Cavalleria & Pagliacci – Atto secondo

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Riprendo ad analizzare le due opere. A freddo, se ci riesco. Ovviamente inizio da Cavalleria cercando di ricostruire obbiettivamente perch  la ritengo così sbagliata nella messinscena. Premetto di essere sempre favorevole ad ogni inszenierung innovativa , ma in questo caso non ce n’era proprio bisogno. Il testo asciutto  dal ritmo scandito cinematograficamente ha in se tutti gli elementi di una scenografia rigidamente disposta: la piazza, la chiesa, l’osteria. Si possono variare gli elementi ma resta il fatto che anche spogliata da tutti gli stereotipi folklorici, le ultime messinscene puntano generalmente su colori più spenti, su una Sicilia più povera, più in la non si può andare. Se hanno comunque funzionato alcuni momenti cinematografici come l’aria iniziale cantata di spalle nella cameretta da parte di Turiddu, con un pensiero affettuoso all’amica Caterina che gli ha fatto da vocal coach per cui lui ha finito con ” mancu ce trasu ” perfettamente siculo e la scena della sigaretta alla finestra tutta la parte sottostante, affollata oltremisura al proscenio  con una chiesa più piccola di una cappella cimiteriale era veramente irritante. L’allestimento salisburghese ha avuto in Jonas Kaufmann non solo un divo della scena ma anche un grande attore che recita anche quando non canta ed ha fatto del suo compare Turiddu un personaggio spavaldo che porta in sè il suo destino di perdente.11086121_1205929179434256_605136983_o

Mai focoso, pieno di un fascino giovane e scattante riesce ad interpretare calandosi molti anni  (che poi riprenderà con l’aggiunta ) nei venti minuti scarsi che lo separano dai Pagliacci. Ottima Annalisa Stroppa, una Lola credibile e dall’emissione chiara, Ambrogio Maestri è quel grande cantante che conosciamo, diciamo che come Compar Alfio risulta un po’ sovrabbondante. Santuzza, Liudmyla Monastyrska, a parte il solito italiese dell’est, non ha il registro drammatico del ruolo, oltretutto non mi era piaciuta neanche nel Requiem. Mamma  Lucia. Stefania Toczyska, ingessata nel ruolo fisso diventa anche di difficile classificazione. Il coro, nonostante gli sforzi di tante prove, seguita a cantare in una strana lingua indefinita, per non parlare del classico urlo finale, qui affidato a due vocine giovani non riesce neppure minimamente a ricreare quel brivido ineludibile che ogni volta mi procura. Ho pensato con nostalgia alla corista del Coro Bellini specializzata nell’urlo drammaticissimo della chiusa. Di Thielemann ho già detto nel pezzo di ieri, grande direttore, ma quest’opera non è proprio nelle sue corde. Tutto diventa molto più giusto nei Pagliacci, a parte l’incipit di meta-teatro con Kaufmann che passeggia allegramente col sangue della ferita di compare Turiddu, una scivolata registica che tende a sminuire in un colpo tutta la portata drammatica dell’opera appena conclusa. Pazienza, già dal prologo molto ben cantato dal baritono greco Dimitri Platanias mentre i servi di scena avanzano con le scenografie mi fa capire che l’allestimento e ben centrato. Anche l’orchestra ha sonorità più asciutte, lo stesso coro, che comunque seguita a cantare in arabo, aiutato dal coro dei bambini, funziona decisamente meglio. Nedda, deliziosa Maria Agresta ha la vocalità per il ruolo, di Tonio ho già detto, Alessio Arduini, uno dei giovani cantanti italiani che tengo d’occhio da tempo ha il perfetto phisique du role, necessario per renderlo credibile in contrapposizione a Kaufmann, si giova anche di una vocalita’ ampia e sicura.11096956_1205479676145873_2054514585_n

Del mostro sacro che dire. Si è appesantito, ingobbito, ingrossato, il suo sguardo velato di crudeltà animale fa veramente paura. Il suo “Ridi pagliaccio” da manuale credo resterà nella storia del melodramma, tutta la parte finale, dal momento della trasformazione di scena fino alla “Commedia è finita” aiutato dai primi piani che la sezione di schermo ci offre fa stare inchiodati gli spettatori alle poltrone, comunque carissime, ma che a questo punto meritano tutta la spesa sostenuta. E’ già Otello, non gli resta che vestirne gli abiti, il personaggio c’è già tutto. In questo caso il regista ha svolto decisamente bene il suo lavoro, quando non  si vogliono troppo complicare le cose intellettualmente e si ha a disposizione un tale Kaufmann il Verismo non chiede altro che di essere ricostruito fedelmente.

