si ripete mai una emozione così forte avevo sperato in un altro miracolo interpretativo di Kaufmann , lui è sempre capace di reinventarsi ( anche il Turiddu del SanCarlo ne  era stata  la conferma) , ma soprattutto i Pagliacci dovevano essere la punta di diamante della stagione londinese.

Passo al programma d’autunno , con molta tristezza e sperando che nel frattempo il virus non si inventi un’altra variante  che mi impedisca gli ultimi sprazzi di vita musicale che mi potrò concedere.

Dove sta Zaza


Alla fine della visione di Zazà di Ruggero Leoncavallo sul Canale Classica , canale 126 di Sky , mi sono chiesta perché nel nostro belpaese in cui non si esce mai dal seminato di Tosche e Rigoletti avessi dovuto aspettare che una bella opera del Novecento verista mi venisse offerta , devo dire in maniera splendida,da un teatro viennese.
Il Theater an der Wien di Vienna è un teatro vecchiotto e non ha il lustro dello Staadsoper ,ma le sue messinscene sono molto interessanti e spesso niente affatto banali.
In questo caso per me si è trattato di una vera scoperta anche perché non avevo mai avuto occasione di vedere l’opera in nessun teatro italiano nella mia lunga vita di frequentatrice melomane.
All’An der Wien hanno chiamato uno dei registi a mio avviso più interessanti attualmente in attività : Christof Loy.
Avevo visto da poco la sua splendida Salome da Helsinki e ne avevo apprezzato la preziosa eleganza e la sua rara qualità di far “recitare “ ogni cantante o comparsa in scena-
Niente è lasciato alla sciatteria dei coristi nostrani che se escono un momento dall’inquadratura li vedi persi nei loro pensieri lontani , qui tutti , dico veramente tutti ,sono sempre veramente in parte.
Ovviamente la qualità d’insieme è enormemente più realistica e il risultato finale è di preziosa fattura.
La compagnia di canto all’altezza : ho riconosciuto Nikolai Schukoff e Christopher Maltman , non conoscevo Sveltana Aksenova nel ruolo del titolo , ma l’ho trovata veramente perfetta.
Orchestra della ORF , scene semplici e funzionali , evviva il teatro fatto bene!
Dell’opera che dire ? Ci sono alcune bellissime pagine , si riconosce lo slancio delle pagine che ritroveremo nei Pagliacci , solo forse la debolezza sta nel testo ; per un’opera verista le tinte sono decisamente delicate , una storia di psicologie semplici e di valori lontani.
La rinuncia di Zazà non ha le tinte forti del periodo verista e forse sta in questo la mancanza di un vero successo nel tempo.
Comunque ho letto che al debutto sul podio c’era un giovane di sicuro avvenire : Arturo Toscanini .
Sarebbe troppo sperare che in questo nostro convenzionalissimo panorama qualche direttore artistico trovasse la fantasia di riproporla?

Rimini d’antan

Mi è capitato spesso di raccontare quanto può essere piacevole “rileggere” un libro letto tanti anni prima e di ritrovarci , o meglio trovarci molti contenuti che mi erano sfuggiti alla prima lettura .

Questa volta invece voglio parlare del “rivedere “ un film che a suo tempo mi piacque ma che a una rivisitazione assume tanti nuovi motivi per essere considerato un capolavoro .

La prima notte di quiete di Valerio Zurlini , anno 1972 , oltre a riportarmi ad un mondo lontano nel quale le macchine , molto più rade e rombanti , arrivavano nelle piazze deserte italiane , dove tutti fumavano continuamente , dove la giovane protagonista era vestita esattamente come mi vestivo io ( minigonna , stivali alla coscia e giaccone di montone ) mi ha riportato ad una Rimini invernale , alle nebbie della statale 16 Adriatica, al porto canale deserto.

Un Alain Delon strepitoso nel suo cappotto di cammello che non si leva quasi mai contornato da uno stuolo di attori strepitosi tra i quali spicca un Giancarlo Giannini giovanissimo , Renato Salvadori, e con camei preziosi di Salvo Randone, Alida Valli e Lea Massari .

