Una ricorrenza

Si tormentava Francesco di non riuscire a raccontare ai poveri infreddoliti contadini il miracolo della nascita di Gesù in una capanna , lui che a Betlemme c’era stato e stranamente quei monti brulli nei quali aveva trovato rifugio con i suoi amici che avevano scelto quella strana maniera di predicare il Vangelo vivendo tutti insieme e dividendo le poche povere cose con le quali avevano deciso di vivere glieli ricordavano davvero

Francesco , in quel dicembre del 1223 era anche contento perché finalmente il Papa aveva accettato la sua idea di vivere in quel modo povero e pieno di fede che lo aiutava ad accettare la miseria e la tristezza del mondo che lo circondava,

Allora ebbe un’idea , anche perché quei luoghi gli ricordavano tanto quella lontana Palestina nella quale era andato per cercare proprio da quelle parti la sicurezza di fede che andava cercando dentro di sé.

Si fece coraggio e chiese al signore di Greggio che si chiamava Giovanni Velito di potere allestire una specie di recita di quello che raccontavano i Vangeli , si fece prestare   una grotta abbastanza grande e chiese che ci portassero un bue e un asinello . 

Mise in mezzo una mangiatoia e siccome in quei giorrni era nato da quelle parti un bambino chiese alla mamma e al babbo di portarlo li , ben coperto s’intende , per raccontare in modo il più possibile realistico quello che lui sapeva essere stato il vero grande mistero della Natività.

E vennero i pastori , e vennero le donne del paese e gli armenti si avvicinarono. Ed ecco in quel dicembre 1223 , proprio ottocento anni fa a Greggio , nei monti reatini ,gli occhi stupiti delle genti videro realizzarsi il primo vero Presepe vivente.

C’era poi , guarda caso da quelle parti anche un pittore che si chiamava Giotto che volle fare quello che tanti anni dopo sarebbe stata una foto-ricordo e la bella rappresentazione trovò posto nel ciclo di affreschi della basilica di Assisi.

Una bella tradizione tutta italiana che si è un po’ persa nel tempo  oggi tutto luccicante di alberi e luminarie ma che io testardamente continuo a rispettare e ogni anno riapro le scatole dei personaggi del mio vecchio presepe e allestisco la mia piccola rappresentazione domestica , il Bambinello ce lo metto ovviamente per ultimo , proprio la notte di Natale.

Mangiarsi la scena

Rivedere sullo schermo un’opera vista dal vivo serve come promemoria ma non aggiunge niente all’emozione della visione dal vivo.

Però può succedere che un ottimo regista  alle prese con un finale aperto come quello scritto da Alfano dopo la morte di Puccini riesca ad aggiungere qualcosa di inedito alla chiusa della Turandot.

Libero da condizionamenti musicali  Claus Guth regala al finale una marcia in più e la si può apprezzare soprattutto vedendo la ripresa video.

Ovviamente bisogna tenere conto del materiale umano magico che ha a disposizione , due cantanti-attori del livello di Asmik e Jonas e allora il cammino psicologico della principessa , la suadente forza seduttiva di Calaf diventano un valore aggiunto che anche a noi spettatori attenti poteva essere sfuggito nello spettacolo dal vivo.

Sguardi timidi d’intesa , espressioni sfuggenti , strani avvicinamenti dei corpi portano alla fine eroticamente vittoriosa della coppia fino alla conclusione nella complice fuga finale , un capolavoro di irriverente freschezza.

Ho ripensato a quello che mi aveva raccontato la  Grigorian , conosciuta tanti anni fa a Roma e quando glielo ho ricordato nei fuggevoli momenti all’uscita degli artisti e lei mi ha rivelato che il suo papà , grande cantante lirico, era venuto a Roma per una intera settimana per aiutarla nella difficile impresa di interpretare Suor Angelica .

Evidentemente siamo di fronte ad una grande cantante che parte da solidissime basi musicali e credo che stavolta Kaufmann abbia trovato una partner veramente degna di lui ,soprattutto dal punto di vista attoriale , anche perché non è che gli siano mancate partner validissime , ma questa ha quella marcia in più che lui possiede per cui non si mangia la scena da solo ed è davvero un grande pregio poterli apprezzare insieme.