Cavalleria & Pagliacci

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E arrivò il giorno tanto atteso. Il tempo è matto: nevica e c’è il sole. Freddo cane. Non sapendo cosa fare, tanto per non sbagliare, la mattina presto torno in Duomo e così, oltre a scaldarmi mi godo un’ altro solennissimo corteo, tutti in costume con stendardi e tanti di quei preti, canonici, chierici e chierichetti da sfidare la Messa grande di Pasqua e sapendo che oggi non è neppure messa di precetto sono un po’ stupita. Qui mi arrendo, ma capisco che è una ricorrenza del Capitolo e mi basta. Aspetto fino al Vangelo, mi piace la storia dei due uomini che camminano la sera verso Emmaus con quel tale che li affianca e che loro non riconoscono se non alla fine della cena. Per tutti i miei lettori non credenti dico che è una bellissima pagina letteraria, ma noi cattolici sappiamo così poco della nostra religione! Mi arrendo all’omelia e rientro in albergo. Trovo i miei amici francesi, resto con loro girovagando fino alle due e poi, ovviamente vedo arrivare allegramente il solito Jonas che sembra essere sempre dove passo io, giuro che è un caso! Lui entra veloce a teatro e io comincio a pensare alla seconda parte della giornata.961450_1206495809377593_452364745_n

Ho molto studiato tutto quello che dottamente è scritto sul librone del Festival a proposito del Verismo (lì chiamato realismo) e sul perché’ dell’allestimento para-cinematografico. Interessante citazione di Thomas Mann e sul fatto che lui cita come fonte possibile di lettura del cinema come arte  (1926) un libro “ohne worte” del pittore Masereel, una graphic-novel antelitteram.

Riprendo a scrivere dopo teatro. Completamente presa dai Pagliacci, un’emozione difficilmente ripetibile. La messa in scena a sei quadri funziona, anche se soprattutto funzionano i terribili primi piani di Kaufmann, e il suo Ridi pagliaccio con la mano che nervosamente apre e chiude il coltello a serramanico, la sua fissità dello sguardo, il corpo teso nella terribile gelosia e anche la sua risata  veramente satanica fanno veramente paura. Non altrimenti posso dire della Cavalleria, in cui il ragazzo fa un personaggio a parte in una messa in scena decisamente sbagliata. Lo avevo già detto prima di vederla e confermo la mia prima impressione. Il regista ha cercato tutta una serie di luoghi comuni su una Sicilia di maniera, con i picciotti   della mafia che non c’entrano  niente, le pistole fuori testo in un ambiente che deriva dalla pittura espressionista tedesca. Una madre sempre di spalle alla quale un povero Turiddu disperato chiede ..un bacio, un bacio ancora e la maitresse non batte ciglio, salvo poi cantare la sua frase davanti ad una porta chiusa. Il povero Jonas , notevole nei primi piani dell’inizio quando ancora il suo atteggiamento allegro e spavaldo funziona  piano piano si perde in una regia volutamente provocatoria e senza il senso culturale del testo che lo costringe a fare l’ubriaco con strane bottiglie che sembrano uscite da una pièce di Bertold Brecht.11079180_1206496312710876_1716075660_n

Thielemann   ha ben diretto Pagliacci  ma ha fatto una Cavalleria col freno a mano tirato…forse avrebbe dovuto sentire l’intermezzo diretto da Von Karajan…che effettivamente è tutta un’altra cosa. Ho avuto la grande gioia di  potere andare nel backstage grazie ad una deliziosa nuova amica e ho potuto raccontare a Jonas che quei delitti ancora esistono eccome in Italia e si chiamano femminicidi. Ha sgranato gli occhioni incredulo, ma stava ancora recitando, ne sono sicura. Per oggi basta, domani  tornerò ancora a parlare di questa bellissima serata, analizzerò a freddo, se ci riesco. Adesso riesco solo a pensare che per fortuna forse ho già a casa la registrazione perché purtroppo non ci sono altre repliche. Questi Pagliacci, anzi questo pagliaccio è senza rivali.

Bianco e nero vs colore

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Prima di  vedere dal vivo e di entrare nella cronaca dello spettacolo devo fare una riflessione di fondo per quanto riguarda la scenografia dei due allestimenti. La Cavalleria rusticana si svolge in Sicilia, è tratta da un racconto di un grande scrittore: Giovanni Verga, maestro del verismo in letteratura e racconta di una grande passione tragica, addirittura di stampo classico. Diverso il racconto dei Pagliacci, tratto da un fatto di cronaca nera che era realmente avvenuto in Calabria, regione molto  diversa per cultura e tradizioni dalla Sicilia.

