Un post

Leggo il nome di un’isola dell’Egeo , un lampo che mi riporta lontano e il sorriso a commento che esalta la presenza del Meltemi.

Per noi naviganti era  invece un problema , per evitarlo si partiva di notte in modo da evitarlo quando implacabilmente si alzava il catabatico verso le dieci del mattino.

Bellissime navigazioni notturne e poi se c’era la luna diventavano addirittura incantate e la gioia di stare al riparo mentre le sartie battevano con rumore frenetico  quando si arrivava nelle baie tranquille al sorgere del sole

Poi la memoria corre anche più lontano , nel dormiveglia mi ritrovo in Asia minore , in Turchia tra Marmaris e Fetije e qui la memoria si ferma in una baia , sopra un villaggio sepolto sott’acqua , ormeggiati da soli vicino a delle stupende rovine , mi ricordo l’immagine ma il nome non mi viene : dovrò consultare le vecchie agende sperando di averlo scritto .

Rannicchiata nel letto , aspetto che sia mattina e intanto il pensiero corre alla meraviglia del tempo che fu quando davvero non esisteva il problema dell’over-turism , con egoismo penso che in fondo non ci possiamo lamentare noi che fummo così fortunati da vedere un mondo perduto , quel “mondo di ieri “ così caro al mio cuore.

E ad un tratto ecco che il nome del magico luogo ritorna : Kekova!

Si è aperto il cassetto della memoria che evidentemente qualche volta ancora funziona: ritrovato il nome ,riconquisto la barca , gli amici che erano a bordo , il tormentone estivo che mio figlio aveva mandato a palla con la radio nella notte.

Tanto nei dintorni non c’era proprio nessuno.

Cogli la sPINa

Crash informatico mondiale e banale dimenticanza personale.

Mentre il mondo va in crisi per il blocco di un programma che doveva servire per proteggere i programmi banalmente vado in crisi anch’io per una dimenticanza informatica.

Stufa di essere tormentata da telefonate promozionali sadicamente programmate nel primo pomeriggio avevo deciso di mettere il telefono in modalità “aereo”,

Poi me ne sono dimenticata e andando in banca dopo due giorni per fare un prelievo non capivo perché non mi funzionasse niente.

Chiedo il perché a un gentile operatore che scopre l’arcano e a quel punto mi chiede se voglio ancora fare il prelievo chiedendomi se ricordo il PIN del Bancomat.

Già capisco che mi considera una vecchia grulla e infatti sbaglio i tasti e non riesco a ricordare la formula esatta.

Da mesi non uso più la carta , pago tutto con un semplice doppio click sul telefono e il PIN non lo digito più.

L’avevo memorizzato con un meccanismo mentale facile : prima cifra uguale all’ultima , in mezzo multipli.

Pare facile ma il funzionario pensa che ormai io sia un po’ andata  , pazientemente recupera il mio segreto e finalmente faccio il prelievo.

Uscendo dalla banca mi si riapre la memoria , ricordo tutto perfettamente a conferma che è la mente umana che vince, magari attraverso un momentaneo rimbambimento.

Volevo rientrare in filiale per spiegare il perché del mio vuoto di memoria ma poi ho pensato che se il funzionario mi avesse rivisto si sarebbe preoccupato per la sua pazienza e ho desistito, tanto ci vado abbastanza di rado.

Blackout

Ore 18.30, cominciano a suonare tutti gli allarmi degli antifurto delle case, ad un tratto ho anche molto più caldo , alzo gli occhi e vedo la pala del mio ventilatore , che fa tanto Indocina anni 70 fermo , giro gli occhi alla mia sveglietta elettrica , muta .

La tv era spenta , non occhieggiano neanche tutte le lucine , decoder compreso.

Mi alzo per controllare se mi è saltata la corrente , magari solo a me e nel corridoio vedo spenta anche la luce del router , quindi niente wi-fi.

Pazienza , ormai è quasi ora di cena , in cucina non c’è la rassicurante luce dell’orologio del microonde , decido di farmi un uovo sodo , ma non si accende neanche la scintilla che apre il gas.