Sono in due a mangiarsi reciprocamente la scena e il finale di Turandot , versione Alfano , ne è la dimostrazione definitiva.

Al Konzerthaus

A Vienna si ha sempre solo l’imbarazzo della scelta e dopo la magica serata all’Opera ho passato il giorno dopo due ore di intensa gioia ascoltando un Oratorio di Mendelssohn che amo molto , anche perché lo si ascolta in maniera relativamente frequente anche in Italia.

L’Elias è un monumento musicale scritto da un uomo di fede che affonda le sue radici nelle parole del’Antico Testamento .

La figura drammatica del Profeta Elia è al centro di un monumento musicale che l’autore ha musicato aiutato nella trascrizione da un amico teologo : Jiulus Schubrig  e riprende la grande tradizione oratoriale di Bach e Haydn , non a caso fu proprio Mendelssohn che collaborò alla riscoperta della Passione secondo Giovanni di Bach.

Gli interpreti , tutti giovani e di alto livello musicale erano coadiuvati da un prestigioso  ensemble orchestrale francese fondato e diretto da un giovane direttore  Raphael Pichon che lo giudava.

Completava l’esibizione la corale dallo stesso nome Pygmalion e credo che ne sentiremo parlare ancora , in tutta Europa-

Moltissimi i momenti di pura magia musicale  tra i quali mi piace ricordare uno dei più celebrati .: l’aria 31 cantata dall’Angelo della seconda parte :” Sei stille denn Herrn,” la si trova anche facilmente su Youtube come la magica pagina corale nella quale il racconto biblico ripercorre la presenza di Dio che non è nell’acqua , né nel fuoco   ma si percepisce come un vento leggero. 

Abbandonarsi a questa musica credo faccia bene all’anima , sempre , ma in modo particolare in questi momenti bui del nostro tempo presente.

Il programma di sala annunciava il prossimo concerto : la Passione secondo Matteo di Bach… il cuore resta a Vienna per Natale.

PS. Passando davanti al Musikverein c’era l’annuncio del prossimo programma  “ le variazioni Goldberg” , altro non dico.

Il mio nome è amore

foto di Angelo Capodilupo

Da dove cominciare ? Le sensazioni e le emozioni sono davvero tante e piano piano cercherò di raccontare quella che è stata sicuramente una delle più straordinarie serate operistiche della mia vita.

Trovarsi a stare seduta sul bordo della poltrona , tutta tesa in avanti per sapere come va a finire la fiaba , come se non sapessi a memoria la Turandolt che mi accompagna dai verdi anni può sembrare un paradosso ma stavolta davvero mi è sembrato tutto nuovo : la grandezza e la novità della musica di Puccini , il popolo di Pechino , spesso nascosto a fare solo da colonna sonora , la magia di Jonas e Askim che si incontrano per la prima volta in una simbiosi perfetta e Claus Guth che quando ci azzecca è davvero un genio, a conferma che non esiste Inszenierung o regia tradizionale , ma solo il bello e il brutto e qui il bello rasenta la perfezione.

La musica di Puccini.

L’ultima opera di Giacomo Puccini è il regalo che il genio italiano ci fece dimostrando al mondo una evoluzione totale e un coraggio di sfidare se stesso con una musica che risente di tutto il nuovo mondo di suggestioni che vengono da echi musicali lontani dal gusto italiano.

Una musica secca e asciutta che richiede grande coraggio agli interpreti , spesso lasciati soli nel vuoto e che poi ad un tratto riprende i suoi slanci lirici eterni che aprono l’anima : dal “non piangere Liù” fino al famigerato “ nessun dorma” a Pechino stanotte , con quella sfida di un ragazzo incosciente che sente la vittoria vicina .

Una evoluzione tonale accompagna la storia fino a renderla davvero quella colonna sonora che mai avevo apprezzato così perfettamente come in questa occasione.

Se altre infelici serate sembrano mettere in dubbio il riconoscimento Unesco qui a Vienna abbiamo la conferma che quel riconoscimento ce lo meritiamo davvero.