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Source: Mandl/Getty Images Europe – Tutti i diritti riservati ©

Tutto questo per dire che fare in bianco e nero Cavalleria e tutto a colori Pagliacci  è probabilmente uno sbaglio  culturale  mentre invece sarebbe stato perfetto  il contrario. Cavalleria, quanto di più solare e colorato si possa immaginare, invece il fatto di cronaca criminale realmente accaduto sarebbe stato maggiormente credibile in bianco e nero. Ci ho messo un po’ per capirlo anche perché nell’insieme i due spettacoli sono realmente belli  ma c’era una perplessità di fondo che non riuscivo a focalizzare finché pensandoci molto non sono riuscita a mettere a fuoco il motivo della mia mancanza di convinzione.

Resta il fatto che ancora non ho visto niente dal vivo e che queste riflessioni “a freddo” sono frutto della visione di un paio di trailer trasmessi da varie emittenti austriache. Pronta, come al solito, a ricredermi su tutto, tanto per parlarne ancora un po’ prima di cadere vittima del sicuro Jonaseffekt…che mi colpirà come al solito!

Pensierini

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Vedo  in Tv dei bei documentari d’epoca sulla Scala di un tempo. Enzo Biagi intervista con il solito garbo e intelligenza Renata Tebaldi pettinata in modo incredibile con una corona di capelli simil-aureola cotonata, oggi inguardabile. Ma tono pacato del conduttore e la grazia un po’ mielata dell’intervistata mi divertono. Sorvolo sulle classiche domande: rivalità Tebaldi/Callas, sul momento in cui Toscanini le disse “voce d’angelo”, sul fatto che non si sia mai sposata e del segreto garbato dei suoi amori.

Ma ad un certo punto Biagi fa la domanda sui tenori e allora la Tebaldi ridendo dice la cosa più divertente dell’intervista: ma sono loro le vere prime donne, noi soprano siamo sempre le seconde donne! Qui ho la conferma di quanto pensavo da sempre e in modo particolare da quando seguo Kaufmann. In realtà le sue partners sono intercambiabili, come pezzetti di Lego più o meno preziosi, ma sempre sostituibili, anche quando sono nel ruolo del titolo. Se poi il tenore, oltre ad essere bravo, ad avere voce è anche un notevole attore e possiede intelligenza e versatilità abbiamo indubbiamente il Divo assoluto. Sulla spirito arguto del sullodato ci sono delle perle di ironia che forse qualche volta sfuggono. Lui non polemizza mai, non critica gli allestimenti, ma con sublime ironia manda messaggi subliminali. Ne cito due: l’abbraccio tutto insanguinato (smarmellatato) con Altinoglu alla fine del Werther americano mentre ci fa sopra una linguaccia e la foto con le tricoteuses dell’allestimento oleografico dell’Andrea Chenier nonché la perla ironica dell’intervista sui bottoncini “veri “ degli stivaletti di scena.

Per questo lo amo, non solo canta da dio, ma è anche notevolmente intelligente e spiritoso. In attesa dell’evento salisburghese: doppietta Cavalleria / Pagliacci cominciano a fiorire le foto di scena e soprattutto le dotte disquisizioni sul verismo in musica  ad uso e consumo di chi aldilà delle Alpi non si vede una Cavalleria all’anno come noi  nei teatri italiani. Vera curiosità rappresenta per me sentire Thielemann alle prese con questo repertorio, lui così teutonico nell’aspetto e nella direzione  dichiara nelle interviste che sfronderà le partiture dagli effettacci…del resto sarà una Cavalleria in bianco e nero. Però mi resta da vedere come se la cava con i Pagliaccci che a quanto pare saranno a colori. Non ci resta che attendere.

Mi è arrivato il pacchetto dei biglietti del Festival di Pasqua. Sono anche, ovviamente sotto ricatto, membership e mi viene dato in omaggio una prova d’orchestra! Speravo anche in un buon bicchiere di vino secco austriaco…informerò i miei lettori sulla generosità salisburghese.

Non toccate quel cappotto!!!

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Qualche tempo fa è apparsa su Facebook l’immagine della Franz Joseph Platz di Monaco con il bel teatro sullo sfondo invasa da pullman, auto e anche coppie di sposi sulla gradinata nell’atto di farsi le foto di rito: alla foto era collegata la richiesta di una petizione dei cittadini di Monaco perché la suddetta piazza fosse liberata da tutte le macchine e dai pullman che quotidianamente la invadono. Ovviamente ho aderito subito alla petizione che, mi fu spiegato, era aperta anche agli stranieri ma, e qui sta il divertente, sulla suddetta foto occhieggiava in primo piano Jonas Kaufmann con la faccia di chi appoggiava convinto la petizione. Allora io, per fare la spiritosa ed a uso e consumo di alcuni amici con i quali sorrido spesso dell’abbigliamento molto casual e molto poco up to date del nostro tenore avevo scritto, forse con quel residuo spirito fiorentino che ancora mi alberga in cuore:aggiungiamo un’altra petizione per comprargli un montgomery nuovo.

