Requiem operistico

Ho cercato di seminare amore per l’0pera , prima con i figli e poi con i  nipoti con risultati alterni e tutto sommato modesti.

Ce lo ho portati tutti : chi si è vistosamente annoiato , chi invece ha mantenuto un dignitoso e freddo consenso , per la verità uno solo sembra mantenere ,con moderazione , la tradizione.

Solo che recentemente anche lui , il più acculturato, il  meno annoiato mi ha posto la domanda curiosa : serve quel rito finale  sempre uguale dei saluti ,scandito rigorosamente ?

Non ci avevo ma pensato , in effetti alla prima riapertura del sipario i protagonisti che magari erano morti in scena , sorridenti e abbracciati, poi il coro , i comprimari in rigoroso ordine crescente , poi tutti insieme e la corsetta della diva a prendere il Maestro in quinta , corsetta collettiva , grazie all’orchestra , qualche volta mano tesa al suggeritore : insomma tutto sempre uguale a se stesso.

Il bello è che questo avviene dappertutto , non ci sono confini culturali , il rito finale fa parte dell’opera da Milano a New York, da Berlino a Venna , a Parigi , a Londra ….

Mi era sembrato sempre così normale che non ci avevo fatto caso finché il nipote curioso non me lo ha fatto notare , perché lui non lo capisce , lo trova una perdita di tempo , un applauso , magari caloroso ,basta per questo pubblico giovane che ha fretta di tutto e non capisce la gioia di noi vecchi appassionati che proprio in quella coda godiamo l’attimo della condivisione felice con chi ci ha regalato quelle poche ore di vita diversa dalle brutture del mondo che ci circonda.

E’ possibile che uno degli effetti collaterali del fermo immagine della vita imposto dalla pandemia abbia avuto anche questo risultato .: l’accelerazione di una fine tra le tante che hanno segnato la ripresa della vita ante- Covid.

Eravamo soliti dire l’opera non morirà mai , comincio a dubitare anche di questo . La selva di teste bianche nei teatri non è rimpiazzata da teste bionde o brune , anche in area germanica .

Credo che finiremo noi e i nostri amati idoli più o meno insieme , ha ragione quel signore bergamasco colto e intelligente : non serve mettere il costume da bagno a Donizetti o a vestire  Verdi da donna ; la festa sta finendo , godiamoci questo tramonto culturale , perlomeno essendo consapevoli di essere gli ultimi epigoni di una civiltà in estinzione.

Gli spiriti dell’isola

Mi piace il cinema quando fa pensare , quando mi racconta storie che contengono messaggi di paesi lontani , un cinema letterario e che non da niente per scontato sull’esistenza degli uomini , un cinema di idee.

A questa categoria appartiene un film irlandese che oltre tutto è opera di un autore del quale avevo amato un altro strano film : In Bruges e che ha gli stessi attori come protagonisti.

L’isola  del racconto è inventata , ma non lo è quella in cui sono state fatte le riprese magnifiche che fanno da cornice alla storia.

Eccellenti le prove degli attori , grandissimi Colin Farrell e Brendan Gleeson  canditati ambedue agli Oscar dello scorso anno  che si sono immedesimati perfettamente nei rispettivi ruoli.

Una dotta recensione mi avverte che il film perde molto nel doppiaggio , ma dubito pensare che sarei in grado di apprezzare la versione originale con il mio inglese scolastico.

Una storia sull’amicizia , anzi sulla sua perdita , un evento minimale che sconvolge la banale ritualità di una comunità chiusa nella quale si muovono tutti i personaggi e racconta una vicenda apparentemente semplice che affonda le sue radici nelle leggende della verde Irlanda.

Il titolo originale . The Banshees of Inisherin si riferisce alle streghe che popolavano le vecchie saghe e si avvale anche di una colonna sonora .preziosa , anche quella premiata per la sua originalità.

