Ancora su Andrea Chenier

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Articolo di Caterina De Simone

Jonas Kaufmann è bello, consapevolmente, e ha passato tre quarti della sua carriera a tentare di far dimenticare la sua bellezza. I detrattori criticano la sua tecnica giudicandola poco ortodossa, il timbro artatamente scurito e infine la voce definita “ingolata”, ma il cantante tedesco ha ormai deciso che non vale la pena di sciupare energie nervose ed emotive nel rincorrere il consenso unanime, continuando invece a costruire sapientemente il suo percorso artistico. E così ecco l’avvicinamento al “verismo” con Andrea Chenier alla ROH e “Cav & Pag” al festival di Pasqua di Salisburgo , il tutto inframmezzato da un altro debutto importante nell’Aida concertante a S. Cecilia e un ritorno più comodo con Carmen al Met.

A prima vista proprio lo Chenier che sta affrontando in questi giorni a Londra sembra riduttivo per la grande capacità di scavo psicologico di Kaufmann. Come nobilitare il “Dramma Istorico” di Giordano che conserva ancora la vecchia struttura a pezzi chiusi e che tradizionalmente è apportatore di fama per tenori spesso urlatori e completamente assuefatti alla bidimensionalità del personaggio? E come dribblare la consuetudine dei singulti e degli effetti plateali che si associa ancora alla parte più deteriore del “Verismo” in questione?

Dopo trent’anni la ROH rilancia Andrea Chenier e scommette su e con Jonas costruendo attorno a lui una produzione che assomma quasi il meglio a disposizione. Sul podio l’amatissimo Tony Pappano (e ricostituisce così la miglior coppia possibile di cantante e direttore), in regia il beniamino di casa David Mc Vicar e ,a ricoprire gli altri due ruoli principali, Eva-Maria Westbroek e Zeljko Lucic. Aggiungiamo poi una sfilza di comprimari di provata esperienza, i costumi di Jenny Tiramani , le scene di Robert Jones oltre al coro diretto da Renato Balsadonna e avremmo sulla carta uno spettacolo indimenticabile. Il problema principale in un’operazione come questa è sempre la relativa debolezza della partitura e della drammaturgia. Giordano non ha l’ironia e neanche la capacità di trattare il materiale motivico di Puccini, ma proprio perché tutto questo è risaputo risulta pretestuoso porsi all’ascolto scuotendo la testa o arricciando il naso. Quindi è forse un errore anche il “puccinismo” di Pappano, che strizza l’occhio al minuetto di Manon Lescaut nella gavotta del I atto e assimila il Gerard del III atto allo Scarpia della Tosca .

La chiave di regia di David Mc Vicar improntata ad una oleografia quasi datata ha molto fatto discutere. A parte l’ironia del pastiche settecentesco con balletto del primo atto facilmente assimilabile alla coreografia realizzata nel terzo atto della Adriana Lecouvreur del 2010 sempre alla ROH e sempre con Mc Vicar, i tre atti successivi hanno mostrato quasi una rinuncia ad un vero e proprio concept. Tutto ciò avallato da scene piuttosto convenzionali e da costumi molto belli e raffinati ma che probabilmente sono stati pensati più per la trasmissione cinematografica del 29 gennaio che per una vera idea di fedeltà estrema al libretto. O forse il tanto vituperato regietheater ha rovinato per sempre la prospettiva didascalica delle altre regie “normali”….chissà!

Musicalmente la Maddalena di turno, incarnata da Eva-Maria Westbroek , stenta ad incarnare “l’ingenue” del primo atto, mentre riesce meglio a dar vita al personaggio braccato e preoccupato per le sue sorti e per quelle del suo innamorato negli atti successivi nonostante un vibrato a volte eccessivo . La sorregge a dovere Pappano che crede molto nella soprano olandese tanto da averla voluta come protagonista dell’ultima opera di Turnage , Anna-Nicole , e che la accompagna perfettamente ne “La mamma morta”. Quanto a Zeljko Lucic sfoggia il suo vocione e si comporta “comme d’habitude” graniticamente sul palco. Il suo “Nemico della patria” strizza l’occhio al “Credo” di Jago, poi il baritono serbo “Scarpieggia” non poco per quasi tutto l’atto III, venendo però inghiottito dal pieno orchestrale che più pieno non si può scatenato da Pappano. E che strano questo scompenso tra buca e cantanti… Sir Tony è il miglior concertatore –accompagnatore di cantanti nel panorama internazionale! Il cerchio si chiude con Jonas Kaufmann che , per solito un po’ lento ad entrare nel personaggio, si lancia nell’aria di sortita in un Improvviso avvincente, assertivo, tutto sul fiato e ricco di sottigliezze che probabilmente non si sono mai sentite da nessun altro interprete. Niente eccessi , eppure delineato alla perfezione il fervore del poeta offeso dalla superficialità e vanagloria della nobiltà francese. Non c’è invettiva, ma il sottile intelletto del rivoluzionario in nuce , punto sul vivo e pronto a colpire con le sue armi: parole e poesia. Nel II e III atto conferisce al personaggio lo spessore che manca alla scrittura musicale per poi offrire un finale estremo con un duetto esaltante in coppia con la Westbroek cantato tutto in tono laddove esempi famosi del passato ci rimandano a canonici abbassamenti di un semitono.