Ottima anche la scelta del finale lungo di Alfano che permette di non acuire troppo il distacco dovuto alla improvvisa morte dell’autore, tanto che alla fine  il risultato del racconto funziona e convince.

La regia

Claus Guth ha scelto una strada che può sembrare provocatoria cancellando tutte le cineserie , i trompe-l’oeil e la grandeur zeffirelliana per riportarci al nocciolo della storia, affidandosi soprattutto alla fiaba di Gozzi.

Nel libretto c’è tutto quello che conta e che il regista ha rispettato fedelmente.

Un estraneo curioso e perplesso si aggira in un mondo di matti burocrati , con un tempo scandito e teste tagliate con rigorosa meccanica ripetizione.

Incombe però una strana figura femminile nel vuoto ,che lo incuriosisce e lo affascina , quasi presago di un destino che vuole domare si ribella , anche letteralmente , dai legami familiari e sentimentali; testardamente vuole e si vuole sfidare ed ecco che Calaf non è più quel vuoto manichino di una fiaba , ma un misto di Walter Von Stoltzig , un po’ Dick Johnson e poi… miracolo .., anche Tristano ,   tutto reso mirabilmente da un artista che non finisce mai di stupirmi e se in qualche attimo non è vocalmente perfetto riesce a servirsene per farlo diventare il tutto anche più vero.

Certi miracoli però avvengono solo se hai vicina una straordinaria creatura lunare, la Grigorian , capace anche lei di essere  talmente perfetta in un ruolo che sulla carta poteva non essere suo , ma che lei con quel carisma naturale che la pervade entra in scena e nel ruolo, impaurita ragazzina , terrorizzata dall’idea dell’uomo che in ere lontane struprò l’ava per cui l’unica risposta è il sangue di tutti quei principi che la vorrebbero , lei da cui quel sangue non scorre e che si rifugia in un mondo di bambole nel letto virginale.

Grandissima Asmik . tormentata vergine legata a quel letto baluardo e difesa , impaurita donna che ha paura di amare.

Quel sangue poi sgorgherà dal sacrificio di Liù e la scalderà fino alla resa erotica nell’abbraccio prima violento e poi accettato nella dolcezza quando Calaf mettendo nelle sue mani il proprio destino ne provoca la capitolazione.

Un colpo di genio registico , un particolare che mi ha fatto saltare sulla sedia : ecco Tristano! Un lampo nel momento in cui Calaf mette la propria vita nelle mani di Turandot ripete il gesto di Tristano in ginocchio davanti a Isolde.

La mia vita nelle tue mani , con il mio amore. Ho trovato la chiave della frase misteriosa di Puccini.

Il gesto di resa , Jonas Kaufmann porgendo il collo alla principessa di gelo mi ha riportato alla mente lo stesso gesto di Tristan nel primo atto quando si affida all’ira vendicatrice di Isolde : amore o morte, scegli tu.

Non so quanto di intenzionale ci sia stato registicamente , ma è stato , forse, un tentativo per dare una risposta alla nota misteriosa che Puccini lasciò senza spiegazioni.

Certo che una simile impresa , una sfida così impopolare la puoi tentare solo hai a disposizione interpreti capaci di “ recitar cantando” e Claus Guth sapeva di poter contare su Kaufmann e Grigorian.

Forse solo il personaggio di Liù resta un po’ mortificato anche se la bravissima Mkhitaryan ha voce e fisico perfetti ed è magistrale nel suo grido profetico quando , vittima sacrificale si offre a Turandot .” lo amerai anche tu!”

Di alta qualità tutto il cast , anche i tre micidiali ministri reggono bene nel difficile intermezzo comico  e sono davvero magistrali.

Il nostro bravo Armiliato dirige con sicuro mestiere cercando anche per quanto possibile di non sovrastare la mirabile compagnia di canto , tanto ci sono i Wiener.

In definitiva un risultato tanto diverso quanto eccezionale .

I due giovani felici amanti scappano ridendo alla fine verso un avvenire che potrebbe anche non essere sicuro e definitivo e a noi resta la speranza che avremo presto la fortuna di rivedere lo spettacolo in tv, io aspetto già con impazienza.