Un uomo ingenuo vive felice fino a quando il suo più caro amico decide di rompere questa amicizia , una storia apparentemente banale ma fin 

dalle prime immagini si avverte qualcosa di impercettibile e si sente un sentimento di tragedia imminente anche se non sarà poi così prevedibile un finale che sposta di lato gli eventi tragici scegliendo una fine obliqua nella quale si finisce per contare tra le vittime anche il piccolo mite asinello.

Da rintracciare in rete.

Un colpo al cuore

Forse andai in Unione Sovietica con un unico segreto scopo : vedere le opere di Andrej Rublev.

Un film ispirato alla sua vita , opera stupenda di Andrej Tarkowskij me lo aveva fatto conoscere e quel viaggio strano conteneva la speranza di vedere gli affreschi e le poche opere che sapevo essere ancora visibili in Russia di quell’autore misterioso.

Gli affreschi li vidi e invano cercai riproduzioni , non esistevano libri d’arte che mi aiutassero a conservare la memoria , ovviamente proibite le foto.

A Mosca , ad un attonito e ignaro tassista spiegai che c’era una galleria d’arte che si chiamava Tretyakov che conteneva una importante icona , ma fu difficile rintracciarla anche perché non ne conosceva l’esistenza e l’indirizzo.

Finalmente lo convinsi a seguire le mie scarse indicazioni e arrivai davanti alla Trinità di Rublev , una icona misteriosa nei suoi significati simbolici che un caro amico , un religioso sui generis , mi aveva raccontato e spiegato come leggere in quelle tre figure un mondo di fede e di preghiera.

Mentre stavo in contemplazione silenziosa arrivò da dietro le mie spalle un giovane , tanto modestamente vestito da sembrare un mendicante e fece un gesto bellissimo : pose uno stupendo fiore rosso ai piedi dell’icona , forse una peonia e se ne stette accanto a me , in silenziosa preghiera.

Oggi apro il giornale e leggo che Putin ha ordinato lo spostamento della fragile immagine su legno dalla Tretyakow alla cattedrale , da quel Kiril patriarca di regime al solo scopo di permettere al popolo di pregare per la vittoria del popolo russo contro il diabolico esercito ucraino.

Pare che , per fortuna , la reazione delle autorità culturali non permettano una lunga permanenza dell’immagine , che deve essere protetta per la sua fragilità , anche dagli sbalzi di  temperatura pericolosi per la sua conservazione e che tra quindici giorni l’icona preziosa deve ritornare a casa , nel museo.

Qui nella mia stanza ho una riproduzione della trinità di Rublev , comprata a Roma al Russicum e fa parte di una parete in cui ci sono quasi tutti i miei viaggi della mente.

Spero veramente che l’originale torni presto nella sua dimora , certe offese all’arte mi fanno male come i droni sul cielo di Kiev.

Un punto sulla carta

Un caro amico di Facebook mi scrive a proposito di una notizia che riguarda Jonas Kaufmann : quel festival è in un posto magnifico , ti piacerà.

Ma io che sono ignorante in geografia e temo che questo magnifico posto sia veramente lontano da ogni mia possibilità di viaggio mi metto su Google Map per capirci un po’ di più.

Lo trovo subito , ma non riesco a localizzarlo , allora allargo la visione , neanche tanto ,e leggo da una parte Monaco di Baviera e dall’altra Salisburgo. Praticamente equidistante ! poi leggo meglio e riconosco nomi noti come Traunstein  ( ci sta una cara amica ), Roseneim , da lì ci passo spesso col treno e poi allargando ancora un po’ lo zoom mi trovo a casa mia , tra le mie adorate montagne : San Candido e a un tiro di schioppo la mia meta dell’anima : Cortina d’Ampezzo.

Quasi dalle parti del Maso Malher , sono in  quel regno di che fu di Maria Teresa e nella valle d’Ampezzo dove ancora si servono del catasto teresiano.

Sorrido all’idea che questa località , fino a ieri a me totalmente sconosciuta , sarà un nuovo impegno per quella persona intelligente che fra tanti programmi teatrali ancora tutti possibili per lui pensi anche ad allargare la sua attività verso nuovi orizzonti musicali.