E’ probabile che l’Andrea Chenier sia stato inserito nel suo calendario come tappa importante di avvicinamento al verismo di Cav&Pag e questo non fa che confermare le sue grandi doti di programmazione e gestione della carriera. Quindi, a parte le indubbie doti canore, guai a considerarlo solo bello; più che bello è di una intelligenza rara

Caterina De Simone

Ripensare Andrea Chenier

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Luigi Illica, il librettista di Giordano, aveva il senso del tempo. Intellettuale e giornalista, apparteneva alla scapigliatura milanese, sicuramente con inclinazioni socialiste e trovandosi tra le mani l’occasione di scrivere un libretto sul secolo dei lumi avrà avuto sicuramente a cuore l’idea di esaltare il ruolo degli intellettuali nel grande momento della più grande rivoluzione borghese che avrebbe cambiato per sempre il corso della storia.

La macchina messa a punto dal dottor Guillotin, detta affettuosamente Louisette, avrebbe per sempre decapitato, anche fisicamente, i privilegi di una aristocrazia scandalosamente perduta nei propri privilegi. La figura del poeta vittima del suo pensiero era sicuramente nelle corde di Illica e la sua narrazione, se la vogliamo leggere in maniera meno oleorafica, è perfetta.Schermata 2015-02-01 alle 09.07.40

Atto primo. Nella gabbia dorata aristicratica, nella quale l’unica voce ribelle è quella del poeta intelletuale, irrompe il popolo cencioso a spezzare una sorta di incantesimo di un mondo ottuso col capo, finché ce lo avrà sul collo, decisamente rivolto all’indietro.

Atto secondo. Gli intrighi della prise de pouvoir del nuovo: le trame e le vittime, perfetta la citazione di Desmoulin, nel momento della deflagrazione di un sistema. Cambiano i costumi: arrivisti e cortigiane, leggi Incroyables e Merveilleuses.

Atto terzo. L’inevitabile condanna del pensatore ribelle e orgoglioso, “si fui soldato” introdotta dalla costruzione pretestuosa di un colpevole “ nato a Costantinopoli…”

Atto quarto. La Louisette in azione e inserimento finale della grande storia d’amore. Inevitabile melò-dramma con il sacrificio di una donna sola “la mamma morta”, tutto bruciava intorno, quasi un riscatto di classe in nome dell’amore . Di quell’amore che non è solo palpito, ma è anche la molla iniziale che fa scattare l’amore tra il poeta e la fanciulla.

E qui sta l’errore madornale di McVicar. Invece di accentuare una trama socialmente e umanamente accettabile rimodella il tutto sul cliché pane e brioches e resta il rimpianto di non avere assistito ad una rivisitazione qui veramente necessaria in chiave politica. Dalla gabbia dorata del primo atto alla grande ghigliottina sullo sfondo sinistro si potevano muovere credibilmente un popolo cencioso, una fauna di approfittatori e la bianca luce privata di un amore.Schermata 2015-02-01 alle 09.19.59

Come al solito Jonas Kaufmann a modo suo si salva e con garbata ironia riesce a trasmettere con una deliziosa serie di messaggi in bottiglia tutta una serie di segnali molto divertenti:
preziosa la sua foto divertita tra le tricoteuse, zeffirellianamente messe sulla gradinata del processo e addirittura provocatorio il far vedere nel video trionfante del RHO in cui si esaltano i preziosi costumi d’epoca ricostruiti, questi sì nel modo in cui solo gli inglesi sanno fare i film storici, il tempo lunghissimo che gli ci vuole per cambiarsi gli stivaletti dai mille bottoncini in un tempo breve (dieci minuti) sorvolando allegramente e con nonchalance sulla difficoltà del fatto che poi lui sarebbe tornato in scena per cantare le impervie arie della partitura con la maestria che ne fanno sicuramente oggi il più grande Andrea Chenier disponibile sulla piazza.