Cerco , speranzosa , dei fiammiferoni natalizi , utili per le candele , dopo vari tentativi ,esercizi di memoria , li trovo e accendo il gas soddisfatta.

Intanto il coro degli allarmi , ahimè non in sincrono  si spande per l’aere , ma sono ancora tranquilla , non mi pare di vedere luci da nessuna parte , le solite immagini tv dietro le vetrate sparse qua e la non ci sono , mal comune mezzo guaio.

Penso che con tutti i condizionatori accesi sia saltata qualche centralina ma c’è ancora tanta luce , mangio tranquilla la mia insalata e torno in camera , sempre più forno per la mancanza di minima ventilazione data dalle pale retro  sul soffitto.

Una zanzara si avvicina con sibilo al mio orecchio , non c’è il fornelletto con la piastrina , ovviamente anche quello è spento.

Cominciano a passare i minuti , poi le ore e scende la notte .

Bellissimo  tramonto alla Rotko , il coro delle sirene antifurto diventa quasi insopportabile e su qualche terrazzo romantico si accendono le candele.

Rari lampi di luce le macchine che passano giù sulla curva della piscina , guardo telefono e tablet , sono ambedue molto scarichi , decido sia bene non consumare le batterie e smettere di consultarli compulsamente , la luce tornerà prima o poi.

Penso con un sorriso alle case nuove che mi circondano , tutte domotizzate , se non funziona più niente a me che ho una casa del secolo scorso con modeste attrezzature elettriche li vedo messi male nelle loro case dove tutto scatta con un pulsante .

Stranamente mi è pure passato il sonno , le ore vuote sono diventate sei e in un benefico dormiveglia capisco che forse l’elettricità è tornata.

Sono le sei del mattino e devo riordinare tutto. Si sono offesi la sveglietta e il microonde , non vogliono rimettersi in regola , il pc è tutto da resettare  , sei ore soltanto sono bastate per richiamarmi all’ordine delle cose. Si abbia almeno la consapevolezza della nostra estrema fragilità. 

Unica nota positiva :l’Ospedaletto dei bambini la luce ce l’aveva , perlomeno li aveva funzionato il gruppo elettrogeno.

Aix en Provence

Monaco- Per caso scendendo in ascensore col trolly ho incontrato una cara amica , anche lei pronta per la partenza.

Le do la precedenza alla reception , lei ha più fretta di me , io torno a casa e lei invece mi annuncia contenta che va a Aix per il festival.

Ho ripensato a quell’incontro casuale con invidia quando su ARTE ho visto la Butterfly dal teatro dell’Archévechè: brava amica mia che ha scelto un ottimo spettacolo!

Conosco la grande arte scenica di Ermonela Jaho , mi aveva già emozionato varie volte , soprattutto nella Suor Angelica ma non immaginavo che a una ennesima Butterfly mi sarei  commossa fino alle lacrime tenendo un tablet in mano.

Uno spettacolo piccolo e perfetto , la piccola casa a soffietto , un Pinkerton bello e disinvoltamente cattivo  , un Goro ( il mio amatissimo Carlo Bosi) da Oscar , Sharpless all’altezza.

Tutti nel ruolo , la magica scatola musicale pucciniana si esalta nell’evitare tutte le cineserie dei cori tra i mandorli in fiore ; qui solo un raffinato gruppo di maschere cita una Giappone culturalmente lontano e accentua lo strazio della crudelissima storia , tanto banale quanto  incredibilmente sempre perfetta.

Ermonela alla fine pare anche  fisicamente distrutta  , la macchina infernale che Puccini , il grande sadico ci ripropone per l’ennesima volta funzione , eccome.

Anche “ chi è quella donna” che arriva quasi a rapire il piccolo Dolore seduto vicino ad una Cio Cio San addormentata per lo sfinimento doloroso e la maschera inespressiva di Suzuki , tutto si accentua e diventa più vero del vero.

Una intervista nell’intervallo mi rivela il volto della regista ; la faccia di una donna di mezz’età , sembra una prof in pensione , bravissima nella sua mancanza di enfasi. Si chiama Andrea Breth e non la conoscevo , sicuramente per colpa mia.