Milano 7 dicembre

Che dire di questa prima scaligera ? Un tuffo nel passato , ma non intendo quello del tempo di cui si racconta nel dramma .

Il passato di cui parlo io era nella messinscena tradizionale , un salto indietro quando i cori se ne stavano ben divisi ai lati del palcoscenico , quando le “trovate registiche “ erano tanto banali quanto prevedibili.

I cantanti lasciati ognuno al proprio estro , tanto la parte più o meno la conoscevano già tutti e forse per quanto gravato da un improvviso malessere il più aderente al personaggio risultava comunque Michele Pertusi che con grande mestiere è riuscito a portare in fondo la rappresentazione.

Meli nel ruolo del titolo ha qualche problema qua e là. Anche se può capitare a tutti la mezza stecca non gli perdono il gesto sempre uguale  “ da tenore d’antan”.

Lo stesso vale per Salsi , gli si confanno di più i ruoli da cattivo , qui altre sottigliezze avrebbe in serbo la musica per lui e forse non ne approfitta abbastanza.

Tra le due donne trionfa la Garanca, una che quando canta sa anche recitare , un po’ meno la grande voce ( sempre più profonda ) della Netrebko che ancora si mangia le parole e dichiaratamente si capisce che non sa bene quello che dice , ma per chi ama ancora i suoi  preziosi filati e la sua estensione vocale si merita gli applausi degli spettatori compiacenti.

Poco da dire , anzi quasi niente sulla scenografia , belli i costumi , più o meno banalmente copiati dai quadri dell’epoca . Effetto usato sicuro.

Avrei anche qualcosa da dire sulla prestazione orchestrale , i fiati non sono sempre all’altezza , coro invece sempre perfetto, come da tradizione scaligera.

Chailly contento , come al solito fa le scelte “originali” , come l’ha scritta Verdi e come al solito io ripeto che mi manca il primo atto, ma sono una vecchia noiosa.

C’è anche chi ha detto che durava già troppo , evidentemente la colpa non è del grande compositore , lui ha scritto uno dei suoi più grandi capolavori che  noi possiamo recuperare in  DVD di altri allestimenti a noi più cari.

Propongo infine una petizione per levarci di torno il duo Carlucci/ Vespa e non sono bastati i siparietti di Marcorè e Pivetti a rendere meno penosi gli intervalli.

Se volete capirne di più guardate la sobrietà dei commenti su ARTE, il resto è silenzio.

Sant’Ambrogio

Ho letto quasi con stupore che finalmente è riconosciuto come bene immateriale dell’UNESCO il canto lirico italiano.

Sono quattrocento anni perlomeno che si canta in italiano in tutto il mondo e non credevo fosse necessario avere questo riconoscimento , mi pareva una cosa ovvia e naturale.

Mi è sembrata una strana forma di burocrazia , un incasellamento ma a leggere la soddisfazione degli addetti ai lavori forse la formalità porterà dei frutti pratici , perlomeno lo spero.

Domani è il 7 dicembre e si apre la stagione della Scala e ovviamente saremo tutti davanti alla tv, noi vecchi melomani , per questo rito nel quale ci toccherà subire anche i commenti più o meno esatti sulla trama , sui costumi, su l’opera e su tutto quello che trionfalisticamente si narrerà sulla serata .

Un ennesimo Don Carlo , ho già scritto che mi piace di più con l’atto di Fontainebleau, ma un amico al telefono mi ha detto : già dura quattro ore! E pazienza , d’altra parte si sostiene che questo sia il vero , l’autentico e originale perché rivisitato da Verdi !

Come se non avesse rivisitato , per motivi più o meno pratici , anche altre sue splendide creature.Ma si sa , c’è chi ha il gusto filologico di aggiungere tre note a Butterfly e con questo farla apparire grande operazione culturale.

Devo ammettere che , a parte tutte le stramberie registiche , avevo molto apprezzato l’originale francese visto a Parigi qualche anno fa nel quale alcune aggiunte molto politiche avevano portato altro valore alla terribile scena tra Filippo e il Grande Inquisitore.