Che bella sarebbe una ripresa della BSO in questa chiave!

Jonas Kaufmann in Andrea Chenier

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L’Andrea Chenier é un’opera legata alla mia infanzia, fa parte delle memorie piu tenere: la mamma mi raccontava la triste storia del poeta (e ci teneva a dirmi vissuto davvero) morto ghigliottinato durante la Rivoluzione Francese e del suo amore per una giovine nobile che aveva deciso di andare a morire con lui, tutto arricchito dalle storie del perfido Gerard, della fida Bersi e della vecchia Madelon. Qui la mamma si commuoveva sempre.

Poi io questa opera l’ho vista tante volte e mi é piaciuta sempre un po meno…troppi sventolii di bandiere: Liberté, Egalité, Fraternité!

Non è colpa di Umberto Giordano, ma certe opere sono piu legate di altre allo spirito dei tempi e sicuramente questa non è un capolavoro eterno. È però un must per ogni grande tenore, direi una tappa obbligata nella carriera.10923799_1159905527369955_8377430422470383616_o

Jonas Kaufmann prima o poi ci sarebbe arrivato: un title role su misura per lui e io sono corsa a vedermelo con tante speranze, ma (e non colpa sua) l’allestimento londinese mi ha lasciato nella mia convinzione, anche perché l’intervento di Mc Vicar invece di alleggerire un plot abbastanza datato ci si é tuffato dentro enfatizzandone tutte le banalità. Cosi che le grandi arie restano tutte li come figurine ritagliate in un contesto con la plebe pulita tipo statuine da presepe napoletano, col balletto sulle punte (allora se volevi fare una cosa filologica questo era da evitare), con la frase di Robespierre messa ad ogni calar di sipario, tante volte non l’avessimo capita bene!

Ovviamente Jonas cannibalizza tutte le partners e la povera Westbroek, cui peraltro ha dalla sua la piu bella aria dell’opera, non ce la fa a reggere il confronto. Potente vocalmente, preciso nella gestualita quando può esplodere nelle sue arie ci regala un’altra delle sue interpretazioni che resteranno nella memoria.10934118_1159905530703288_279811240387565565_o

In ottima forma Lucic, stavolta in gran spolvero, il suo Nemico della patria di tutto rilievo. Per il resto, come si dice, bene gli altri, un po’ meno la orripilante pronuncia del coro.

Il mio amatissimo Sir Tony – grandissimo in ogni partitura – sicuramente il migliore direttore di cantanti sulla piazza forse alle prese con Giordano, che ovviamente non è Puccini ce la mette tutta ma il tessuto generale, e non per sua colpa, mostra la corda e il registro fortissimo non rappresenta la soluzione di ogni scollatura. Ovviamente queste mie righe sono destinate a scandalizzare il popolo felice delle kaufmanniane, ad irritare tutti coloro che hanno salutato con enfasi questa ripresa. L’opera mancava da Londra da trent’anni! E io tutto sommato sono stata felice di sentirmela ancora una volta, cantandomela dentro. È di quelle opere che conosco praticamente tutta a memoria,

Per la gioia di vedere Jonas bellissimo col codino, di sentire la Mamma morta ripensando sempre alla Callas, di apprezzare il modo in cui il grande istrione riesce anche stavolta a ricreare a modo suo anche questo stereotipato personaggio , facendone un altro anello della sua ormai immensa serie di eroi.

Ma soprattutto in memoria della mia mamma che questa opera amava davvero ed è per il suo lontano raccontare che io sono la inguaribile melomane che sono.

Ps. Per una recensione seriosa rinvio quella segnalatami dal mio amico di mouse Giulio Delise su www.Teatro.it

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Ancora sul Lohengrin

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Passa e ripassa in questi giorni su Classica un Lohengrin del 2009 del Bayerischestaatsoper con un Kaufmann appena quarantenne debuttante nel ruolo del titolo in una regia che a quanto leggo dai commenti al bel pezzo ospitato sul mio blog e scritto da Caterina De Simone non ha trovato il gradimento di molti spettatori.

Quello che scrivo non è però in polemica con la mia amica con la quale sono sempre in sintonia ma mi viene sollecitato dalla scarsa valutazione di molti che ancora adesso privilegiano la messa in scena “bella” a quella che ha in se una forte idea innovatrice.