Daniele Rustioni dirige con sicurezza e veemenza , notevole prova di Puccini senza puccinismo.

Se fossi più giovane avrei trovato la forza per saltare sul primo aereo per andare in Provenza, mi accontento di vedere e rivedere lo spettacolo , sono stata brava , l’ho anche ingrandito sulla tv.

Aria

Tutto mi sembra meno che una scena vera : un perfetto montaggio , un ritmo alla Oliver Stone , niente mi sembra meno vero del fallito attacco a Donald Trump.

C’è tutto , comprese le foto del proiettile , la battutaccia “fight , fight, figth, il pugno alzato , la bandiera che sventola sullo sfondo.

Non lo scrivo per fare della stupida dietrologia , non ne ho assolutamente i mezzi di conoscenza necessari.

E’ solo la mia opinione che non conta niente , salvo il fatto che l’ho trovata veramente una sceneggiatura geniale.

Ovviamente il fallito killer , bocciato al club del tiro a segno, appassionato di armi come tutti gli americani era fornito di quellì’Ar-15 che si può comprare per meno di cinquecento dollari , un 

I phone costa di più , ma questo a Trump piace , godetevi le armi per tutti.

Non so dove se ne andrà l’America , e purtroppo anche noi europei al seguito , certo è che da quelle parti riescono davvero bene a fare film più o meno apocalittici , più o meno con happy end di quelli che riguardano la presidenza degli Stati Uniti.

Luglio “ col bene che ti voglio” cantava la canzone dei miei tempi , fa un caldo notevole , gli spagnoli vincono tutto e la foto più bella è quella del genio adolescente del pallone col fratellino in braccio : la intitolerei “il mondo nuovo” se non fosse già un quadro di Giandomenico Tiepolo.

Tra un po’ cominciano le Olimpiadi che potevano essere italiane , le fanno a Parigi , sempre Europa è , non fa molta differenza , salvo che dalle nostre parti ci divertiamo a perdere anche le belle occasioni.

E’ uscita la graduatoria della qualità di sindaci e presidenti di regione : le Marche stanno in fondo a tutte le classifiche e non c’era bisogno delle statistiche per confermarcelo.

Solo che stiamo pensando di sostituire una classe politica inefficace soltanto cambiando il colore della scheda elettorale :
forse invece ci sarebbe bisogno di cominciare a studiare i problemi , valutare le conclusioni , imparare a ragionare in termini di conoscenze e saperi.

In questo ho poche speranze , come al solito si parla solo di caselle da riempire , di nomi da piazzare.

…è la solita storia del pastore ….un’aria bellissima dell’Arlesiana di Cilea.

Allegretto

Il segreto ? Prenderla con filosofia.

Comincia male il mio rientro a casa dopo solo quarantotto ore ma nel mezzo c’è stato il bellissimo concerto , una giornata al fresco bavarese e quindi sono pronta ad affrontare la lunga giornata  in treno.

Pochi minuti prima dalla partenza la voce celeste annuncia il cambio di binario , tutti di corsa ci facciamo mezza stazione attenti a non falciarci con trolley e soprattutto con i micidiali enormi zaini da montanari in trasferta sul Kappa2 che hanno pure micidiali scarpe ciondoloni al lati , pronti a colpire il malcapitato di turno che ci passi accanto.

Annuncio ritardo : a Rosenheim ci schiacciamo mezz’ora , già penso con filosofia al  cambio di Rimini  già saltato.

Nuvoloni neri sul Tyrolo , piove che dio la manda e spesso siamo addirittura dentro le nuvole minacciose.

Meno male , così non ho il caldo pazzesco dell’andata, ovviamente treno strapieno di orribili giganti , comincio a divertirmi guardando i pallidi biondoni  e biondone in mutande e infradito.

Mi vergogno un po’ del mio snobismo ma penso che i bavaresi qualche volta non sono proprio eleganti e neanche tanti puliti come si spererebbe.