Mi pare di poter dire che veramente di un simile capolavoro non si dovrebbe mai buttare via niente.

Una volta , tanti anni fa , anche io in pompa magna , ho partecipato al rito ambrosiano . Il bello è che mi ricordo molto bene il palco , le toilettes eleganti ( c’era ancora qualche gioiello vero in giro ) molto meno mi ricordo dell’opera : era una Carmen scura scura , ma io ero troppo eccitata dal contorno mondano , cose del mondo di ieri  oserei dire ,parafasando Stefan Sweig.

Meno quattro

Un frammento rubato dal primo atto della prova generale mi ha provocato un brivido , sarà che il sor Giacomo è sempre quel grande mago dell’anima che conosciamo, ma credo che Claus Guth abbia avuto molto coraggio nel destrutturare la favola di Gozzi e da quel poco che ho capito , abbia cercato di scarnificare la storia per portarla al suo significato umano primigenio.

Sono già in modalità : aprire il trolley , guardare il meteo e sperare. 

Tutte le paure del mondo perché non ci siano scioperi , “nevoni “o altre allerte meteo eccezionali.

Vienna mi aspetta , ormai mi muovo più raramente e sono molto contenta perché so che troverò molti cari amici e amiche e mi aspettano un paio di giorni musicali così che mi serva di nutrimento per questo digiuno musicale in questa mia città molto povera di cultura e di musica.

Ho anche un piccolo impegno : comprare una Sachertorte  per un figlio che l’ha richiesta .

Mi fermo qui , ho tempo per divagare ancora su quel misterioso  “poi  Tristano “ che molto ha incuriosito i colti e meno colti che hanno ipotizzato sulla fine dell’opera.

L’emiro bianco

C’è qualcosa di anacronistico nelle foto del meeting di Dubai : tra occidentali incravattati , uomini e donne regolamentari in giacca e cravatta spiccano gli sceicchi arabi : con quel cencio bianco in testa che sta in precario equilibrio sorretto , si fa per dire , dalla coroncina nera , sembrano sempre in maschera eppure sono ormai i veri potenti della terra,-

Ricordo una mia crociera negli Emirati ( idea scema di cui mi pentii immediatamente ) all’arrivo nel primo Emirato mi colpirono i serissimi funzionari in bianco : dal camicione usciva il Rolex al polso ,la Mont Blanc nel taschino e i RayBan sul naso.

Tutti i segni del consumismo occidentale portati come stemmi del loro potere  solo che non so bene per quale burocratico intralcio non ci facevano uscire dall’aeroporto mentre noi vedevamo dietro i vetri i nostri pulmann col nome della compagnia di navigazione che ci aspettavano.

Ci volle il mio spirito da leader di gruppo e il mio pidgeon english per convincerli a farci passare  , era notte fonda e capii tutt’a un tratto che non bastavano il petrolio a fiumi , i segni del progresso e l’aria dittatoriale a cambiare quei beduini in occidentali tanto che bastava fare due passi dietro gli splendidi grattaceli per ritornare nell’assolato deserto da cui erano venuti a cammello solo qualche decennio prima. 

Loro sono ancora lì , con i loro camicioni immacolati mentre gli operai che costruiscono i loro avveniristici segni del potere sono segregati nelle bidonville e sono tutti rigorosamente in tuta blu.

Egiziani , pakistani , cingalesi  e tutti dormono nelle bidonville impolverate e caldissime.

Intanto l’Occidente vecchio e malato si divide ancora su tutto mentre loro sono addirittura diventati gli arbitri e i mediatori di tutte le nostre sanguinose guerre , i vincitori di tutte le gare internazionali e i padroni dei nostri futuri destini.

Mi correggo , dei destini degli uomini di domani ,perché fortunatamente io me ne andrò prima di vedere questo ennesimo sberleffo della storia con comparse vestite da sceicchi come in un classico veglione di carnevale.

La grande Maria

Inizio dicembre , un furioso vento di libeccio , ma qui si chiama garbì, raffiche che fanno sbattere anche i pensieri.

Cento anni fa nasceva Maria Callas , il miracolo di una voce che accompagnò , seducendomi per sempre , la mia vita di melomane.

