Una replica

Certe volte , non volendo , nello scrivere un mio modesto pensiero provoco un effetto quasi di indagine psicologica ed è di questo che vorrei parlare oggi.

Avevo scritto , a scanso di equivoci , un requiem per la lirica anche dichiarato nel titolo e la chiusa ne era la triste conferma.

Ebbene le reazioni vivaci si sono  tutte focalizzate sulla questione degli applausi che hanno avuto tanti difensori e tante spiegazioni che non era mia  intenzione provocare né mettere in dubbio.

Come se molti miei lettori , evidentemente appartenenti quel quel mondo di ieri ( per citare Stefan Sweig) non volessero accettare la realtà di un mondo che cambia e si rifiutassero , anche solo ipoteticamente , di ammettere che c’è un tipo nuovo di spettatore , ammesso che ci sia , che vede il mondo della lirica in un modo diverso e nella  loro valutazione  considerarlo obsoleto anche nei riti che lo compongono.

Metà , più o meno , dei miei lettori aveva capito quello che avevo scritto , ne avevano colto l’amara conclusione e la triste prospettiva.

A loro va il mio modesto grazie , a tutti i difensori degli applausi , una sorta di Fort Apache della lirica , tutta la mia comprensione .

Siamo sul Titanic e stiamo ballando insieme la fine di un’epoca , si tratta solo di accettarla e di essere più o meno consapevoli di essere una specie in via di estinzione.

Non basta fare appello ad una inutile e retorica speranza che ci sia bisogno della scuola per riportare i ragazzi a teatro : dove sono gli insegnanti capaci di insegnare quello che non sanno neppure loro ?

Requiem operistico

Ho cercato di seminare amore per l’0pera , prima con i figli e poi con i  nipoti con risultati alterni e tutto sommato modesti.

Ce lo ho portati tutti : chi si è vistosamente annoiato , chi invece ha mantenuto un dignitoso e freddo consenso , per la verità uno solo sembra mantenere ,con moderazione , la tradizione.

Solo che recentemente anche lui , il più acculturato, il  meno annoiato mi ha posto la domanda curiosa : serve quel rito finale  sempre uguale dei saluti ,scandito rigorosamente ?

Non ci avevo ma pensato , in effetti alla prima riapertura del sipario i protagonisti che magari erano morti in scena , sorridenti e abbracciati, poi il coro , i comprimari in rigoroso ordine crescente , poi tutti insieme e la corsetta della diva a prendere il Maestro in quinta , corsetta collettiva , grazie all’orchestra , qualche volta mano tesa al suggeritore : insomma tutto sempre uguale a se stesso.

Il bello è che questo avviene dappertutto , non ci sono confini culturali , il rito finale fa parte dell’opera da Milano a New York, da Berlino a Venna , a Parigi , a Londra ….

Mi era sembrato sempre così normale che non ci avevo fatto caso finché il nipote curioso non me lo ha fatto notare , perché lui non lo capisce , lo trova una perdita di tempo , un applauso , magari caloroso ,basta per questo pubblico giovane che ha fretta di tutto e non capisce la gioia di noi vecchi appassionati che proprio in quella coda godiamo l’attimo della condivisione felice con chi ci ha regalato quelle poche ore di vita diversa dalle brutture del mondo che ci circonda.

E’ possibile che uno degli effetti collaterali del fermo immagine della vita imposto dalla pandemia abbia avuto anche questo risultato .: l’accelerazione di una fine tra le tante che hanno segnato la ripresa della vita ante- Covid.

Eravamo soliti dire l’opera non morirà mai , comincio a dubitare anche di questo . La selva di teste bianche nei teatri non è rimpiazzata da teste bionde o brune , anche in area germanica .

Credo che finiremo noi e i nostri amati idoli più o meno insieme , ha ragione quel signore bergamasco colto e intelligente : non serve mettere il costume da bagno a Donizetti o a vestire  Verdi da donna ; la festa sta finendo , godiamoci questo tramonto culturale , perlomeno essendo consapevoli di essere gli ultimi epigoni di una civiltà in estinzione.