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Non lo avessi mai fatto! al grido I love this coat si sono scatenate le orde di ammiratrici del Nostro. Alcune hanno chiesto anche cosa significasse quell’oscuro nome che io avevo dato al soprabito e una diligente amica italiana ha dovuto spiegare la storia che a indossarlo nell’ultima guerra mondiale fosse stato il generale Montgomery, da lì il nome. Ho scoperto anche il nome con il quale viene chiamato in inglese e in America, ho scoperto soprattutto che degli idoli non si può ridere, neanche sulle abitudini minori, figurarsi se avessi parlato delle onnipresenti magliette Dolce e Gabbana delle sue estati, dei suoi golfacci dalle maniche slabbrate per il benedetto vizio che ha tirarsi su le maniche quando canta…

Dei miti non si deve mai parlare, se non per metterlo eventualmente tra i fiori o nel fondo di una tazzina con quelle straordinarie abilità che io invidio e che hanno alcune persone di fotoshopparlo in ogni dove. Sono sicura però che se avesse tempo di sbirciare su Fb il primo a riderci sopra sarebbe stato proprio lui, che di spirito e di intelligenza ne ha da vendere.

Aida, cronaca di un successo annunciato

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Articolo di Caterina De Simone

Moltissimo si è detto e scritto e urlato sull’Aida trionfante eseguita a Roma lo scorso 27 febbraio.Forse sarà più utile riflettere su come si è pervenuti a questo risultato. Molto semplicemente intraprendendo un cammino fatto di lavoro instancabile e perfetta organizzazione. La registrazione del CD che presumibilmente uscirà in autunno e che è avvenuta prima del concerto pubblico ha dettato tempi precisi, ma il tutto è stato perfettamente gestito e coordinato da Antonio Pappano. Il clima di grande tranquillità da lui trasfuso nel processo di avvicinamento al gala, il rigore e l’autorevolezza con i quali ha sempre condotto le prove hanno fatto di questa Aida un gioiello per sé e con sé.

A sala vuota e quindi con un suono perfettamente proiettato, la sala Santa Cecilia ha visto giorno dopo giorno risplendere le vibrazioni degli archi, la meravigliosa scrittura orchestrale dei ballabili, la composizione perfetta di tutte le ingenti masse orchestrali e vocali.

Durante le prove si è risucchiati dall’ingranaggio. Capita così che la banda della Polizia di Stato, intimidita dal carisma di Sir Tony, segua le sue indicazioni quasi religiosamente, disponendosi in alto e ripetendo frasi qua e là. E lo splendido coro, preparatissimo e diligente, obbedisca ai comandi del suo direttore Ciro Visco il quale ha un rapporto di strettissima collaborazione con Pappano. Lo stesso Visco raduna con fermezza le sue soprano e mezzosoprano chiamandole “mie belle signore” per poi scendere in platea e valutare attentamente la loro prestazione.

E certo l’atmosfera di grande fiducia che si respira durante il processo creativo si riflette in primo luogo sui protagonisti. Anja Harteros esegue senza sforzo tutti i passaggi più complessi. E’ regale, maestosa ma allo stesso tempo fresca e appassionata. Non ha bisogno di ripetere nulla, come sempre arriva preparatissima alle prove ed è in totale sintonia con il suo Radames. Lo si vede anche dal modo in cui interagiscono fuori scena quando chiacchierano e scherzano seduti in sala uno accanto all’altra. Erwin Schrott poi ride di gusto e un istante dopo tuona “Radamès! Discolpati!”, mentre Ludovic Tézier fa il papà affettuoso dopo il terribile duetto del terzo atto con la sua figlia in scena Aida. In quinta l’Amneris di Ekaterina Semenchuk rivede alcune battute dell’arioso del quarto atto in un clima di grande vitalità. Come sempre Jonas Kaufmann non riesce a star fermo: va e viene, sale e scende e poi si arrampica dietro al podio per prendere la sua posizione al proscenio. E’ sempre a tempo, brillantissimo nei concertati, estatico come prescritto da Verdi in Celeste Aida e poi meditativo ed aereo nell’addio alla vita del finale.

L’Aida di Pappano è questa, non quella pur esaltante del 27 febbraio. Sta tutta nel divenire del processo creativo, nel ripetersi delle frasi, nell’armonizzazione di voci ed orchestra e nell’accordo totale fra tutti i soggetti del team artistico.