Sarà che da un po’ di tempo sono molto più abituata alle Inzenierung di matrice germanica che al gusto elegante di mise en scene impreziosite da bei costumi che mi viene più facile amare il nuovo quando è generato da un’idea forte, come dice lo stesso Kaufmann in una sua bella e lunga intervista sul tema.

Anche io avevo molto amato il Lohengrin dubbioso e problematico di Klaus Guth, quest’uomo venuto dal nulla e non a caso lo stesso regista aveva citato la sraordinaria e misteriosa apparizione sulla piazza di Norimberga di una sorta di smemorato, Caspar Hauser, come fonte di ispirazione per il suo Lohengrin.

Un Lohengrin molto umano, come sottolinea anche la De Simone, sconfitto e perdente, reso splendidamente nelle due famosisime arie In fernem Land e Mein lieber Schwan da un Kaufmann eccezionale .

Guardando e riguardando la messa in scena di Richard Jones, a mio avviso un regista molto geniale, si coglie invece meglio la missione ultraterrena del cavaliere del cigno.

In una società laica e formale come poteva essere in questa della messa in scena molto bavarese anni trenta c’è una giovane ragazza accusata ingiustamente di aver ucciso il fratellino e che sogna solo di costruirsi una casa borghese nella quale arriva l’extraterrestre, una specie di guru New Age che lentamente porta tutta la comunità a convertirsi al nuovo ordine mistico religioso ed ecco quindi spiegate tutte le magliette celesti che tanto hanno turbato lo spirito estetico nelle nostre affezionate scaligere.

Il male è rappresentato dalla cattiva Ortrud, dichiaratamente germanica e un po’ filo-nazista nella sua biondissima accentuazione ariana che fra l’altro invoca un Wotan e Fricka ancora bel lungi da venire nel Ring.

La scritta fiorita sulla casa degli sposi è una citazione di quello che Wagner volle fosse scritto sulla sua casa di Bayreuth: Hier wo mein Wähnen Frieden fand – Wahnfriend – sei dieses Haus von mir bennant, (grosso modo “qui dove la mia delusione trova pace , qui chiamerò la mia casa”).

Il Lohengrin dal bellissimo canto spiegato di Kaufmann si trova sì sconfitto, ma sconfitto nella sua missione divina, il suo è un dolore ben diverso da quello della Scala. Qui è un angelo ferito che singhiozza prima di lasciare quella pace terrena che sperava di avere trovato nella tenerezza di una casa con la culla già pronta, con la carrozzina fuori della porta, in quel suo essere falegname e costruttore di pace.

La direzione stupenda di Kent Nagano, la compagnia di canto di alta qualità , cito volentieri Micaela Schuster e soprattutto il Telramund di Wolfgang Koch fanno si che questo Lohengrin a mio avviso meriti di più di una sbrigativa valutazione tipo “ mi ha irritato” come ho letto tra i commenti al bel pezzo di Caterina.

Ma il discorso potrebbe essere anche più lungo, potremmo cominciare ad analizzare tutti i vari personaggi che un genio come Kaufmann riesce ad interpretare facendo dei suoi Werther degli unicum così come dei suoi molteplici Don Josè e Don Carlo….

Uno nessuno e centomila, mai come per lui questo titolo pirandelliano rende meglio l’idea della forza interpretativa dell’attore.

 

 

 

 

 

Capodanno e connessi

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Infuriano gli eventi pre-natalizi, post-natalizi e “in-tra-fra “ Natale e Capodanno.

Nei nostri teatri l’immancabile balletto “sulle punte” con compagnie russe, tutte griffate Bolshoi e Marinsky…

Poco importa se i lustrini sono un po’ d’antan e i tutù un po’ consunti.

E giù Schiaccianoci, Laghi dei cigni e Giselle a gogo.

Poi non ci facciamo mancare i Gospel, anche se qualche volta si ha l’impressione che tutte questi Harlem group siano un po’ raccogliticci tra i nostri immigrati recenti.

Per carità, nessuna snobberia, solo che la qualità di queste offerte non è la più sublime.

Se poi attraverso la televisione andiamo a vedere i grandi eventi all’estero non è che ci sia molto da invidiare aldilà dei grandi nomi, ovviamente.

Uno strano disagio ha procurato l’apparizione di Jonas Kaufmann all’Helen Fischer show il giorno di Natale, ci sono i dischi da vendere e ce ne faremo una ragione.

http://youtu.be/oIo-Z7-RLFs

Anche alla Semperoper di Dresda il concertone aveva abbastanza l’aria aziendale, mi aspetto il Capodanno da Vienna al Konzerthaus con le colonne di tutti i colori, sempre un po’ pacchiane.