Un film colto , nel quale le citazioni letterarie e visive sono tutte perfettamente utili al racconto della storia , non una sbavatura né un errore : la corsa in Ferrrari ci porta verso Ancona , alla Villa Favorita ( oggi sommersa dalla speculazione edilizia della Baraccola sud e sede dell’ISTAO ) con la battuta : andavamo a fare il bagno a Santa Maria di Portonovo …quando non c’era l’assalto estivo alla baia.

Lo stesso titolo del film ci riporta ad un verso di una poesia di Goethe , e poi Stendhal nel nome della protagonista con il libro regalato in  francese , tutto perfetto e coerente.

Il film è stato restaurato dalla Cineteca di Bologna nel 2020 , un regalo per chi voglia rivederlo in ottima qualità di pellicola.

La colonna sonora con gli assoli laceranto di tromba Jazz che aprono e chiudono le inquadrature di quel mare Adriatico livido invernale , la canzone della Vanoni  ( è uno di quei giorni in cui..) nella splendida inquadratura del nigth , lo skyline di Rimini col grattacelo , tutto poi documentato e ricercato dai cinephiles che ne hanno ripercorso le location perfette .

Su tutti spicca Alain Delon , già molto Melville , romantico e maledetto , in una recensione ho letto che non gli piaceva il finale , lo voleva diverso e ne aveva discusso con Zurlini concludendo poi : spero che le venga un bel film.

Direi che c’era riuscito perfettamente.

Una lotta vana

Furono gli anni del boom economico , quella che era una scarpata selvaggia fu lottizzata e come funghi ci sorsero ville e villette i cui proprietari per l’inesorabile legge del tempo piano piano lasciarono questo mondo gratificando gli eredi del capitale delle loro amate dimore delle quali i suddetti eredi se ne disfecero volentieri , le loro vite diverse , le loro case tanto più piccole , il valore delle vecchie ville attirò i nuovi abbienti che ovviamente avviarono più o meno cruenti lavori di ristrutturazione .

Come un vecchio sopravvissuto nella sua capanna mi ritrovo circondata da cantieri rumorosissimi : di lato e di sopra un rumore infernale al quale impossibile sottrarsi con l’afa . Caldo e polvere, betoniere a gogo, urla di operai ovviamente extra tutto , comprese le elementari norme di sicurezza .

Una feroce nostalgia del silenzio dei giorni incantati del lookdown quando si sentivano cinguettare gli uccelli del parco , sguittire gli scoiattoli , tubare i colombi.

Una bellissima frase sul silenzio , sulla musica che è l’eccedenza dal silenzio mi ronza in testa .

Nella disperazione di un pomeriggio infuocato scorro tra i miei libri e nella mia memoria ed ecco ho ritrovata la magica frase : 

è di Marguerite Yourcenar , la rileggo nella speranza che nella bellezza di un pensiero “alto” possa in qualche modo staccare la spina all’infernale babele sonora che mi circonda :

Ho sempre pensato che la musica dovrebbe essere soltanto silenzio , il mistero del silenzio che cerca di esprimersi.

Guarda per esempio una fontana ….mi è sempre sembrato che la musica non dovrebbe essere che l’eccedenza di un grande silenzio-

 La frase è tratta da Alexis , un piccolo gioiello che ha un sottotitolo che  con tutte le dovute differenze si adatta a a me in questo momento : il trattato della lotta vana.

La mia lotta vana contro l’infernale rumore che mi circonda non riesce ad coprirsi con l’ascolto della musica , non si somma l’incanto all’inferno delle gru e delle ristrutturazioni .

Particolare inquietante : abitiamo all’interno di un parco naturale dovre sarebbero vietate la costruzione di piscine : ebbene ,non so bene in base a quale deroga , qui di piscine se ne fanno addirittura due.

Un albero

Quando tanti anni fa in quella che sarebbe diventata la nostra casa ci inventammo un piccolo giardino  nella parte verso la cucina si decise di fare una specie di backgarden e ci piantammo due alberi : un fico e un prugno.