Caterina De Simone

Nach Rom…

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Ci voleva Roma, un evento unico, senza repliche per avere il più grande assembramento di kaufmanniane doc che abbia mai visto. Inizialmente non capivo perché a cominciare dalle cinque del pomeriggio vedessi tante facce note che avevo incontrato a Vienna, a Londra, a Monaco, alla Scala me le ritrovassi tutte insieme a salutarci festose davanti all’emiciclo dell’Auditorium di Renzo Piano. Il cielo cobalto faceva risaltare le tre inquietanti astronavi appoggiate tutto intorno, l’atrio rosso di mattoni illuminato a festa e l’aria festosa di chi arrivava mi faceva capire che stavamo per assistere ad uno di quegli eventi epocali che tutti i melomani sognano. Ma, evento nell’evento, erano le tante facce note delle fans di Jonas a colpirmi di più.

Praticamente c’erano tutte o quasi , a cominciare dalla mitica Marion Tung che ho salutato contenta di rivederla ristabilita. Poi l’amica francese, compagna di tanti incontri casuali su e giù per l’Europa, insieme a lei altre facce d’oltralpe incontrate anche nel backstage al Met, la grande compagine delle tedesche, veramente scese come Tannhauser in pellegrinaggio “nach Rom…” ed anche le amiche spagnole… Per non parlare delle amiche italiane: da Bologna, da Milano, dalla Sicilia ma poi tante altre che non sono riuscita a memorizzare…qqqqq11034681_1181106461916528_328069891_o

Mentre tornavo a casa nel lentissimo treno a binario unico che collega la capitale alle lontane provincie marchigiane dello Stato della Chiesa ho provato a buttare giù un elenco, ma ci ho rinunciato subito perché arrivata a venti nomi ho capito che l’impresa della memoria era veramente improba. Di alcune poi ho realizzato che erano presenti perché felicemente hanno postato su Facebook le loro foto romane , comprese di patti di pizza e di fantastiche mozzarelle. Ovviamente oltre alla mitica Barcaccia e la immancabile Piazza San Pietro. Credo quindi di dovere qui pubblicamente ringraziare sir Tony Pappano che oltre ad averci dato un’Aida indimenticabile ci ha dato la rara occasione di sentirci orgogliose del “bel paese”, una volta tanto al centro di tanta partecipazione.

Quanto a Jonas che dire ? la consorteria delle sue fedeli grupies è orgogliosamente compatta e altrettanto orgogliosamente determinata a seguirlo ovunque. Questa volta è stato bello che l’evento irripetibile le abbia portare tutte insieme appassionatamente…a Roma!

 

Aida superlativa

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La cosa piu difficile oggi è raccontare senza usare troppi superlativi. Certamente ho la consapevolezza di avere assistito ad un evento eccezionale, non sarà facile evitare di dire: io c’ero quella sera a Roma all’Auditorium. Roma, grande ruffiana, si era anche messa l’abito della festa, un cielo cobalto e una dolce aria primaverile rendevano tutto piu luminoso sì che le masse festanti di tanta gente venuta da lontano (orde germaniche, galliche ed a vario genere melomani) si sentissero già appagati da cotanto sfarzo.

Felicità nell’attesa e poi la meraviglia di una musica sentita mille volte, facile e un pò pacchiana diventare sotto le mani di un Pappano irrefrenabile una serie di perle verdiane che si snocciolavano violente, preziose, delicate e in certi momenti miracolosamente nuove. L’idea intelligente non è stata solo quella del grande cast stellare, è stata quella di restituirci in forma di concerto un monumento della grande maturità verdiana in tutta la sua essenza preziosa. Soprattutto è stata la grande Aida di Radames, questo personaggio non di grande spessore che lo stesso Kaufmann nelle note al suo Cd verdiano definiva meno approfondito di altri grandi protagonisti verdiani diventare quella figura di tragico antieroe che é la cifra stilistica della sua grande arte. Dopo questa esperienza sarà difficile ascoltare un’altra Aida senza riportarci a quanto abbiamo ascoltato ieri a Roma.

Nelle prime note a caldo di tanti entusiasti spettatori leggo il desiderio di un lunghissimo, unico bis …ed era quello che tutti infantilmente chiedevamo assiepati sotto il palco come non mai, trasportati ancora da quella onda fantastica che la somma, chimicamente ineguagliabile: Verdi, Pappano, Kaufmann ci aveva fatto vivere nella serata indimenticabile. Onde sonore travolgenti nei primi due atti, quell’inizio perfetto del canto solitario di Radames (tutti in attesa di quel filato finale da brivido), gli ingressi scanditi con ieratica compostezza da tutti ci davano già la dimensione di assistere ad una esecuzione perfetta nelle vocalità di altissimo livello. Lo sciogliersi armonico e dolente del terzo e quarto atto confermavano la sapienza drammaturgica del nostro grande Peppino, un genio che sapeva bene calibrare anche gli strumenti del mestiere ed era arrivato ad un punto della sua immensa parabola artistica in cui forse sentiva sul collo arrivare l’onda wagneriana…Schermata 2015-02-28 alle 09.59.36