Avevo quindici , sedici anni e al Comunale di Firenze per me lei fu Violetta , Lucia , Elvira ….per sempre.

Ancora adesso quando sento la sua voce , magari mentre guido in macchina o cambiando la stazione di una radio se mi arriva inconfondibile quel suo canto unico , intimo e irripetibile ho come un  brivido di sospensione.

Lei “era “ quello che cantava , gli agiografi dicono che fosse la sua anima greca , i musicologi che era una perfetta macchina musicale dotata di un sublime orecchio e di una ferrea volontà di studiosa , quello che l’hanno divinizzata e magari non l’hanno mai sentita davvero , la definiscono comunque  “divina”.

Aveva quel carisma raro , che ho trovato solo un’altra volta nella mia vita di spettatrice  e chi mi legge sa benissimo di chi parlo ,  di inghiottire la scena entrando in palcoscenico.

C’era solo lei , ogni suo  gesto era naturale , si annullava nel ruolo e pareva  che tutto fosse così spontaneo da sembrare impossibile che potesse essere frutto di studio metodico  e attento .

Immolarsi nel personaggio , perdersi e diventare tutt’uno con le sue eroine e noi a soffrire e gioire insieme, finché abbiamo potuto condividere il miracolo della sua voce unica.

Sarebbero cento anni oggi , dal giorno della sua nascita .

E’ vissuta troppo poco sulla scena , icona assoluta del suo tempo , bellissima e raffinata quando ormai il suo misterioso strumento si stava appannando , per me sempre quella signora imponente  che mi rivolse la parola in camerino al Comunale 

Era ancora avvolta nelle sue vesti di Elvira dei Puritani , ricordo il velluto e il visone del suo splendido costume.

Non mi ricordo cosa mi disse , ero imbambolata e commossa per il fatto che la mia madrina , viola del Maggio , mi avesse portato da lei.

Ricordo la sua voce gentile , veneta e melodiosa , un colpo al cuore che ho ancora dentro di me , una visione stupenda , carissima magica Maria.

A proposito di Asmik

Tra pochi giorni la Grigorian debutterà nel ruolo di Turandot e ho voluto ascoltare la presentazione della nuova messinscena di Vienna , ovviamente l’attesa era tutta nel finale , quando sono arrivati i protagonisti.

Kaufmann il solito fiume in piena e lei graziosamente educata e silente , parla in inglese e aspetta curiosa che il direttore artistico le traduca i lunghi discorsi di Jonas .

So quanto sia grande la sua arte , è di pochi giorni fa la conferma della sua eccezionalità nella Salome di Amburgo e vederla così rispettosa e calma mi ha confermato , se ce n’era bisogno , che quando uno è grande non ha bisogno di tante parole .

A questo proposito , ricercando un file che non trovavo più sul computer ho trovato una perla che la riguarda ( e quella volta non sapevo proprio chi fosse .)

Si trattava del Trittico , all’Opera di Roma  straordinaria messinscena di Michieletto e lei era nel secondo cast.

Riporto l’intero paragrafo che la riguarda : prendo fiato ( avevo  pianto le mie lacrime sulla fine di Suor Angelica ) e vado a salutare una giovane cantante che avevo apprezzato ad Ancona nel Falstaff. ….Scopro così che la straordinaria protagonista Asmik Grigorian è davvero incinta, pallida e stremata mi ringrazia , anche se credo che il suo italiano sia molto ancora abbastanza scarso, è bella e mi ricorda un po’ la Opolais , ma con molto più volume, brave davvero queste baltiche!

Questo lo scrivevo nell’aprile del 2016, molto prima dei suoi successi salisburghesi , era sconosciuta , ma già mi aveva fatto piangere .

Mefistofele a Roma

ll Teatro dell’Opera di Roma ha inaugurato la stagione con il Mefistofele di Arrigo Boito, opera un tempo molto amata e da un po’ di tempo considerata , abbastanza a ragione , un reperto molto datato di una stagione lontana nel gusto corrente.