Festspielhaus Erl , festival del Tirolo , adesso che ho visto dov’è penso con gioia che tra le mie amate montagne ci sia un punto di incontro tra la  musica che amo e quel personaggio straordinario che ha allietato con la sua voce tanta parte della mia vita.

Giro di boa

Si fanno dei piccoli giri di boa nella vita : alcuni ben percepiti , altri impercettibili e solo guardando indietro se ne coglie l’effetto.

Da qualche giorno  il blog tace .

Grande partecipazione di lettori dopo i post sull’Andrea Chénier milanese , un cambio di amministrazione nella mia città in giorno di primavera inoltrata , quasi una promessa d’estate e una grande pace intorno.

Anche se il mio piccolo libro aspetta ancora una doverosa presentazione cittadina, anche se l’annuncio di un futuro cambio di passo artistico nel protagonista dei miei passati post mi piace ,ho la netta sensazione che qualcosa sia finito e questo non mi mette tristezza , semmai una serenità che si ha soltanto quando le prospettive si riducono e quello che ancora ci resta è un regalo .

Il fatto di avere completato un ciclo , un decennio almeno di corse dietro i programmi teatrali di mezza Europa , un impegno politico sempre più rarefatto , una solitudine sempre più palpabile ma non per questo sgradita mi fanno capire che forse finalmente è arrivato il momento della contemplazione.

Ho qualche dubbio intorno al fatto che questo significhi saggezza , ma la sensazione beata che davvero la grande vecchiaia possa  essere sinonimo di libertà .

Non parlo di quello che credono di essere vecchi a settant’anni , oggi quelli sono solo  dei rinunciatari se pensano di esserlo , parlo di chi davvero , come me , ha varcato i tre quarti di secolo e se è ancora da queste parti gode di una prospettiva fantastica , come se si fosse arrampicati su un albero altissimo  e da li si possa godere un panorama più vasto.

Dico serenamente sempre quello che penso , mi vesto come mi pare e accetto con gioia che mi si aiuti a scendere una valigia dal treno o che qualcuno si alzi per darmi il posto in autobus.

I programmi futuri , preziosi e rarefatti , spero di realizzarli ma con un certo fatalismo li considero un po’ come vincite al gioco.

Eccomi qua di nuovo , il blog , come il vento , riprende il suo giro.

Un messaggio in bottiglia

Ho ancora in testa alcune parole di Gerard nel famoso monologo , rilflessione quando cerca di screditare il poeta Chénier : nemico della Patria …e poi conclude : son sempre un servo…e un finale da perfetto socialista inizio Novecento : fare del mondo un Pantheon….

Non a caso l’aria era molto amata dai nostri vecchi , è un bellissimo manifesto , programma , ahimè utopisticamente mai realizzato .

L’ìItalia conobbe poi il terribile periodo fascista , l’opera andò nel dimenticatoio retorico , più del romantico poeta restò nel cuore di molti quell’afflato universale del bel socialismo d’antan.

Ma non ricordavo la chiusa originale dell’opera , oggi i registi la cancellano !  Sono andata a rileggermi il vecchio libretto azzurro Sonzogno : Gerard piange mentre cala la ghigliottina sugli  sfortunati amanti : ha in mano il biglietto di Robespierre con la risposta : Mème Platon a banni les poetes de sa Repubblique;
morì sulla Ghigliottina esattamente quattro giorni dopo Chénier.

Mi riguardo l’opera , grazie al mio archivio , in gran parte merito di un’amica preziosa , mi incanto a vedere la bravura degli interpreti, tutti ,e penso al grande messaggio politico dell’opera .Anche il famoso Improvviso in realtà è una bellissima denuncia , passano gli anni , anzi ormai i secoli ; si crede che al giorno d’oggi non ci siano più le ingiustizie , le classi sociali.

Niente di più illusorio , l’ascensore è fermo perlomeno da un paio di generazioni .Il vento di Destra che corre dalla Finlandia alla Turchia è solo la manifestazione superficiale di un immobilismo politico che ha privilegiato un fittizio benessere piuttosto che una risposta ad una vera giustizia delle classi sociali.