Dal Brennero in poi , nuvole diradatesi , si sta un po’ più larghi ma il treno avanza a lumaca , pare di stare su una tradotta della Guerra mondiale , una sorta di treno sopravvissuto e un po’ dimenticato.

A Verona  il ritardo è già garbatamente annunciato di settanta minuti , comincio a pensare a soluzioni alternative consultando gli orari .

Per fortuna c’è una gentile conduttrice  italiana che mi prende sotto l’ala protettrice e mi racconta la storia bella di un blocco generale su tutta la rete ferroviaria italica , i treni sono tutti impazziti , poi misteriosamente il giorno dopo non troverò traccia di cotanto disastro sui giornali . Ormai è la prassi  , niente fa più notizia. 

 

A Bologna i minuti sono circa 90, cominciano le ipotesi alternative : forse c’è un Freccia rossa in ritardo che magari  recupero a Rimini , chissà..

Poi l’angelica ferroviera decide di catapultarmi dal treno a Cesena , 

occhi agli avvisi , forse aggancio il Milano/ Bari.

Sulla banchina realizzo una cosa , sono sicuramente più di quaranta gradi , sono in un forno al sole quando nella bruma compare il famoso Freccia , ci salgo impavida e al Capotreno dico che non ci provi proprio a farmi scendere , tanto più che il razzo in ritardo è già partito.

Un milanesissimo stewart mi porta la scatolina rossa con le cibarie e la bottiglietta d’acqua , non l’avevo mai così tanto apprezzato , ero affamata e disidratata.

Ovviamente qui regna il silenzio , non ci sono le amabili creaturine urlanti che avevano allietato il mio precedente treno.

In compenso hanno tutti gli auricolari e sembrano un po’ StarTrek, ovviamente tutti tatuatissimi e griffati , gente d’affari che torna la sud.

Non riesco più bene a calcolare le ore di ritardo ma arrivo ad Ancona: In compenso sono scomparsi tutti i taxi e c’è una quasi britannica fila in attesa. 

A malincuore prendo l’autobus sballottante , sono l’unica bianca e vedo l’operaio in tuta ,razzista siciliano ,che guarda malissimo i vari magrebini/ pachistani / senegalesi che mi circondano.

Vado un po’ incerta sulle gambe , in un bel confortante caldo pazzesco verso la mia macchinina -forno che mi aspetta al parcheggio.

Il viaggio di ritorno mi è volato !

Liederabend a Monaco

foto di Gabriele Grossmann

Certe volte il viaggio sembra più lungo , penso sia colpa del caldo.

Molti cambi di viaggiatori nello scompartimento antico con i sedili di velluto.Tutto perfetto e pure in orario , salvo che fuori della stazione sono spariti i taxi. Soliti lavori in corso .Mi avvio alla ricerca e un taxi si ferma , salgo al volo. Al solito non capisce l’indirizzo ma io sono diventata buonissima: where are you from ?  Afgganistan , Kabul , con l’accento  sull’a.  Fortuna che conosco Monaco , chissà dove mi avrebbe portato. Al mio segnale che mi può fare scendere , ho capito più o meno dove sono. Pago molto di più e attraverso allegramente il Viktualenmarkt , arrivo in albergo dal retro. Piove e fa caldo. Crollo sul letto . Buonanotte.

Passeggiata del mattino : puntuale come un impiegato alle dieci precise il professor Deutch entra dalla porta degli uffici del teatro , esattamente com un anno fa , ma stavolta non lo saluto , mi pare come al solito un po’ stufo. Gli anni pesano per tutti.

Basta stare un po’ sul divanetto in ingresso dell’albergo a leggere e passano..le amiche , quattro chiacchiere, ci vediamo stasera al concerto.Tante , tantissime altre amiche care venute da tutta Europa le vedrò a teatro.

Con le affezionate viennesi sono stata coccolata al Franziskaner, poi decorato con colori orrendi varchiamo il colonnato del BSO.

Lo sapevo che sarebbe sta una serata speciale , troppo bello il programma, così cari al mio cuore tutti i Lieder ma non avrei creduto di assistere a qualcosa di magico e , forse per me , di irripetibile.