Il fico crebbe troppo in pochi anni e alla fine anche se i frutti erano dolcissimi per non restare tutto il giorno con la luce accesa in cucina decisi di tagliarlo anche se mio marito si offese molto per la mia drastica decisione.

Migliore sorte ebbe il susino : i primi anni faceva tantissimi frutti e addirittura ci facevo la marmellata di prugne , ma gli anni passano e un albero da frutta esposto al vento di mare e alla bora smise di fare frutti , sempre più storto e rinsecchito fui costretta a farlo tagliare , ormai la sua vita era finita e io che ero già tanto triste in quel periodo in cui ero rimasta sola lo piansi come se la sua fine segnasse anche lui qualcosa di me che finiva per sempre.

Fu allora che leggendo una biografia di Lutero trovai una frase bellissima che tradotta suona più o meno così : anche se sapessi che domani il mondo finisse io oggi pianterei lo stesso un nuovo albero di mele.

Fu così che comprai un mini albero di albicocche , alto più o meno come me e tra molti stenti : un anno si e uno no , mi ha regalato un pugno di frutti dorati piccoli e dolcissimi.

Oggi sono andata nel mio mini orto e ho visto un frutto per terra : ho capito che dovevo sbrigarmi a raccoglierli tutti anche perché quest’anno le albicocche mi sembrano veramente tante !

Col caldo allucinante e l’aria pesante ho fatto il mio raccolto straordinario , sudata e contenta ho anche fotografato la magia dei miei frutti : sono ben 47  

Per i colti trascrivo la stupenda frase di Lutero , il raccolto del mio alberello mi sembra la risposta a tutte le brutte vicende del mondo e una speranza che magari non ci sarò più io, ma di chi verrà a raccogliere i frutti in futuro.

Wenn ich wüste dass die Welt morgen untegeht, so würde ich doch heute noch einen jungen Apfelbaum pflanzen.

Un bellissimo ricordo

Certi momenti si portano dietro qualcosa di complicato infatti quando il Comune di Ancona con la Fondazione del Teatro delle Muse  avevano organizzato la cerimonia di consegna del Premio Corelli a Jonas  Kaufmann avevano ovviamente provveduto anche alla ripresa video che però non è stato possibile mettere in rete così presto come io avevo sperato si potesse fare .

Per fortuna alla fine , superati i burocraticismi e con il valido aiuto dell’amatissimo direttore artistico Vincenzo De Vivo oggi , il giorno più lungo dell’anno e , non a caso forse , festa della musica  il video è stato pubblicato.

E’ stata una serata piacevolissima , tutti sappiamo quanto sia intelligente Jonas e quanto gli piace parlare , seppoi è intervistato da un sapiente e garbatissimo Alberto Mattioli il risultato è davvero piacevole.

Purtroppo l’audio è un po’ basso , ma il contenuto vale la fatica di tendere l’orecchio.

Comunque quello che conta è che il ricordo sia finalmente in rete sul sito della Fondazione.

Avevo un sogno , in parte realizzato .

Quando il giorno dopo Kaufmann ha fatto la visita al teatro e ha visto il famoso sipario di Trubbiani mi è sembrato che ne fosse rimasto davvero colpito.

Dall’alto della seconda galleria ha pure provato la voce … che correva benissimo.

Chissà se un giorno potrà tra i  mille impegni trovare lo spazio per far risuonare la sua voce anche tra quelle mura .

In fondo seguitare a sognare si può, perlomeno questo non costa nulla!

Un gioiello inglese

Forse è una storia per vecchie signore , non credo di essere neutrale sull’argomento ma ho chiuso l’ultima pagina di un libro con dispiacere , non mi capitava da tanto .

Una piccola premessa : devo la segnalazione ad un elegante e spiritoso articolo di Natalia Aspesi nel quale lei parlava con il solito garbato stile elegante del giubileo della regina Elisabetta.

( chissà se la grande giornalista si ricorda di un nostro incontro a Villa Panza di Biumo : era per me il tempo del FAI e la nostra conversazione fu la cosa più bella di quel breve incontro).