Gli spiriti dell’isola

Mi piace il cinema quando fa pensare , quando mi racconta storie che contengono messaggi di paesi lontani , un cinema letterario e che non da niente per scontato sull’esistenza degli uomini , un cinema di idee.

A questa categoria appartiene un film irlandese che oltre tutto è opera di un autore del quale avevo amato un altro strano film : In Bruges e che ha gli stessi attori come protagonisti.

L’isola  del racconto è inventata , ma non lo è quella in cui sono state fatte le riprese magnifiche che fanno da cornice alla storia.

Eccellenti le prove degli attori , grandissimi Colin Farrell e Brendan Gleeson  canditati ambedue agli Oscar dello scorso anno  che si sono immedesimati perfettamente nei rispettivi ruoli.

Una dotta recensione mi avverte che il film perde molto nel doppiaggio , ma dubito pensare che sarei in grado di apprezzare la versione originale con il mio inglese scolastico.

Una storia sull’amicizia , anzi sulla sua perdita , un evento minimale che sconvolge la banale ritualità di una comunità chiusa nella quale si muovono tutti i personaggi e racconta una vicenda apparentemente semplice che affonda le sue radici nelle leggende della verde Irlanda.

Il titolo originale . The Banshees of Inisherin si riferisce alle streghe che popolavano le vecchie saghe e si avvale anche di una colonna sonora .preziosa , anche quella premiata per la sua originalità.

Un uomo ingenuo vive felice fino a quando il suo più caro amico decide di rompere questa amicizia , una storia apparentemente banale ma fin 

dalle prime immagini si avverte qualcosa di impercettibile e si sente un sentimento di tragedia imminente anche se non sarà poi così prevedibile un finale che sposta di lato gli eventi tragici scegliendo una fine obliqua nella quale si finisce per contare tra le vittime anche il piccolo mite asinello.

Da rintracciare in rete.

Un colpo al cuore

Forse andai in Unione Sovietica con un unico segreto scopo : vedere le opere di Andrej Rublev.

Un film ispirato alla sua vita , opera stupenda di Andrej Tarkowskij me lo aveva fatto conoscere e quel viaggio strano conteneva la speranza di vedere gli affreschi e le poche opere che sapevo essere ancora visibili in Russia di quell’autore misterioso.

Gli affreschi li vidi e invano cercai riproduzioni , non esistevano libri d’arte che mi aiutassero a conservare la memoria , ovviamente proibite le foto.

A Mosca , ad un attonito e ignaro tassista spiegai che c’era una galleria d’arte che si chiamava Tretyakov che conteneva una importante icona , ma fu difficile rintracciarla anche perché non ne conosceva l’esistenza e l’indirizzo.

Finalmente lo convinsi a seguire le mie scarse indicazioni e arrivai davanti alla Trinità di Rublev , una icona misteriosa nei suoi significati simbolici che un caro amico , un religioso sui generis , mi aveva raccontato e spiegato come leggere in quelle tre figure un mondo di fede e di preghiera.

Mentre stavo in contemplazione silenziosa arrivò da dietro le mie spalle un giovane , tanto modestamente vestito da sembrare un mendicante e fece un gesto bellissimo : pose uno stupendo fiore rosso ai piedi dell’icona , forse una peonia e se ne stette accanto a me , in silenziosa preghiera.

Oggi apro il giornale e leggo che Putin ha ordinato lo spostamento della fragile immagine su legno dalla Tretyakow alla cattedrale , da quel Kiril patriarca di regime al solo scopo di permettere al popolo di pregare per la vittoria del popolo russo contro il diabolico esercito ucraino.

Pare che , per fortuna , la reazione delle autorità culturali non permettano una lunga permanenza dell’immagine , che deve essere protetta per la sua fragilità , anche dagli sbalzi di  temperatura pericolosi per la sua conservazione e che tra quindici giorni l’icona preziosa deve ritornare a casa , nel museo.