Vengo adesso doverosamente a parlare del cast. Hanja Harteros bella e solenne ci ha dato un’Aida dolente e regale, Ekaterina Semenciuk forse per la prima volta alle prese con un italiano piû scandito del suo solito é stata molto applaudita, un’ottima Amneris, Ludovic Tezier, un Amonasro di lusso si é confermato il grande baritono verdiano che tutti apprezziamo. Un altro lusso il sacedote Ramsis di Erwin Schrott, solenne anche nella gestualità e possente nel timbro. A difendere la ahimé troppo esigua rappresentanza italiana il basso Marco Spotti nelle vesti del Re e Paolo Fanale, lo squillante Messaggero. Orchestra magistralmente guidata sembrava uscire nelle raffiche di suoni letteralmente dalle mani   del demiurgo Pappano che ne plasmava gli accenti, cosî come anche l’ottimo coro diretto da Ciro Visco. Elegante nelle divise d’ordinanza la banda della Polizia di Stato cui spettava il compito di rinforzo nella grande Marcia trionfale. Qui mi permetto le mie personali e assolutamente profane considerazioni su alcuni passaggi della partitura: la marcia dell’Aida é un pô come il Ratataplan della Forza, pezzi oggi sicuramente datati come gli analoghi Viva la guerra e il guerra guerra…rispettivamente delle due opere citate, ma nell’Aida di Pappano per la prima volta ho sentito l’amore di Otello che verrà nel grande duetto d’amore, l’eco di un Don Carlo nel confronto violento tra le due protagoniste, ho sentito il genio verdiano sdipanarsi felice tra le note già tante volte ascoltate con minore partecipazione e sicuramente da me sottovalutate. Questo é stato certamente un dono nel dono di sir Tony al quale va la mia imperitura riconoscenza. Da ieri sera l’Aida non è quel trionfo visivo che qualche volta ha annoiato la mia partecipazione nelle grandi messe in scena, è una musica da ascoltare, per questo sarà preziosa anche l’uscita del Cd che é stato all’origine di questo progetto.

Di Jonas Kaufmann che dire, ormai di lui ho detto tutto, tanto preso dalla parte non si era neppure accorto che si stava perdendo il fiocchetto del frack, nella sua vocalità straordinaria, nella gestualità ridotta e partecipe sta il suo fascino planetario eppoi averlo davanti a mezzo metro mi ha fatto anche star male in certi momenti! L’unica cosa che lo imbarazza sono i gran mazzi di fiori che a lui, solo a lui e neppure alle due signore protagoniste nordiche kaufmanniane porgono come ad una chantosa di café chantant…Lui li prende sorridendo con timidezza, e si capisce chiaramente che non vede l’ora di posarli appena uscito dalla porta.

Perché non son’io coi miei pastori?

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La chiacchierata di sir Tony con Jonas davanti ai pochi fortunati ammessi al teatro di Villa Torlonia è stata per me fonte di una di quelle delusioni attraverso le quali decido di essere ancora molto giovane “dentro”. Mi ero data tanto daffare per arrivarci. A parte la per me aberrante decisione democratica di farne un evento “Open fur alles” da parte del Comune di Roma, in realtà niente di più esclusivo si poteva pensare per chi innamorato come me dei due mitici personaggi era anche disposto a correre su treni e abbandonare le noie di una vita quotidiana per un’ora di conversazione.

Chiaramente solo i mecenati di Santa Cecilia erano invitati davvero. Infatti una leggiadra e ricchissima signora romana mi aveva anche invitato ad aderire, forse non rendendosi conto delle capacità economiche di molti comuni mortali disposti come me a correre in giro per il mondo ad ascoltare musica   ma non altrettanto ricchi da essere addirittura sponsor dei famosi teatri d’opera. Per il mecenatismo mi basta il sostegno al povero teatro della mia città.

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Tutte le strade percorse per arrivare al mitico incontro poi mi avevano fatto alla fine rinunciare. La cara amica giornalista che all’ultimo momento aveva fatto di tutto per accontentarmi aveva avuto dei guai in famiglia talmente grossi da farmi addirittura vergognare della mia futile richiesta. Ma tant’è: ho amici dappertutto e così miracolosamente alle 21 e 13 avviene il regalo: sul mio tablet arrivano le prime foto dell’incontro. Le condivido subito, non sono gelosa quando posso regalare anche agli amici queste perle fotografiche.