Scrivo di notte , non riesco ad uscire da una specie di bolla magica che stasera Jonas Kaufmann ci ha regalato. 

Sappiamo che il Lied è la classe regina del canto , sappiamo la straordinaria qualità della sua voce , quello strano violoncello che suona nel suo cuore e che attraverso la grande maestria della sua tecnica riesce a rinnovare un repertorio tanto noto tanto che ormai sembra impossibile ascoltarlo da una voce diversa  che non sia la sua.

Comincia con i Dichterliebe , so che sono 28 minuti , li conosco così bene e soprattutto li ho sentiti  cantare da lui dal vivo già varie volte e indimenticabile c’è quella straordinaria serata con teatro vuoto durante la pandemia .

All’inizio ho avuto quasi paura che durassero troppo poco , ero tanto tesa che quasi non ascoltavo poi la qualità molto più drammatica dell’interpretazione mi ha fatto capire che in realtà stavo quasi ascoltando un inedito.

La maturazione del cantante è anche in questo , stasera Jonas cantava una cosa nuova , rinnovata nel suo pensiero di uomo maturo , un Dichterliebe mai ascoltato così intensamente.mezz’ora magica  volata in un attimo.

Poi è rientrato disinvoltamente in palcoscenico per la seconda parte ed è arrivato così rilassato e con nonchalance  come se entrare in palcoscenico fosse davvero tornare a casa  e un po’, solo un po’, mi ha fatto pure ridere.

 L’attacco dei Sonetti del Petrarca di Liszt mi ha fatto volare davvero in alto , ricordo la prima volta che lo avevo sentito cantarli ero alla Carnegie Hall , ma adesso sono un’altra cosa , la perfezione tecnica é davvero mostruosa , il saliscendi del suono delle corde vocali ha del miracoloso e Helmut Deutch è quel grande pianista che non accompagna , inventa la partitura al servizio della voce. 

E poi la serie mirabile del Lieder amati proprio da Deutch , ricordo che quando ad Ancona chiesi l’ennesimo autografo sul cd Freudvoll  und leidevoll  Kaufmann mi scrisse una dedica buffa. Ti serviranno per studiare il tedesco.

Li ho studiati e me li sono goduti con la gioia di chi apprezza anche i testi e devo dire che un particolare fascino ha per me quella drammatica Loreley  che continua il suo canto mentre il piccolo vascello affonda tragicamente.

I bis , zugaben in terra tedesca , li aspettavo , anzi li pregustavo e il terzo   : “o lieb , solang du lieben kannst”  me lo sono cantato dentro come un dolce nettare dell’anima .

Benedetto ragazzo che riesce a regalare tanta ricchezza , tanta gioia e tanta cultura vera , non finiro mai di ringraziarti abbastanza e con me tutte le care amiche , veramente venute da ogni ogni d’ Europa in un abbraccio collettivo felice in tuo nome.

Polvere

Ho un ricordo di bambina di quelli che restano fissati come un fotogramma che non riesce a sgranarsi nella memoria.

Avevo , penso ,sette  anni e ogni tanto suonava l’allarme .

Si entrava nei rifugi , la mamma aveva in braccio e forse la stava allattando ,la mia sorella più piccola.

Poi sopra di noi l’inferno , la mamma che ci abbracciava strette tutte insieme e poi il silenzio irreale.

Quando siamo uscite polvere e confusione : davanti a me una fetta di camera d’ospedale , lassù in alto.

Hanno bombardato una clinica , c’erano mamme e bambini la sotto.

Ieri quel fotogramma è tornato netto davanti a me guardando le immagini di Kiev.

Ho risentito nel naso l’odore della polvere , ho sentito l’angoscia nel cuore e le parole ospedale pediatrico -oncologico fissate come una spina nel cuore.

Poi la memoria si è stemperata , so che quelle bombe , in quel tempo lontano , miravano allo snodo ferroviario vicino , so che chi le sganciava in realtà stava contribuendo alla cacciata dell’invasore nazista , so che vivevamo in un infame regime totalitario.

