Una Fanciulla bavarese

foto di Brigitte Helder

Ogni volta che ascolto La fanciulla del West penso a quell’amore che Giacomo Puccini aveva per  questa sua creatura e che , secondo lui non era così amata dal pubblico come il suo creatore avrebbe voluto.

La sua ennesima invenzione musicale nata  dopo la fortissima tragica Tosca e la mite durissima Butterfly e prima di quella principessa di gelo che avrebbe chiuso la sua stupenda vicenda di grande indagatore dell’animo femminile.

Un ruolo che sembra facile se non si considerano tutte le implicazioni musicali e le contaminazioni viennesi del maestro. 

Non è tanto l’idea di averla scritta per farsi perdonare dagli americani la pessima figura che aveva fatto fare a loro tramite Pinkerton , sono semmai le tante sollecitazioni venute dall’ascolto di opere novecentesche che gli hanno dato la spinta per comporre un’opera che sembra ambientata in un west di maniera ma che raccoglie in se la nostalgia dell’emigrante ( quel fratello morto in cerca di avventure oltre oceano c’entra eccome.)

Quindi ad ogni nuovo ascolto in quella che sembra una colonna sonora perfetta bisogna ricercare il filo di una ispirazione tanto felice quanto nascosta in filigrana .

Con questo spirito credo che debba essere interpretata l’opera e nel caso della ripresa al BSO non tutti gli elementi filano come dovrebbero.

Una scenografia quasi nuda e questo non è un male davanti a certe pacchiane ricostruzione western , ma una regia tagliata con l’accetta e sicuramente la mancanza adeguata di prove,  ci si trova di fronte a uno spettacolo decisamente minore rispetto alle aspettative.

Il coro soprattutto e la miriade di personaggi minori , ciascuno peraltro ben caratterizzato psicologicamente non emergono in una insalata di movimenti senza senso nel quale fatichiamo a ritrovare Sonora , il cui ruolo finale è decisamente importante.

L’orchestra ha volumi sproporzionati ,, viene voglia in certi momenti di fare il gesto di abbassare l’audio , forse Rustioni non si è reso ben conto dell’acustica bavarese , ben diversamente lo avevo sentito a Pesaro e in altre occasioni più calibrate.

E veniamo alla compagnia di canto : ovviamente la platea osannante era tutta per quel bandito che “ viene da Sacramento “ e certamente non è rimasta delusa .

Le sue due arie importanti e quel duetto finale del primo atto condotti con la solita maestria attoriale anche se chi come me lo aveva visto a Vienna tanti anni fa non può non notare il cambio ..di peso e per contrappasso il volume più forte e deciso della  sua splendida voce. 

Mai una sgranatura , una minima imperfezione , dichiaratamente il fuoriclasse Jonas Kaufmann non delude mai.

I problemi invece ci sono con la Minnie di Malin Byströms  . Molto , forse addirittura troppo giovane e carina , ha come spesso accade alle giovani cantanti d’oggi splendidi acuti , vuoti intermedi e anche qualche problema di dizione.

Comunque al pubblico piace , penso di essere la solita incontentabile .

Buono , fisicamente aitante , il Rance di Claudio Sgura un po’ tanto “cattivissimo me” , ma il ruolo lo richiede .

In certi momenti la sua altissima figura si staglia plasticamente in proscenio ed è proprio un bel vedere.

Non mi sento di elencare i cantanti dei tanti ruoli caratterizzati dalla musica pucciniana  , sono tutti ottimi professionisti, niente più.

Concludendo,direi che comunque valeva la trasferta . Basta la grande scena della partita a poker per togliere il fiato.

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