Ci ho dovuto pensare un po’, mi sono presa quel minimo di tempo necessario per cercare di capire cosa mi è mancato nel nuovo Rosenkavalier di Monaco.
Sapevo da tempo che era intenzione dell’illustre teatro rinnovare il vecchio allestimento che peraltro avevo avuto la fortuna di vedere e l’idea di affidarsi ad una firma -garanzia di qualità attuale quale Barrie Kosky mi era sembrata buona , anche se ultimamente , com quasi tutti i registi tende ad avvitarsi su cose gà fatte che furono innovatrici in passato .
Cosa c’è dunque di notevole e cosa manca a questo allestimento ?
Di notevole c’è soprattutto una strepitosa Marlis Petersen , una Marescialla perfetta e senza sbavature di stile . Ci sono anche un Octavian , Samantha Hankey di felice fisicità ( un po’ meno come Mariandel ) ma qui entriamo nel cotè vaudeville improntato dalla regia che è uno dei punti deboli dell’allestimento . La seppur brava Sophie di Katharina Konradi mortificata dai costumi : perché di nero all’inizio e poi che senso ha il vestito da bambola povera nel finale ?
Dignitoso Barone Ochs di Christof Fischesser, era un ottimo Poigner nei Maistersinger , fa parte della squadra sicura del Bayerische , ma ne abbiamo conosciuti sicuramente di migliori , anche qui pesava la scelta dai ritmi troppo macchinosi della regia .
Cosa manca soprattutto in questo Rosenkavalier ? Manca Vienna ,la sua atmosfera , il senso della sua vita e di tutte le sue sfumature di linguaggio e di tristezza nella falsa giocosità.
Quella è tutta nella magica musica di Strauss e nel testo di Hofmannsthal .
Ottima partenza con un primo atto che parte col botto per poi perdersi in trovatine tipo il“ di rigori armato” in stile barocco ( che non era sicuramente l’intenzione ironica di Strauss per ironizzare sul canto Italiano), poi abbiamo il vecchio tremante cencioso desnudo (l’’ho visto troppe volte qua e là a Monaco) e non mi è sembrato di buon gusto trasformare il galante schiavetto in un simbolo banale : il Tempo (?) , il Fato(?) … mettere la crocetta a piacere.
Kosky è un australiano imbevuto di quella cultura ebraica di ritorno che ha trasformato felicemente a Berlino nei suoi allestimenti della Komish Oper , ma che qui sbaglia il bersaglio di fondo : la fine non è nel volo chagalliano dei due giovani felici , è nello” ja , ja “di Resy , nella rinuncia amara di chi è arrivato con stanchezza a capire la fine di un tempo della vita che non sarà più suo.
Ma questa è solo la modesta riflessione di una spettatrice –video che ha molto sofferto nel vedere il bel sipario rosso con le frange dorate chiudersi nel silenzio di questo tempo vuoto.