Si salva solo il grande, bellissimo concerto di Capodanno dal Musikverein: il solo, il vero concerto che abbiamo aspettato per anni anche se ora non lo vediamo più in diretta ma in differita perché la Rai ha voluto il suo evento italiano a fare concorrenza.

Io amo moltissimo il grande inimitabile concerto che ha fatto conoscere a generazioni di persone la sala dorata e infiorata dai fiori di Sanremo con tutti i giapponesi (e ora anche russi e cinesi) paganti nelle prime file, tutti rapiti dalla magia del valzer viennese.

Confessi chi non ha battuto le mani alla Radetzky March…io l’ho fatto anche con gli sportelli della macchina aperti in un bel prato innevato davanti ad una baita in montagna ed è uno dei ricordi più felici dei miei molti capodanni.

Poi sul podio si sono alternati i nomi più prestigiosi, le magiche bacchette: da Von Karajan a Bernstein, da Maazel a Mehta, cui tocca quest’anno di nuovo il grande evento.

Cambia solo, ma di poco, il programma ed è forse l’unica suspence di un avvenimento di cui sembra di sapere tutto.

Ma il grande concerto di Capodanno dal Musikverein è tutto nel suo fascino ripetitivo, io già sono in attesa col telecomando in mano.

                                                         Buon anno a tutti!!!

Lohengrin uno e due

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Articolo di  Caterina De Simone

Le mamme di una volta dicevano sempre: “I paragoni sono odiosi!” stringendo le labbra in una smorfia severa. Probabilmente è vero, però è quasi spontaneo fare un paragone fra il primo e l’ultimo, in ordine cronologico, Lohengrin dell’unico vero Cavaliere del Cigno oggi in circolazione. L’occasione è data dalla ri-trasmissione della performance monacense, datata 2009, su Sky Classica.

I tre anni fra la prise de role e la performance scaligera del 2012 hanno indubbiamente segnato un processo di maturazione importante che ha di sicuro orientato e spinto la carriera di Jonas Kaufmann (nel caso non aveste ancora capito…è lui l’unico figlio di Parsifal possibile dei nostri tempi).

Le sue due prestazioni vocali non potrebbero essere più lontane una dall’altra. Certo in mezzo sta il Lohengrin di Bayreuth, datato 2010, noto come quello “dei topi”. Ma è con la regia scaligera di Guth e la naturale evoluzione della voce che si notano i cambiamenti più radicali. La sfrontatezza vocale monacense infatti a Milano è tutta introiettata verso la fragilità dell’eroe malgré lui.

Esaminiamo il terzo atto che è il banco di prova per un tenore che affronti quel ruolo. Alla BSO la caratterizzazione del personaggio punta sulla solitudine dell’essere superiore sconfitto dalla miseria dell’animo umano. L’incredulità e la disperazione sono palpabili in chiusura del duetto della camera nuziale, e ancor più nel muto singhiozzare alla ribalta, Lohengrin accasciato sulla buca del suggeritore. Lo stesso episodio alla Scala si fa logica conclusione di una sensualità irruenta che spaventa l’Elsa “disturbata” proposta dal regista Guth. In un certo modo è come se il Cavaliere del Cigno fosse consapevole di ciò che lo aspetta. Nel Gralserzählung cantato nel teatro bavarese l’incredulità si fa evidente, non ancora metabolizzata, nello sguardo allucinato e nella mano che perentoriamente afferra quella di Elsa che vorrebbe invece farlo tacere. A Milano “In fernem Land” è invece tutto intriso di amarezza e di un dolore latente che rispecchia una accettazione passiva del ruolo di eroe che sta stretto al protagonista. Mein lieber Schwann e l’addio ad Elsa sono interpretati come risposta ad una punizione necessaria al desiderio di umanità di questo Lohengrin profondamente contemporaneo. Al contrario a Monaco prevale la dolcezza ultraterrena della creatura superiore giunta finalmente a comprendere e compatire la natura fallace dell’uomo, qui incarnata da Elsa.

Quanto di tutto questo sia da ascrivere alla mano dei registi, Jones in Baviera e Guth a Milano, non è dato di saperlo. Certo è che la caratterizzazione del personaggio non solo vocalmente ma come prova d’attore è nei due casi molto diversa, nonostante l’anello di congiunzione costituito da Anja Harteros sia presente in entrambe le occasioni. Il soprano tedesco è il logico completamento alla personalità prorompente di Jonas Kaufmann. Precisa, affidabile, mai eccessiva, in scena riesce ad imbrigliare il genio del suo partner. I due si fidano ciecamente l’uno dell’altro, i loro duetti nel repertorio italiano (non solo Lohengrin insieme) costituiscono sempre il vertice di ogni performance al quale nessuna Kristine Opolais, per citarne una, potrà mai aspirare.