Qui nella mia stanza ho una riproduzione della trinità di Rublev , comprata a Roma al Russicum e fa parte di una parete in cui ci sono quasi tutti i miei viaggi della mente.

Spero veramente che l’originale torni presto nella sua dimora , certe offese all’arte mi fanno male come i droni sul cielo di Kiev.

Un punto sulla carta

Un caro amico di Facebook mi scrive a proposito di una notizia che riguarda Jonas Kaufmann : quel festival è in un posto magnifico , ti piacerà.

Ma io che sono ignorante in geografia e temo che questo magnifico posto sia veramente lontano da ogni mia possibilità di viaggio mi metto su Google Map per capirci un po’ di più.

Lo trovo subito , ma non riesco a localizzarlo , allora allargo la visione , neanche tanto ,e leggo da una parte Monaco di Baviera e dall’altra Salisburgo. Praticamente equidistante ! poi leggo meglio e riconosco nomi noti come Traunstein  ( ci sta una cara amica ), Roseneim , da lì ci passo spesso col treno e poi allargando ancora un po’ lo zoom mi trovo a casa mia , tra le mie adorate montagne : San Candido e a un tiro di schioppo la mia meta dell’anima : Cortina d’Ampezzo.

Quasi dalle parti del Maso Malher , sono in  quel regno di che fu di Maria Teresa e nella valle d’Ampezzo dove ancora si servono del catasto teresiano.

Sorrido all’idea che questa località , fino a ieri a me totalmente sconosciuta , sarà un nuovo impegno per quella persona intelligente che fra tanti programmi teatrali ancora tutti possibili per lui pensi anche ad allargare la sua attività verso nuovi orizzonti musicali.

Festspielhaus Erl , festival del Tirolo , adesso che ho visto dov’è penso con gioia che tra le mie amate montagne ci sia un punto di incontro tra la  musica che amo e quel personaggio straordinario che ha allietato con la sua voce tanta parte della mia vita.

Giro di boa

Si fanno dei piccoli giri di boa nella vita : alcuni ben percepiti , altri impercettibili e solo guardando indietro se ne coglie l’effetto.

Da qualche giorno  il blog tace .

Grande partecipazione di lettori dopo i post sull’Andrea Chénier milanese , un cambio di amministrazione nella mia città in giorno di primavera inoltrata , quasi una promessa d’estate e una grande pace intorno.

Anche se il mio piccolo libro aspetta ancora una doverosa presentazione cittadina, anche se l’annuncio di un futuro cambio di passo artistico nel protagonista dei miei passati post mi piace ,ho la netta sensazione che qualcosa sia finito e questo non mi mette tristezza , semmai una serenità che si ha soltanto quando le prospettive si riducono e quello che ancora ci resta è un regalo .

Il fatto di avere completato un ciclo , un decennio almeno di corse dietro i programmi teatrali di mezza Europa , un impegno politico sempre più rarefatto , una solitudine sempre più palpabile ma non per questo sgradita mi fanno capire che forse finalmente è arrivato il momento della contemplazione.

Ho qualche dubbio intorno al fatto che questo significhi saggezza , ma la sensazione beata che davvero la grande vecchiaia possa  essere sinonimo di libertà .

Non parlo di quello che credono di essere vecchi a settant’anni , oggi quelli sono solo  dei rinunciatari se pensano di esserlo , parlo di chi davvero , come me , ha varcato i tre quarti di secolo e se è ancora da queste parti gode di una prospettiva fantastica , come se si fosse arrampicati su un albero altissimo  e da li si possa godere un panorama più vasto.

Dico serenamente sempre quello che penso , mi vesto come mi pare e accetto con gioia che mi si aiuti a scendere una valigia dal treno o che qualcuno si alzi per darmi il posto in autobus.

I programmi futuri , preziosi e rarefatti , spero di realizzarli ma con un certo fatalismo li considero un po’ come vincite al gioco.

Eccomi qua di nuovo , il blog , come il vento , riprende il suo giro.