La ribellione fa paura , ma basterebbe anche solo  leggere un libretto d’opera , non a caso di Luigi Illica , per capire molto cose di più sul nostro disastrato mondo attuale.

Ancora sullo Chénier

Foto di Marco Impallomeni

Dal 1896 , dal giorno della prima che avvenne proprio alla Scala, l’opera di Umberto Giordano ha camminato per tutti  teatri del mondo con periodi di trionfale presenza ad altri in cui sembrava passata di moda .

Ci aveva visto giusto l’editore Sonzogno quando commissionò al giovane allievo del  Conservatorio di Napoli questa sua prima e felicissima opera verista.

La scrittura è un po’ grezza , forse , e non ha le sottigliezze orchestrali di un Cilea o del primo Mascagni  ma il plot narrativo ben amalgamato dalla penna di luigi Illica risultò un perfetto meccanismo teatrale . Soprattutto furono le grandi arie a garantire all’opera il grande favore popolare e Giordano si permise pure  di inserire il Tristan-accord nel momento di amore-morte che accompagna la sentenza del Tribunale del popolo.

Opera amata , tantissimo , e poi odiata dai puristi finché qualche anno fa trovò nell’accoppiata Pappano/ Kafumann un nuovo periodo di gloria.

Forse qualche forzatura orchestrale non ha reso perfettamente i molti passaggi melodici degni di migliore ascolto , forse la bella Sonya Yoncheva qualche momento ha un vibrato di troppo nella voce , forse l’applauditissimo baritono mongolo non ha dato tutto lo spessore necessario al super-classico Nemico della patria , ma quando si hanno in palcoscenico autentici mostri come Carlo Bosi  (l’Incredibile ) o la gloria eterna di Elena Zilio (come vecchia Madelon ) viene da dirsi : avercene di serate così.

Anche se il mio adorato Jonas aveva i vestiti che gli pendevano addosso restava di lui sempre intatto il carisma di chi quando entra in scena praticamente non ce n’è per nessun altro e questo ci deve bastare.

A mente fresca ho pensato che valesse la pena tornarci sopra e poi la seconda parte l’ ho  vista da una prospettiva fantastica , ero in barcaccia e la Scala vista da lì è un ulteriore spettacolo nello spettacolo.

Sullo Chénier scaligero

foto di Marco Impallomeni

Una cara amica nonché  fedele lettrice del mio blog mi scrive stamani : non vedo l’ora di leggere il tuo pensiero sullo Cheniér di Milano.

Ebbene , stavolta ci devo pensare  un po’ e partire  da lontano : vengo da due bellissime esperienze di ascolto con Jonas Kaufmann : il Tannhaüser a Salisburgo e l’incantevole Sigmund della Walkiria di Napoli.

Poi , in maggio ,una pesante tournée molto autarchica ad uso e consumo delle sue genti nelle quali ha cantato l’Italia in molte delle grandi arie che sono da sempre state nel suo grandissimo repertorio ,( d’altronde agli inizi della prestigiosa carriera ci giocava un po’ sul suo fascino latino..)

Poi , ciliegina sulla torta le due repliche milanesi di uno Cheniér nato con un altro tenore , sicuramente meno bravo di lui , ma anche sicuramente un po’ più alto tanto che i vestiti gli stavano decisamente larghi e la redingote gli arrivava ai calcagni .

Quando però è entrato in scena lui ( so bene da che parte arriva :dalla quinta a sinistra ) allora non ce n’è più per nessuno: il suo Improvviso da manuale con il famoso impeccabile “passaggio” , la limpidezza morbida del suo italiano purissimo sembra non esserci posto per nessun altro al mondo.

Però ..piano piano l’opera va avanti e io mi trastullo nella memoria ripensando l’elegantissimo Chénier di Londra , il drammatico Chénier di Monaco , il suo gettarsi quasi fuori scena : si , fui soldato e la meraviglia  di “passa la vita mia come una bianca vela” e io mi trovo a sorridere più ai ricordi che a quello che vedo in scena.