Se in futuro questo Cavaliere del Cigno dovesse ripresentarsi in scena, come già sperano i parigini, saprà di certo offrire ancora un altro volto all’eroe wagneriano.

Caterina De Simone

 

Raccontino di Natale

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Sotto le feste è carino ricordare i parenti e anch’io ho fatto una telefonata particolare.

Mio cugino, anzi un cugino di mia madre, Angelo Loforese, famoso tenore degli anni sessanta ormai novantaquattrenne vive a Milano e mi pareva giusto fargli un salutino natalizio.

Mentre facevo il numero speravo comunque che non mi rispondesse qualcuno per dirmi che magari non stava molto bene per venire al telefono, invece la sua chiara e forte voce educata al canto mi ha risposto un bel:

-Pronto.

Ciao, cugino caro, ti vorrei fare gli auguri per Natale e lui carinissimo,

-Anche io pensavo a te in questi giorni, mi hai preceduto.

Scusami sai sono stata in giro per musica, a Monaco per una Manon Lescaut.

e lui in risposta:

-La mia opera preferita di Puccini, molti dicono che la migliore è Boheme, ma Manon… e qui un sospiro al ricordo.

Io per restare in tema gli dico:

-Pazzo son…e lui: Sai che a Malta una volta a metà ho avuto un applauso e ho dovuto cantarla due volte!

Poi con tranquillità mi informa che ancora dà lezioni di canto e che proprio quella sera sarebbe uscito perché ha un impegno, lo hanno fatto presidente di un concorso di canto al Rosetum, insomma ha ancora molto da fare.

Dio lo benedica , novantaquattro anni suonati!

Dopo i saluti di rito e la promessa di andarlo a trovare quando capiterò a Milano ho cercato tra i miei CD il suo intitolato Un mito della lirica e c’è proprio l’aria Pazzo son dalla Manon Lescaut.

Una incisione live…la qualità ovviamente diversa dalle incisioni di oggi, ma un brivido comunque me l’ha procurato .

Non a caso una copia di quel vecchio CD l’avevo regalato a Kaufmann al tempo del Trovatore, altro cavallo di battaglia di mio cugino.

Spero che Jonas non se lo sia perso, magari senza colpa, semplicemente perché confuso tra i troppi regalini di dolcetti, fiori e cimeli vari che gli vengono regalati dagli ammiratori all’uscita dei teatri sia caduto nel dimenticatoio.

Sono sicura che sentire quelle voci di una volta gli può solo fare bene, confermandogli quanto stranamente quella voce lontana assomigli notevolmente alla sua.

Il mondo fluido

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Se c’è una cosa bella in questo nuovo millennio è la straordinaria fluidità dell’informazione in rete. Può piacere, spaventare, irritare qualche volta, ma assolutamente non la si può fermare.

Per questo quello che è successo ieri sera a proposito di un brano cantato da Jonas Kaufmann in uno spettacolo natalizio molto pubblicizzato sulla televisione austriaca si presta a qualche riflessione e forse anche ad un pizzico di ironia.

Il brano, cantato verso le venti arriva attraverso Dropbox in contemporanea attraverso vari gruppi dedicati al cantante.

Ovviamente le persone generose condividono con gli amici di Facebook e…orrore!

Qualcuno si sente proprietario del codice di accesso e blatera: cancellate subito! Ovviamente molti non sanno neppure da dove sia arrivato il link, il dono viene salutato con grande gioia ed è tutto un ringraziamento: la rete fa festa.

Ma nonostante le rassicurazioni, i chiarimenti in tedesco c’è chi non si da pace…e riesce sadicamente a chiudere Dropbox quando diciamo così in realtà i buoi sono scappati a centinaia…

Infatti oggi del dolcissimo brano si hanno varie versioni su Youtube, più o meno lunghe. La fatidica sigla figura anche in siti, diciamo così, istituzionali e personalmente mi sono divertita a scaricarlo in due o tre modi…non si sa mai la vendetta.

Fu così che un tenerissimo canto di Natale cantato in una deliziosa chiesa austriaca in un paese di fiaba che ha una piazza che si chiama Stille Nacht cantato da un ispirato e dolcissimo tenore divenne una lotta di tipo medioevale come se la rivoluzione informatica fosse passata invano nella testa di qualche disinformata signora rimasta con la testa ai tempi del petit point e dell’uncinetto.