Mi arriva anche nella tarda serata una specie di riassunto spiritoso, non c’ero ma sono felice lo stesso che amici…di mouse e di gusti musicali mi abbiano permesso di partecipare come da uno spioncino fuori scena alla bella serata. Per gratitudine li devo nominare: il carissimo Giandonato e il notissimo per me Anton Giulio.

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Ma prima o poi…se il mio sogno si avverasse…vorrei tanto arrivare a godermi direttore e cantante in una conversazione che non sia solo quel minuto diabolico rubato per gli autografi, di quelli ormai sono pieni i miei scaffali tanto da essere una specie di collezione

Io imperturbabile comunque seguito a correre dietro a tutt’e due, certo però che averli avuti a Roma e non essere riuscita ad andarci mi fa ancora un po’ male dentro!

Aspettando Aida

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Non ho capito perché tutto ad un tratto è scoppiata una Aida-mania nel nostro paese. La voleva fare Riccardo Muti prima della sua sbattuta di porta dall’Opera di Roma, l’ha in programma Pappano a Santa Cecilia e la prossima settimana anche la Scala ci prepara una Aida in pompa magna con interviste al regista e soprattutto con Zubin Metha alla bacchetta.

Devo tuttavia confessare che la grande opera verdiana non è mai stata nelle mie corde. Come ogni frequentatore dell’ opera ho i miei bravi ricordi veronesi, un classico al quale è difficile sfuggire ed anche allo Sferisterio di Macerata l’Aida è in cartellone ogni due per tre. Nella storia verdiana so che l’Aida è l’ultimo grande capolavoro prima del periodo di silenzio che poi si sciolse nelle sue due ultime eccelse partiture: Otello e e Falstaff.

So anche che aldilà del suo lato pompier-egiziano Aida nasconde pagine mirabili di una storia che sfrondata del lato folkloristico contiene un dramma intimista ed ha pagine memorabili. Ma a me il lato, diciamo, così elefanti più piramidi è riuscito anche a rovinare l’incanto della visita a Luxor quando andai in Egitto. Mi sembrava di aggirarmi nella cartapesta di un allestimento un po’ più grandioso del solito, l’Aidaeffekt mi ha sempre impedito di ascoltarla con il dovuto rispetto.

Sono quindi molto curiosa di poterla ascoltare, a distanza di una settimana, in due versioni sicuramente piene di pregio, anche se il sentirmela in forma di concerto a Roma, con quel pò pò di cast stellare mi eccita di più e mi fa ben apprezzare l’occasione di esserci. Devo poi confessare che non vederli tutti mascherati da antico Egitto una volta tanto, ma non è la prima volta che mi capita con le opere in forma di concerto, mi farà sicuramente godere di più la musica senza perdermi negli ori e nelle cartapeste di rito.

http://youtu.be/66KXKEY2cVc

Martedì a Roma Pappano e Kaufmann parleranno di questa incisione in uno spazio particolare: nel teatrino di Villa Torlonia. L’evento organizzato con la collaborazione del Comune di Roma, ahimè è partito con una formula molto democratica, ma anche crudele. Offerto gratuitamente, mezz’ora dopo l’apertura della biglietteria era già soldout per esaurimento di posti.

Non ci resta che piangere, direbbe Benigni…speriamo che ne facciano un video di presentazione del progetto.

 

 

Il microfono…infedele

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Vorrei fare una considerazione seria sulla veridicità della voce riprodotta con i moderni e sofisticati mezzi che oggi la tecnologia mette a disposizione dei cantanti e so che devo procedere con molta cautela perché quando si parla di Kaufmann si rischia sempre di toccare il nervo scoperto delle sue acritiche ammiratrici.

Ho sempre sostenuto che il microfono sia necessario nelle rappresentazioni in streaming perché altrimenti il suono si potrebbe perdere soprattutto quando si tratta di cantanti – attori che non si mettono lì impalati al proscenio. Quindi i microfoni ci sono sempre e siamo abituati al piccolo filo che si intravede dietro il collo al momento dei saluti. Ho anche specificato davanti a scandalizzati censori che non si tratta di amplificazione, solo di uno strumento necessario per fare arrivare la voce fluidamente alle orecchie degli spettatori.

Infatti i microfoni tutti i cantanti ce li hanno solo per le rappresentazioni con ripresa video. Memorabile, con suono netto, il colpo in testa del Lohengrin al minuto, mi pare 43, che confermava agli stupiti e ingenui spettatori: possibile che Kaufmann abbia un microfono?IMG_0931

Ce lo hanno tutti quando si canta in streaming e il discorso si potrebbe chiudere qui.