Forse faceva troppo caldo ieri a Milano , forse il viaggio tradotta durato il triplo per le tragiche vicende dell’alluvione in Romagna, forse la mia vecchiaia che avanza , certo è che alla fine ero tanto triste come se avessi assistito alla fine di una storia.

Eppure ero praticamente in palcoscenico grazie alla gentilezza di un caro amico impresario e sono anche riuscita a mettere il mio piccolo libro nelle mani di Jonas , ma per il giudizio complessivo della serata ci devo pensare ancora un po’.

Ci torno su domani.

Un caso familiare

Passa sullo schermo del Festival di Cannes  il film di Bellocchio sul tragico caso del piccolo ebreo Edgardo Mortara e tutt’a un tratto mi è venuta in mente una piccola storia di casa  ,forse  addirittura rimossa , che ebbe un risvolto molto meno drammatico di quella raccontata nel film sulla nostra vita familiare.

La storia banale riguarda la troppa solerzia di una monaca dell’ospedaletto del bambini di Ancona.

Il mio ultimo figlio , nato prematuro , era stato messo nell’omonimo reparto e  a nostra totale insaputa  la solerte sorella aveva “salvato la sua anima “ battezzandolo di nascosto.

Un mese dopo , bimbo a casa , famiglia contenta organizziamo il Battesimo in chiesa e con grande imbarazzo e stupore l’amico sacerdote ci informa che il battesimo non si può fare perché sarebbe un falso! Il bambino è già battezzato.

Rimediamo ridendo e inscenando  una deliziosa falsa cerimonia per la gioia degli amici e parenti.

Venimmo così a sapere che la missione salvifica della suora ospedaliera era prassi consolidata e tranquillamente tollerata dalla direzione.

Poi le suore infermiere scomparvero e con loro la pessima abitudine di battezzare di nascosto i bambini nati prematuri.

Credo che oggi sarebbe impossibile pensare qualcosa di simile anche perché in quello stesso ospedale nascono in percentuale molti bambini diversamente colorati , per la gioia del loro genitori e per la prospettiva anagrafica meno deprimente delle nostre percentuali sulla  italica natalità.

Sculture

Masserizie buttate in mezzo alle strade , montagne di ricordi familiari resi tuti uguali dal fango che uniforma tutto .

Lo conosco da tanto tempo quel colore piatto ,che cancella memorie di vita .

Cominciai a conoscerlo nel 1966 , quando arrivati a Firenze dopo l’alluvione che in qualche modo fu anche spartiacque della mia vita anche se ancora non lo sapevo.

In anni più recenti avevo pensato spesso di raccogliere sotto il titolo L’alluvione una prima parte della mia vita e poi non ne feci niente , come di tante mie velleitarie idee , troppe alluvioni ho visto in seguito e ogni volta quelle montagne di memorie calcificate agli angoli delle strade mi riportano allo stesso stato d’animo.

Perché serbiamo tante case , perché amiamo i nostri ricordi , i nostri libri se poi un giorno l’acqua arriva a cancellare tutto ?

In certi casi mi torna in mente un verso di Cardarelli : le cose non stanno che a ricordare …eppure testardamente , tenacemente ancora metto in ordine la vita ,riordino le foto , i pensieri , le poesie , la musica amata come se non sapessi che basta un attimo di distrazione della natura  per cancellare tutto.

Adesso sotto la Romagna assolata , dove ancora nell’aria putrida galleggiano i ricordi  devo ammettere di sentire  che la vita è sempre più forte dei miei tristi pensieri.

Forse perché chi è corso a spalare non sa che un giorno ci andarono i loro padri , forse anche i loro nonni e che il loro slancio comunque serve a chi in questi momenti ha bisogno di credere in qualcosa che assomiglia alla fratellanza umana.

Non mi riguarda più , ormai io conto solo quello che resta e la somma non indica un risultato di speranza.

Le sculture calcificate di divani , libri , materassi , pentole , elettrodomestici mi ricordano semplicemente che sarebbe ora di cominciare a buttare via tutto , prima che arrivi la piena , quella definitiva , che cancella ogni cosa.