Ovviamente si cerca di modernizzarla  attraverso trovate registiche e riletture anche se il mito di Faust , come ho scritto già a caldo , aveva avuto già molte rivisitazioni musicale.

Mi domando allora se forse non sia il caso , visto il pastiche del libretto di trovare il coraggio di rimetterlo in scena all’antica : col diavolo dotato di corna regolamentari così che la sua aria del fischio gli consenta tutti gli svolazzi del mantello utili alla bisogna , con il dottore/ filosofo seduttore che alla fine si pente e torna in gloria , magari non nella casa di matti che ho visto ieri  ( peraltro copiata di sana pianta da quella del Bayeriche di qualche anno fa ).

Dalla Damnation di Berlioz al doctor Faustus di Busoni , passando per il più banale Faust di Gounod troppi spettacoli sono passati sotto i ponti della scena operistica per non provare tutto il fastidio e l’irritazione che si prova vedendo la messinscena di Simon Stone che stavolta non ci ha proprio preso e mi dispiace perché avevo molto amato per esempio la sua città morta di Korgold. 

Cosa si salva dalla prima romana : sicuramente Maria Agresta , sempre più splendida sia come cantante che come attrice , la sua aria “ l’altra notte in fondo al mare” è sicuramente il punto più alto della sua interpretazione.

Salvo anche Mariotti che cerca di cavare dalla partitura raffinatezze e riletture come pure Ciro Visco alle prese con un organico corale davvero cospicuo.

Dove casca l’asino è nell’abbondanza di “rumori fuori scena “ attese incongrue tra le scene e alcune amenità registiche davvero sconcertanti .

Si va dalle palline colorate ai soldati (?) in mimetica tra le colonne volutamente ironiche della scena di Venere , ma forse si dovrebbe spiegare al provocatore che certe provocazioni non provocano proprio un accidente di niente.

Buona la prestazione del tenore Joshua Guerrero ,che ha voce ma non sa recitare e nella norma il diavolone di John Reya , abbiamo visto di meglio , anche recentemente.

Nell’insieme una prima molto modesta , a parte i commenti pomposamente esaltanti del commentatore televisivo di turno.

Il commento migliore quello di De Cataldo nel primo intervallo , almeno lui sapeva davvero quello che stava dicendo.

Una frase infelice

Con cinismo crudele ho sentito Pietro Senaldi , direttore di un giornale Libero che di libero certamente non ha il pensiero, dire una cosa orribile relativamente alla manifestazione spontanea e grandissima che ha visto migliaia di giovani radunarsi un tutte le piazze d’Italia.

Per sminuirne la portata ha detto che si trattava di una specie di moda e che se fosse avvenuta tre mesi fa sicuramente anche l’assassino di Giulia Filippo Torretta ci avrebbe partecipato come tutti gli studenti che ci sono andati.

Come dire , ma a mia avviso ha detto quasi una bestemmia ,che le masse giovanili non  erano spinte da un senso civico talmente diffuso da diventare una marea , ma che  si sia trattato di un episodio da inquadrare in un pomeriggio di sabato , tanto per fare una passeggiata tra amici.

Voleva dire una cosa riduttiva , forse il suo cinismo è stato talmente mostruoso che neanche i conduttori del programma hanno saputo ribellarsi.

Invece io non ci ho dormito, come è possibile non capire che questo efferato delitto ha fatto tanto male ai ragazzi che non immaginavo mostri tra i loro compagni di studi.

La marea si è mossa guidata dalle parole della sorella di Giulia , Elena ,quella fortissima e pallida ragazza che come Antigone non accetta il silenzio sull’orrore e chiede con forza una totale presa di coscienza perché finalmente il pensiero patriarcale predominante sia cancellato con la forza della cultura che vuole parità dei generi e che finalmente si cominci a pensare che non è più accettabile la sopraffazione del maschio dominatore. 

Se Senaldi pensa ancora che anche Torretta avrebbe potuto partecipare alla manifestazione , oltre ad offendere la memoria della sua vittima ,non ha capito che si è trattato un punto di svolta per la coscienza collettiva e che nessuno , perlomeno lo credo e lo spero sia andato in piazza per riempire le ore vuote di un pomeriggio di festa.