La storia racconta le motivazioni , assolve e condanna con la giusta distanza dai fatti.

Però nel naso mi è rimasta la polvere di quel mattino lontano , quel terrore che ha durato anni a cancellare la paura del rombo degli aerei nel cielo.

So che i bambini sono sempre le vittime innocenti, so che le guerre sono la vera malattia dell’uomo.

Se c’è un inferno so che ci devono andare gli uomini cattivi , quelli che le guerre le provocano , che le armi le fabbricano , quelli che non basterà il giudizio della storia a condannare,

Repetita iuvant

Un anno fa , era luglio come adesso  e  io partivo per Monaco con un biglietto per una Liederabend che già pregustavo di ascoltare ; avevo preso il treno , (i  voli sono diventati quasi improponibili ) e con tranquillità ero partita con il regionale fino a Rimini e poi il treno tedesco diretto per Monaco.

Ricordo che pioveva verso le Alpi e aprendo il tablet lessi che il Nostroamatotenore il giorno dopo aveva cancellato il concerto.

Ero già in treno e mi restò solo di fare il viaggio con quella solita rabbia/ tristezza  che mi hanno dato nel tempo le sue defezioni.

Poi mi andò bene perché una gentilissima signora della biglietteria mi trovò last minute uno splendido biglietto per l’esauritissima opera barocca Semele che magari non avrei mai visto.

Non mi feci rimborsare il biglietto del concerto , così come per una strana scaramanzia e tra quattro giorni parto di nuovo per la Liederabend non ascoltata un anno fa.

Nell’ordine mi può succedere di tutto:

Lo sciopero dei treni , italiani o tedeschi , a scelta, già in parte annunciato.

Lasciare la borsa  in treno ( l’ho già fatto).

Scordarmi il telefono , o il biglietto rinnovato o un qualsiasi altro documento.

E infine leggere , magari mentre sto attraversando le Alpi , che di nuovo qualcuno che non nomino si è preso di nuovo il raffreddore.

Tutto sommato non vedo l’ora di tornare a casa venerdì prossimo anche se sono quasi certa che non riuscirò a prendere la coincidenza a Rimini per tornare in orario ad Ancona.

Poi nei rari momenti di lucidità mi domando perché ancora mi ostini a programmare viaggi musicali che ,anche se sono diventati sicuramente meno frequenti , ne ho in calendario fino alla prossima primavera.

Goethe e il Wether

Un amico gentile mi ha fatto avere lo streaming del Werther scaligero che per una strana sottile diffidenza non avevo trovato il tempo di andare a sentire personalmente.

Avevo incontrato un simpaticissimo Benjamin Bernheim a Vienna e in quell’occasione il giovane tenore si era un po’ lamentato con me per non essere ancora venuto in Italia.

Sapevo del successo del suo Werther a Zurigo e della regia di Christof Loj , un regista di cui spesso ho ammirato le messinscene.

Ebbene , questo Werther mi ha un po’ deluso e ho cercato di spiegarmi il perché , senza essere tacciata di essere sempre la solita ancorata ad un ricordo che non riesce a cancellare.

Intanto  in premessa di tutto devo dire che Bernheim ha una voce bellissima , una perfetta dizione ( ci mancherebbe altro!) e in una certa misura sa anche recitare  ma…

Come si fa  a riempire la lunghissima scena della morte dell’eroe affollandola di personaggi ? 

Già di per sé è una pagina musicalmente lunghissima , se non si ricorre ad un perenne primo piano dei protagonisti diventa ancora più lunga e forse anche un po’ ridicola.

L’amore di Sophie per l’infelice innamorato è talmente  evidente che non c’è proprio bisogno di sottolinearlo facendo della sorellina una specie di antagonista di Charlotte , tutto inutile.

.Eppoi , eppoi … mi è mancata tutta l’infelicità  goethiana , tutto il romanticismo del primo Ottocento che invece un ben altro interprete a Parigi aveva così bene evidenziato.

I tormenti del giovane Werther sono tedeschi fino nel midollo , non sono una banale storia francese di provincia. 

