Il mio nome è amore

foto di Angelo Capodilupo

Da dove cominciare ? Le sensazioni e le emozioni sono davvero tante e piano piano cercherò di raccontare quella che è stata sicuramente una delle più straordinarie serate operistiche della mia vita.

Trovarsi a stare seduta sul bordo della poltrona , tutta tesa in avanti per sapere come va a finire la fiaba , come se non sapessi a memoria la Turandolt che mi accompagna dai verdi anni può sembrare un paradosso ma stavolta davvero mi è sembrato tutto nuovo : la grandezza e la novità della musica di Puccini , il popolo di Pechino , spesso nascosto a fare solo da colonna sonora , la magia di Jonas e Askim che si incontrano per la prima volta in una simbiosi perfetta e Claus Guth che quando ci azzecca è davvero un genio, a conferma che non esiste Inszenierung o regia tradizionale , ma solo il bello e il brutto e qui il bello rasenta la perfezione.

La musica di Puccini.

L’ultima opera di Giacomo Puccini è il regalo che il genio italiano ci fece dimostrando al mondo una evoluzione totale e un coraggio di sfidare se stesso con una musica che risente di tutto il nuovo mondo di suggestioni che vengono da echi musicali lontani dal gusto italiano.

Una musica secca e asciutta che richiede grande coraggio agli interpreti , spesso lasciati soli nel vuoto e che poi ad un tratto riprende i suoi slanci lirici eterni che aprono l’anima : dal “non piangere Liù” fino al famigerato “ nessun dorma” a Pechino stanotte , con quella sfida di un ragazzo incosciente che sente la vittoria vicina .

Una evoluzione tonale accompagna la storia fino a renderla davvero quella colonna sonora che mai avevo apprezzato così perfettamente come in questa occasione.

Se altre infelici serate sembrano mettere in dubbio il riconoscimento Unesco qui a Vienna abbiamo la conferma che quel riconoscimento ce lo meritiamo davvero.

Ottima anche la scelta del finale lungo di Alfano che permette di non acuire troppo il distacco dovuto alla improvvisa morte dell’autore, tanto che alla fine  il risultato del racconto funziona e convince.

La regia

Claus Guth ha scelto una strada che può sembrare provocatoria cancellando tutte le cineserie , i trompe-l’oeil e la grandeur zeffirelliana per riportarci al nocciolo della storia, affidandosi soprattutto alla fiaba di Gozzi.

Nel libretto c’è tutto quello che conta e che il regista ha rispettato fedelmente.

Un estraneo curioso e perplesso si aggira in un mondo di matti burocrati , con un tempo scandito e teste tagliate con rigorosa meccanica ripetizione.

Incombe però una strana figura femminile nel vuoto ,che lo incuriosisce e lo affascina , quasi presago di un destino che vuole domare si ribella , anche letteralmente , dai legami familiari e sentimentali; testardamente vuole e si vuole sfidare ed ecco che Calaf non è più quel vuoto manichino di una fiaba , ma un misto di Walter Von Stoltzig , un po’ Dick Johnson e poi… miracolo .., anche Tristano ,   tutto reso mirabilmente da un artista che non finisce mai di stupirmi e se in qualche attimo non è vocalmente perfetto riesce a servirsene per farlo diventare il tutto anche più vero.

Certi miracoli però avvengono solo se hai vicina una straordinaria creatura lunare, la Grigorian , capace anche lei di essere  talmente perfetta in un ruolo che sulla carta poteva non essere suo , ma che lei con quel carisma naturale che la pervade entra in scena e nel ruolo, impaurita ragazzina , terrorizzata dall’idea dell’uomo che in ere lontane struprò l’ava per cui l’unica risposta è il sangue di tutti quei principi che la vorrebbero , lei da cui quel sangue non scorre e che si rifugia in un mondo di bambole nel letto virginale.

Grandissima Asmik . tormentata vergine legata a quel letto baluardo e difesa , impaurita donna che ha paura di amare.

Quel sangue poi sgorgherà dal sacrificio di Liù e la scalderà fino alla resa erotica nell’abbraccio prima violento e poi accettato nella dolcezza quando Calaf mettendo nelle sue mani il proprio destino ne provoca la capitolazione.

Un colpo di genio registico , un particolare che mi ha fatto saltare sulla sedia : ecco Tristano! Un lampo nel momento in cui Calaf mette la propria vita nelle mani di Turandot ripete il gesto di Tristano in ginocchio davanti a Isolde.

La mia vita nelle tue mani , con il mio amore. Ho trovato la chiave della frase misteriosa di Puccini.

Il gesto di resa , Jonas Kaufmann porgendo il collo alla principessa di gelo mi ha riportato alla mente lo stesso gesto di Tristan nel primo atto quando si affida all’ira vendicatrice di Isolde : amore o morte, scegli tu.

Non so quanto di intenzionale ci sia stato registicamente , ma è stato , forse, un tentativo per dare una risposta alla nota misteriosa che Puccini lasciò senza spiegazioni.

Certo che una simile impresa , una sfida così impopolare la puoi tentare solo hai a disposizione interpreti capaci di “ recitar cantando” e Claus Guth sapeva di poter contare su Kaufmann e Grigorian.

Forse solo il personaggio di Liù resta un po’ mortificato anche se la bravissima Mkhitaryan ha voce e fisico perfetti ed è magistrale nel suo grido profetico quando , vittima sacrificale si offre a Turandot .” lo amerai anche tu!”

Di alta qualità tutto il cast , anche i tre micidiali ministri reggono bene nel difficile intermezzo comico  e sono davvero magistrali.

Il nostro bravo Armiliato dirige con sicuro mestiere cercando anche per quanto possibile di non sovrastare la mirabile compagnia di canto , tanto ci sono i Wiener.

In definitiva un risultato tanto diverso quanto eccezionale .

I due giovani felici amanti scappano ridendo alla fine verso un avvenire che potrebbe anche non essere sicuro e definitivo e a noi resta la speranza che avremo presto la fortuna di rivedere lo spettacolo in tv, io aspetto già con impazienza.

2 thoughts on “Il mio nome è amore

  1. Now that I have seen the livestream, I understand perfectly your review. I could never warm to this opera before, but now I will always carry the images of this wonderful production and cast.

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