Torno all’articolo nel quale l’autrice cita un romanzo di Vita Sackville-West , lo definisce “bellissimo” e poi ha un titolo che tocca tutte le mie corde di diversamente giovane : Ogni passione spenta.

Non lo ordino sul web , mi sarebbe arrivato il giorno dopo ma preferisco andare il libreria e ordinarlo così l’attesa dell’arrivo sarà un tempo di piacevole gioia , ce ne regaliamo così poche ormai!

Ovviamente quando l’ho avuto in mano con l’elegante mazzo di fiori in copertina me lo sono accarezzato di gusto e poi appena cominciato a leggere me lo sono divorato ,ahimè, in troppo poco tempo.

La storia di Lady Sloan che resta vedova a ottantotto anni di un importante marito che lei ha seguito nella lunga brillante carriera di ambasciatore , vicerè , ministro e che nello stupore dei suoi numerosi e terribili figli scompiglia ogni attesa e dolcemente si concede un’ultima vacanza di vita diversa è un messaggio dolcissimo sulla libertà inattesa che regala la vecchiaia.

Un libro che nasce in quel circolo di Bloomsbury , in quel tempo di scritture eleganti che affondano le radici nella grande tradizione letteraria femminile inglese, Wirgina Wolf è dietro l’angolo.

A chi , vecchia signora o no ,leggerà il libro auguro comunque il godimento di una elegente lettura.

Trintignant

Se ne vanno ad uno ad uno tutti i miei miti cinematografici : oggi Jean Louis Trintignant ,il timido studente del Sorpasso di Rosi , il pilota Innamorato di Un homme et une femme di Leluch e per me sopratttutto l’io narrante del bellissimo Deserto dei tartari di Zurlini.

Erano gli anni delle grandi coproduzioni italo-francesi e Trintignant era un volto conosciuto anche per il nostro cinema .

Guardo la sua filmografia e ci trovo anche l’ambiguo protagonista del Conformista di Bertolucci , un ruolo diverso dal solito e poi il giornalista di Zede di Costa Gavras, insomma un attore che ho molto amato e che ha accompagnato gran parte della mia storia di cinefile.

L’ultima volta che l’ho trovato perfetto fu nel ruolo del vecchio giudice del Film rosso di Kiewslowski , era invecchiato male e ormai il suo bel viso di ragazzo si era come avvizzito , forse anche per la tragedia che aveva colpito la sua famiglia.

Se ne va il mio mondo di celluloide ,  quando andavo tanto al cinema e certi attori facevano in un certo senso parte della mia vita. Aspettavo di rivederli al buio della sala , attraverso quel denso fumo di sigaretta che filtrava nel raggio magico dalla cabina di proiezione allo schermo , un’atmosfera che che giovani di oggi nelle loro multisale dove corrono solo a vedere i film con tanti effetti speciali non conosceranno mai.

Tous passe , tous casse , rien se remplace ..oggi mi butta così. 

Una foto

Ho rubato una foto. Accanto a casa mia si sta costruendo una nuova villa , squadre di operai si sosseguono nel lavoro.

Li sento parlare e mi accorgo che ogni tanto cambiano le lingue .

C’è stato un periodo in cui erano tutti veneti , poi non meglio identificati slavi , adesso parlano arabo .

Le piccole squadre arrivano molto presto al mattino e se ne vanno piuttosto tardi nel pomeriggio.

Ieri sentivo le voci degli operai in attesa del pulmino che li veniva a riprendere e mi sono affacciata al mio terrazzo per vedere perché parlassero tutti insieme a voce alta.

Ma un’immagine imprevista ha attirato la mia attenzione : in basso , nella parte bassa del manufatto in costruzione c’era un operaio in preghiera , uno solo , probabilmente il più giovane del gruppo.

Calcolando l’ora solare era proprio l’ora del Muezzim e quel ragazzo solitario mi ha fatto quasi tenerezza.

Confesso che avendo il telefono in mano non ho resistito e convinta che la foto non venisse bene perchè era abbastanza in ombra ho rubato la sua immagine. 