Manzoniana

Ci fu un momento in cui capìì la grandezza di Alessandro Manzoni , ma non fu ai tempi della scuola  , ai miei tempi si imparavano a memoria brani celebri : dai monti sorgenti alla vigna di Renzo ma quello che mi piaceva di più era il racconto della madre : scendeva dalla soglia di uno di quegli usci,….

Probabilmente era quello che drammaticamente mi piaceva di più recitare , da brava aspirante Duse ne ero conquistata.

Ma Manzoni non era in quelle letture scolastiche , nelle noiose parafrasi , nello studio nozionistico sulla vita dello scrittore .

Poi una bella estate in barca , il tempo dell’età media , allora feci la grande scoperta e cominciai a leggere molto di più su questo signore lombardo , ma molto molto europeo , con una mamma davvero ingombrante e una paternità abbastanza misteriosa .

Oltre al grande romanzo lessi di seguito La storia della colonna infame e cominciai a capire di più le contraddizioni di una mente piena di dubbi , di domande e poi anche di certezze difficili.

Mi piacque in quel periodo leggere anche un libro della Ginsgurg . La famiglia Manzoni  , molto meno un libro più recente sulla seconda moglie , mi è stato regalato e mi è sembrato piuttosto un instant book in vista del centocinquantenario  della morte.

Il suo grande libro , il primo vero romanzo italiano dell’Ottocento , quando nel resto di Europa erano tanti gli scrittori che riflettevano sulla condizione umana , fu forse erroneamente declassato a “libro da studiare a scuola “ e questo fatto insieme alle prese di posizione di Gramsci e in seguito anche di uno scrittore moderno come Moravia ,lo  allontanarono dalle nostre letture .

Ma io che sono una insalata- culturale- sentimentale lo amo anche per quel Requiem verdiano che fu eseguito in San Marco in sua memoria, Verdi che omaggia Manzoni , Manzoni che celebra Napoleone : una catena di pensiero che attraversa i secoli e la nostra cultura tutta.

La magia del silenzio

Ho aspettato con ansia lo speciale sulla mostra di Wermeer di Amsterdam annunciata con gran pompa dal Canale Classica , lo metto anche in registrazione  e  alla fine l’unica cosa che mi è venuta in mente di dire : tutto qui?

Intanto bisogna dire per  onestà che questa splendida mostra non è la prima che in terra d’Olanda aveva radunato quasi tutte le opere di Wermeer in giro per il mondo , infatti ero stata all’Aja nel  1996 al Mauritshuis per vedere una splendida mostra , quella sì davvero la prima ,che radunava due terzi di tutta la produzione del pittore .Probabilmente mancavano i tre della Frick Collection come hanno detto i valenti presentatori , ma il resto c’era davvero tutto.

Anzi c’era anche una bella mostra a Deft molto esaustiva  ( Deft Masters , Contemporaries of Wermeer) che introduceva con intelligenza il mondo della pittura contemporanea al grande pittore .

Ho ritrovato il catalogo , colto e bellissimo nel quale c’era anche il deplian della mostra di Deft  e , ciliegina sulla torta, una mostra su Friedrich al museo Van Gogh. Una tre giorni olandese che ricordo ancora con emozione. 

Ricordo anche di avere aggirato la rigida tempistica che permetteva di sostare ben poco davanti ai quadri da me furbescamente violata semplicemente facendo perdere le mie tracce nelle altre sale del ricchissimo museo.

Sono stata così , “bergottianamente” una buona mezz’ora in più da sola davanti alla Veduta di Deft,.

In questo speciale sulla mostra però mi è mancato un momento magico : tra le dotte dissertazioni di illustri personaggi mi è mancato il più bell’omaggio mai scritto sulla lattaia .

Lo scrisse Wislawa Sztymborska ed è intitolato Wermeer.

Finchè quella donna del Rijksmuseum

nel silenzio dipinto e in raccoglimento 

giorno dopo giorno versa 

il latte dalla brocca nella scodella

il Mondo non merita

la fine del mondo.