Ma la visione ravvicinata di un frame dell’Andrea Chenier in cui si vede il microfono microscopico piazzato sulla guancia mi ha fatto capire che questa ulteriore raffinatissima tecnica mal si concilia con la resa di una voce che dal vivo ha una potenza e nel contempo una morbidezza uniche. Per spiegami meglio: quando nella grande navata della Michaelkirche a Monaco durante l’Adventernkorzert Jonas ha attaccato l’Ingemisco dal Requem di Verdicredo che a ciascuno dei presenti sia corso un brivido sulla schiena.

La voce potente ed insieme morbida arrivava fortissima e vellutata fino in fondo alla chiesa.

Invece alcuni spettatori, magari i più sensibili e preparati, assistendo all’Andrea Chenier al cinema hanno detto che l’Improvviso era un po’ freddo, che la voce era   perfetta e pulita però meno fluida del solito.

Ebbene io penso che quel diabolico microfonino sulla guancia non abbia reso un buon servizio al nostro grande tenore. La ROH è sicuramente all’avanguardia nelle riprese, forse il microfono tra i capelli col filo dietro la schiena è meno bello, ma questa soluzione nuova pone il problema della fedeltà della riproduzione il più possibile aderente al vero. Non voglio dire che Kaufmann va solo sentito dal vivo, sarei una snob anche molto antipatica, ma penso che si debbano ancora trovare gli strumenti perfetti per renderci la qualità e la perfezione della voce umana come è realmente, specie quando si tratta di cantanti di grande livello.

Il piccolissimo microfono sulla guancia può fare ancora, ahimè in negativo, la differenza e ribadisco in chiusura che questa mia riflessione non è altro che un ulteriore atto di amore per un cantante straordinario del quale comunque le riprese video, anche se imperfette dal lato vocale, ci permettono di vedere meglio la sua grande arte di attore attraverso i primi piani pieni di intensità, quelli che ci perdiamo vedendolo dal vivo.

Anche se in questi casi io sono praticamente in apnea!

Passa la vita mia come una bianca vela…

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Niente da fare, Giordano ha colpito ancora, da due giorni ho nella testa quest’aria e mi rimangio tutto quello che ho detto e scritto a proposito dello Chenier datato.

Sarà colpa del meraviglioso tenore, sarà che era nella mia testa di ragazzina, sarà che sono una inguaribile romantica che perdipiù ha passato la metà della sua vita sulle barche a vela ..

Sarà tutto questo, ma da quando sono tornata da Londra mi canticchio continuamente nell’animo tutte le arie di Andrea Chenier, anche se poi sono anche quella che ha notato senza mitizzare il bruttissimo attacco di ”ora soave”.

ANDREA-CHENIER

Fotografia di Bill Cooper © Tutti i diritti riservati

Lo avevo già colto ascoltandolo alla radio, lo avevo anche più sofferto direttamente a teatro. Ma cosa succede a Kaufmann in quell’attacco che Stinchelli ha paragonato al ciglio di una porta arrugginita?
L’ho risentito diecine di volte e ho capito che forse il tentativo di Kaufmann di partire talmente basso da faticare l’intonazione era la sfida che penso si sia dato da solo per riuscire a partire in pianissimo e fare una di quelle scalate che solo lui sa fare, ma che forse nelll’impervia partitura di Giordano diventa una sfida quasi impossibile.Ho tentato di paragonarla alla altrettanto difficilissima apertura “Goooottt“ dell’aria di Florestano nel Fidelio.

Non a caso Kaufmann stesso ha raccontato di averci messo quattro anni a convincersi ad accettare la parte per poi riuscire in quella partenza in pianissimo che ha del miracoloso.

Non sono una musicologa e nemmeno una maestra di canto so solo che qualche volta se si tenta un difficilissimo passaggio acrobatico sul filo ci si può fare anche molto male.

Qualche kaufmanniana di area mitteleuropea può condiderare blasfemo anche solo criticare il divino.

Io lo faccio per amor , gli voglio tanto bene e so che anche queste sue sfide vocali a se stesso lo fanno quel grande cantante che è.

Forse l’attacco di “ora soave” non è perfetto, ma certamente non è neanche il cigolio di una porta arrugginita, è la scommessa di un grande che vuole tentare strade mai battute e che anche lui percorre con fatica. Ma sono sicura che se ci sarà una ripresa dello Chenier a breve lui riuscirà a stupirci ancora una volta con un prestigioso attacco in pianissimo della famigerata aria.

Intanto mi godo “passa la vita mia come una bianca vela e “ come “un bel di di maggio“ che sono l’equivalente di miele puro per le mie orecchie, me le risento nell’anima e ringrazio la vita che mi ha permesso di godere ancora di questi immensi doni che sono l’unico motivo per apprezzarla veramente.