Sehnsucht

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Superare lo stress di uno sciopero generale, rifare la valigia dopo una settimana, vedere Vienna solo per poche ore ( ed era bellissima con le luci di Natale) puô valere la pena?

Direi proprio di si se Jonas Kaufmann canta i meravigliosi Lieder di Strauss in quel modo sempre più incantato e perfetto con cui li ha cantati stasera.

La grande sala del Konzerthaus non ha il fascino del Musikverein ed é forse troppo grande per questo tipo di musica, ma la folla che gremiva ogni ordine di posti sicuramente rendeva necessaria questa dimensione.

Il programma vedeva nella prima parte Zwölf Gedichte di Robert Schumann, sicuramente molto impegnativi, anche vocalmente, lo si vedeva anche dalla tensione di Jonas che serrava stretti i pugni e nel suo innervosirsi, legittimo, per il concerto di tosse delle pause.

L’atmosfera è cambiata nella seconda parte: Gedicte aus “Letzte Blätter” di Richard Strauss.

http://youtu.be/v71sKmoOn4k

Li conosco e li amo tutti, mi sembra di cantarli nell’anima e quell’incredibile mostro di bravura che è Kaufmann quando li canta aggiunge la sua magia perché’ riesce nel breve tempo di un Lied a trasmettere una perfetta atmosfera che vale un tempo lunghissimo, quasi fosse un intero romanzo.

Non posso elencarli tutti, tra quelli in programma e quelli dei generosissimi tanti Zugabe, ma come non citare perlomeno Zueignung, Nichts, Morgen , Cäecilie e il sublime Allerseelen…..effettivamente valeva la pena di fare questo blitz viennese…10687372_1125294990831009_2985506288652164724_o

Helmut Deutch è quel sublime pianista che conosciamo e la sua simbiosi con Jonas perfetta. Non si può parlare di semplice accompagnamento, è molto di più. Il loro dialogo rende lo svolgimento musicale un unicum credo raramente raggiungibile.

Su una lavagnetta all’ingresso c’era scritto che avevano provato stamani alle dieci, credo che averli potuti ascoltare sarebbe stata una preziosità rara…10417774_1125255077501667_321345245782469106_n

 

 

Una telefonata alle tre e un quarto

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Quando alle tre e un quarto un famoso giornalista e scrittore che mi onora della sua amicizia mi manda un messaggino con scritto semplicemente : Indovina chi canta Florestano stasera alla Scala? Io ho risposto con un NOOOOOOOO… guardando l’orologio, sapendo gli orari dei treni per Milano e non possedendo un jet privato ho capito che una grande tragedia stava abbattendosi sul mio capo.

Allora generosamente ho avvisato i due amici milanesi, che fortunati loro, potevano buttare a monte tutti i loro impegni, le loro vite e precipitarsi a teatro perché il miracolo (per la verità un’amica siciliana me ne aveva profetato…) il 10 lo può fare…Monaco-Milano in macchina che ci mette…10616400_10204343090469989_257782963878502613_n

Così mi perdo Florestano cantato da Jonas, in più alla Scala…

Poi cosa facciamo per le repliche future? Io ho il biglietto per Vienna alla Konzerthaus per sabato e poi, conoscendo a memoria tutto il calendario di Jonas, ha anche un San Pietroburgo dopo due giorni. Fa in tempo a tornare per le ultime repliche o il titolare guarisce in tempo?

Sono le sette e mezzo, stasera mi sento come un ragazzino a cui hanno levato un regalo bellissimo e insperato. Quando mi ricapita più una fortuna simile?

Lo scorso anno mi ero fatta venti ore di treno per le tre ore scarse di una Tosca col sostituto di lusso, proprio in questi giorni.

Una preghiera carissimo Jonas: A noi che ti amiamo così tanto mandaci un messaggino privato quando parti da casa, così c’è almeno la speranza che qualcuno ce la faccia a venirti a sentire quando canti in patrio suolo italico.

                                                Con affetto, toi toi toi…

Monomania o felicità di condividere?

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…e se tornassi ancora a parlare di questa due giorni di Monaco? Monomaniaca con note ossessive-deliranti oppure semplicemente una persona che è felice di condividere le esperienze belle della vita?

Ho finalmente scaricato dal mio telefono le tante foto del concerto di sabato 6 dicembre in chiesa e ho condiviso su Facebook il video del Cantique de Noël.

http://youtu.be/vz_FMw2ftns

Penso che possa essere condiviso anche attraverso il blog, la voce di Kaufmann è così bella e potente che si allargava nella grande navata!

