Un Ballo al tempo del raddoppio

 

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Due squilli di tromba : davanti al quadro gigante Ettore Bastianini attaccava : “eri tu che macchiavi quell’anima ! “
Giovinetta fremevo perché ero sì dalla parte del baritono , ma nell’orrido campo ( alberi scheletriti , forse anche un impiccato ciondoloni ) non era successo niente !

L’amore , colpevole ma platonico , aveva provocato solo un bellissimo duetto d’amore .

Ora la povera Amelia ( da cui ovviamente generazioni di nonnnamelia ) rischiava di venire ammazzata e per fortuna le era venuto in mente di salutare quel bambino che ovviamente vestito come un quadro del Velasquez arrivava correndo nelle braccia di mamma e tutto sommato le salvava la vita.

I conguirati maligni “ ma che baccano , che caso strano ah a ha ah …” mi erano proprio antipatici e quell’ “Oscar lo sa” fra tutti quei domini neri che svolazzava in polpe anche se leggermente oversize speravo proprio non facesse lo scemo e tacesse su come era mascherato il povero Riccardo.

Come amavo Il ballo in maschera ai tempi d’oro del Maggio Musicale dei miei verdi anni!

Poi c’era Urlica ( una variante si chiamava Azucena ) e serviva in casa per dirmi :vatti a pettinare , sennò mi sembri proprio Urlica!

Il Duca muore al proscenio tra “ figli miei “ anche se mi pareva esagerato , dato che era giovane chiamare figli tutti quei coristi attempati che gli stavano dintorno, però sapevo dalla mamma che quel signore in realtà era un re di Svezia che le censure ottocentesche avevano fatto declassare al povero Verdi e allora ad un Re andava bene dire figli miei a tutti i sudditi.

Questo era il mio Ballo in maschera e con molto affetto mi sono messa a sentirlo davanti alla tv nella ripresa da Monaco.

Ovviamente mi aspettavo qualcosa di più , diciamo così, attualizzato ma mi trovo davanti la solita regia demenziale di Johannes Erath in cui tutto si svolge in un letto peccaminoso in un sottoscala , stanno tutti praticamente sempre in vestaglia ( per tacere del pupazzo da ventriloquo) e solo alla fine quando Riccardo dovrebbe cadere al proscenio in realtà risorge e versione triste di Danilo della Vedova allegra se ne va su per la scale in frack seguento una Urlica fatalona bionda verso il nulla.

Tutto condito dai doppi immancabili ormai  tante volte il pubblico non avesse capito bene : “o dolcezze perdute memorie” ed ecco che la doppia Amelia ascende dal sottoscala nelle braccia di un giovane Renato in abito da sposa , doppio morto anche Riccardo , sennò come ascendeva?

Tutto un raddoppiare che se per caso un giovane capitato per caso all’opera che non avesse avuto voglia di leggersi il libretto se ne va non avendo capito una mazza della storia.

Gran belle voci . Piotr Beczala e Anja Harteros in grandissima forma , un po’ meno il baritono George Petean , ma si sa che i baritoni verdiani sono una specialità rara oggigiorno, vivacemente recitante Oscar di Sofia Fomina e Urlica ( Okka von der Damerau ) di tutto rispetto.

Conguirati alla Groz bravi , misterioso il perché del bambino dai tratti esotici ( forse la coppia lo aveva adottato) ma soprattutto un grandissimo Zubin Metha. Chiudendo gli occhi potevo anche risentire grazie a questo vecchio e rafffinato direttore un grande Verdi in una grande ripresa del Ballo in Maschera.

 

 

 

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2 thoughts on “Un Ballo al tempo del raddoppio

  1. Magnifica cronaca di “Un ballo in maschera ” del Grandissimo Verdi.
    Una gioa avere vissuto il Maggio musicale fiorentino.
    Firenze,che città,puro arte!!!!

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