Sono tra coloro che fecero in tempo a sentire Alfredo Krauss e a quel tempo il capolavoro di Massenet non restò nel mio cuore .

Ce l’ha inchiodato Jonas Kaufmann con quel capolavoro assoluto che fu la messinscena parigina e che neanche lui riuscì a ripetere al Met qualche hanno dopo.

Aveva cannibalizzato il ruolo , come una volta succedeva alla Callas , non è colpa mia se non riesco a superare quel magico ricordo.

In morte di uno scrittore

Sono tutti in fila , allineati gli uni accanto agli altri tutti i libri di Jsmail Kadarè che ho cercato e raccolto anno dopo anno , alcuni facili da trovare , altri fuori stampa o nascosti negli scaffali delle librerie.

Ieri ho avuto la notizia della morte di quello che consideravo un amico , se ne è andato il grande scrittore albanese.

Attraverso i suoi libri ho imparato a conoscere la sua terra : il paese delle Aquile e i suoi eroi, le sue leggende crudeli  , i suoi miti e le sue contraddizione che sono in definitiva le contraddizioni e le leggende che si intrecciano in tutti i Balcani.

Gli Scupetari e il loro eroe Castriota mi erano diventati amici anche prima di avere fatto un viaggio in quel paese , quando dopo la fine della dittatura Ever Hocxa, ci sono finalmente andata.

Fra tutti i libri che Kadarè ha scritto forse il più noto tra noi è Il generale dell’Armata morta , forse anche perché ne fu tratto un film , non straordinario , interpretato da un vecchio Marcello Mastroianni.
Ma il libro che ho più amato è sicuramente La Città di pietra, il racconto della sua Argirocastro, per uno strano caso del destino anche la città natale del dittatore Hxha.

Molti dei suoi libri scritti in esilio sono scritti in francese e per molti anni il nome dello scrittore è apparso tra i papabili del premio Nobel che non ebbe mai , ma che come lui stesso diceva ridendo  di sé  che a forza di dirlo c’erano persone che credevano davvero che lo avesse vinto davvero..

Per me se lo sarebbe sicuramente meritato.

Compassione

C’è una parola bellissima che ricorre nel Parsifal : mitdleid ovvero compassione ed è la chiave attraverso la quale gli uomini riescono ad essere partecipi l’uno verso l’altro della pietà necessaria a contribuire alla crescita umana.

La mancanza di com-passione in questo nuovo millennio rischia di essere il vero confine che contraddistingue l’umana solidarietà.

Sarà attraverso la Mitdleid che il Reine Tore , il puro folle camminerà nella ricerca del bene , ed è la Compassione la chiave attraverso la quale si aprirà il grande messaggio del perdono e della ricerca della comune pietà che potrà salvare gli uomini.

L’ultima opera di Wagner , che tanto deluse Nietzche, è quel messaggio necessario ,oggi più che mai potrà riscattare gli esseri umani dalla perdizione che altro non è che una forma crudele di indifferenza all’orrore e al male assoluto.

 Ritornavo a questo pensiero leggendo un bellissimo articolo di Pietro Bianchi , Priore della comunità di Bose da lui scritto riflettendo sulla barbarie umana che sta alla base del fatto di Latina ,il povero bracciante abbandonato sull’uscio di casa , con il braccio tagliato dalla macchina gettato in una cesta da frutta .

Patire- con in definitiva è il vero senso della parola e di questa parola c’è molto bisogno .

La dovrebbero reinsegnare i giovani genitori distratti a quei poveri adolescenti che vedo camminare in gruppi sbandati nelle nostre città d’estate.

Non hanno neanche più la scuola che in qualche modo li costringeva , perlomeno superficialmente , ad una convivenza apparentemente civile.

Mi fanno un po’ paura nella loro visione del mondo che passa dai loro telefonini sempre in mano e sempre accesi su infami visioni iperreali.Forse oggi sono partita da troppo lontano , ma è di questo che mi sento di parlare con i miei sempre meno lettori, perché siamo davvero sempre meno quelli che cercano la pietà e la compassione