Da segnalare la foto anche se sono tutte venute male perché una antipatica fonte di luce proprio dietro il tenore impediva un minimo di messa a fuoco, nella quale lui parla con le mani a megafono davanti alla bocca, sembra davvero un ragazzino che si diverte a chiamare gli amici…

Finalmente Manon Lescaut

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Sembrerebbe impossibile parlare ancora di questa Manon Lescaut di Monaco arrivati all’ultima replica. L’hanno vista tutti, recensita in ogni dove. Attesa per la curiosità provocata dall’abbandono in corso d’opera da parte di Anna Netrebko e l’arrivo di Kristina Opolais che per sostituirla ha lasciato la Mimi del Met nonché per la regia che comunque il nome di Neuenfels prometteva provocatoria.

Mettiamoci che poi arrivata alla settima replica ero così impaurita che non la cantasse il mio adorato Kaufmann che ero arrivata a imbottirmi di amuleti come una Klitemnestra. Insomma ci sono arrivata tesa come una corda di violino e invece di non avere più niente da dire sull’allestimento mi sono trovata piena di stimoli e di curiosità.

Devo dire Innanzitutto che la messa in scena è molto bella, assolutamente scarna e intelligente, per niente provocatoria. C’è poi inoltre da dire che qui troviamo il Puccini wagneriano nella sua essenza totale, non tanto per la direzione di Altinoglu, in certi momenti anche un po’ troppo debordante, ma per il taglio intellettuale della regia.

Jonas Kaufmann

Jonas Kaufmann

Mentre ascoltavo l’opera mi è venuto in mente proprio questo pensiero: l’avrebbe trovata sua questa Manon, (anzi questo De Grieux, il vero protagonista) l’autore che ben sappiamo lo è stato anche del libretto, aldilà delle molte mani per cui è passato tanto da uscire anonimo? A questa domanda cerco di darmi una risposta, ahimè arbitraria e quindi tranquillamente confutabile. Io penso di si, anche se certe rarefazioni del coté fortemente sentimentale dell’opera si trascolorano in una lettura decisamente più intellettuale e distaccata che ha comunque momenti registici di grande raffinatezza e attenta lettura della partitura .

Ho apprezzato il tono elegiaco dell’aria Tra voi belle spesso interpretata come una spavalda ballata galante e l’abbandono totale di Donna non vidi mai resa magistralmente da quel rotolarsi vinto e sfinito di Des Grieux. Ho trovato geniale il soprassalto di Manon che si sveglia spaurita con la sola giacca del suo compagno e il suo Sola perduta abbandonata diventa quasi un grido di paura, come l’evocazione dell’amore mascherato, quasi un sogno di Manon nella sua aria nel secondo atto. Momenti di una regia estremamente sapiente e attenta al dare significato concreto ad ogni frase musicale nell’insieme e invece di una rarefazione dei sentimenti da farne una sorta di quel Tristano italiano di cui aveva parlato Fedele D’Amico.

Jonas Kaufmann e Kristine Opolais

Jonas Kaufmann e Kristine Opolais

Forse il regista ci vuole spiegare troppe cose con i suoi cartelli brechtiani, c’è già tutto nella musica di Puccini e la landa desolata lo è stata in ogni allestimento con la differenza che la totale uscita in quinta di Des Grieux lo costringe a mantenere una carica adrenalinica che pochi cantanti saprebbero mantenere come invece riesce miracolosamente al nostro tenore, sicuramente il più grande interprete di questo ruolo che io abbia mai visto. Ho avuto la fortuna di vedere ravvicinati i due allestimenti, quello di Londra e questo di Monaco con gli stessi due protagonisti e senza volere fare graduatorie dirò che nella loro differenza sono ambedue edizioni di grande rilievo.

La coppia Kaufmann-Opolais, perfetta fisicamente nei ruoli, si avvale della grande maestria del tenore che ha sviscerato con sapienza tutte le sfumature di questo ruolo tanto da farlo intimamente suo e la più giovane Kristina ha dovuto solo seguirlo per esserne, anche se in certi momenti ancora acerba, la partner ideale.

La Manon di Londra è soprattutto la Manon di Antonio Pappano, un direttore sapiente e appassionato la cui arte ci ha raccontato tutto l’intima passione del giovane Puccini in questo suo primo capolavoro, la Manon di Monaco è la Manon di Neuenfels, un regista a suo modo unico che di questo capolavoro ha voluto lasciare una sua incisiva interpretazione.