La foto invece c’è , del ragazzo in preghiera non so niente se non che ho avuto un grande rispetto per lui che  allontanandosi dal gruppo si era rivolto al suo dio in solitudine.

In questo nostro mondo vuoto di fede , con le chiese vuote e i valori della fede in ribasso mi ha colpito quel fedele mussulmano venuto a lavorare lontano da casa .

Sarà magari anche un integralista ma io per un momento l’ho sentito, non so bene perché, una specie di fratello.

I cinque Tony Awards di Massini

Mi si perdoni l’orgoglio fiorentino , ma questa volta la grande affermazione di Stefano Massini ai Tony Awards mi ha fatto scattare un sentimento fortissimo di appartenenza che mi ha fatto saltare di gioia mentre lo leggevo.

Avevo letto molte sue opere teatrali e soprattutto avevo incontrato la sua capacità di scrittore incontrandolo al Piccolo a Milano quando vidi un suo testo sulla figura di Sigmund Freud.

Detto per inciso anche la Leheman Trilogy l’avevo vista in televisione , dove purtroppo il teatro non da il meglio di sé ,anche se penso che sarebbe proprio il caso che la Rai lo ritirasse fuori  (ammesso che fosse sulla Rai che l’avevo visto).

Mi piacciono anche i suoi racconti a Piazza Pulita , soprattutto mi piace quel suo parlare piano e corretto di noi toscani : “soggetto , predicato , complementi “ come diceva la mia mamma maestra e il risultato fa sì che il pensiero corra lineare , in qualche modo è l’unico favellare italiano che ricorda la linearità della lingua francese.

Certo che Massini ha fatto davvero il colpo grosso con questa affermazione poderosa in un mondo , quello anglosassone che non sempre è benevolo nei nostri confronti .

Per molti noi fummo grandi in passato , ma farci accettare oggi con i nostri talenti è evento raro e spesso un po’ folcloristico .

Massini è riuscito laddove è più difficile .

Onore al merito per la sua arte , per i suoi successi passati e mi auguro anche , visto che è ancora tanto giovane , per i suoi successi futuri.

Abraham Yehoshua

La prima volta che incontrai Abraham Yehoshua fu attraverso le pagine di un libro bellissimo : Il signor Mani .

Ne nacque un amore per la sua scrittura che poi si allargò anche alla scoperta di tutta una serie di autori israeliani , alcuni dei quali poi ebbero anche il sopravvento sul mio primo amore letterario , ma il Signor Mani , con la sua struttura a ritroso fu un colpo di fulmine e quando stamattina ho letto la triste notizia che il mio caro amico (perché gli autori amati diventano amici personali ) non c’è più sono andata a riprendermi il primo dei tanti suoi libri allineati sullo stesso scaffale.

Tutti bianchi e molti dei quali importanti , fino all’ultimo piccolo libro italiano che tutto sommato mi è piaciuto un po’ meno dei suoi primi capolavori .

La scrittura a ritroso del Signor Mani , i cinque colloqui che scandiscono la storia di una famiglia e ne fanno una classica saga familiare aveva a suo tempo davvero toccato il mio cuore .

La scrittura pulita di Yehoshua ha il suo fascino , il suo essere sempre e soprattutto prima ebreo e poi israeliano lo pongono quasi a capofamiglia di tutta una serie di autori che si sono posti il grande problema della convivenza dei due popoli sulla stessa terra serbando sempre uno sguardo aperto anche se mai ha trovato nella sua lunga fatica di letterato la forza e la capacità di un superamento definitivo della questione palestinese .

Aperto e attento al mondo che lo circondava mi ha raccontato Israele e la vita del suo popolo portandosi dietro il nodo insoluto della convivenza difficile.

Fu comunque lui ad aprirmi una conoscenza che mi servì molto quando andai per la prima volta nella biblica terra dei padri , mi sembrò di essere a casa , tanto aveva contibuito il grande scrittore con la sua arte a farmi capire le contraddizioni , le sofferenze , le conquiste e l’orgoglio di un popolo che è per noi un po’ padre e un po’ fratello.