Sono passati otto anni da quando vidi per la prima volta il Parsifal di François Girard dal Metropolitan di New York e rivederlo a distanza è stato ad un tempo bello ma anche un po’ triste.
Non era il primo allestimento del “dranmma sacro” di Wagner che vedevo e non è stato neppure l’ultimo ma quella messincena ha rappresentato uno spartiacque sulla possibile rappresentazione della difficile leggenda wagneriana.
Intanto la prima osservazione è stata quella di rivedere uno spettacolo elegantissimo nella forma e fedelissimo nella sostanza .
Nessun artificio intellettuale : la scansione nei tre atti è rigorosamente scandita formalmente , l’assenza di costumi di scena rende tutto semplice e privo di effetti .
La prima lunghissima parte col grande racconto di Gurnemanz e le due drammatiche apparizioni di Amfortas ( gioco di parole per Infirmitas) si svolge in un terra riarsa , forse già una precognizione di un domani del pianeta inaridito.
C’è solo la spaccatura appena accennata tra gli eletti di Monsalvato e il mondo reale , ma l’acqua scorre ancora limpida nelle mani del narratore.
I cieli , importantissimi e variati , segnano come la musica il passare dei sentimenti narrati .
L’arrivo di Parsifal è un momento di stacco : la morte del cigno , l’innocenza totale dell’intuso , la cacciata : “vai oca stupida “ e quel guardare verso l’abisso che si apre sanguigno segna un passaggio elementare e iconico verso il viaggio di conoscenza nel dolore del Puro folle.
Il secondo atto breve e bellissimo si apre sull’invettiva di Klinstor e l’ordine verso Kundry. Lei deve obbedire all’angelo caduto e portare nella perdizione l’ancora inconsapevole ragazzo.
Visivamente non ha paragoni l’eleganza tutta europea della scenografia : le fanciulle fiore che arrossano la loro bellezza in quel sangue , mestruo o liquido amniotico in cui si immergono lentamente , quelle lance moltiplicate nelle loro mani , il loro aspetto orientale e lo sfondo allargato del peccato , quella spaccatura che già esisteva all’inizio e che diventa il passaggio da cui escono un Parsifal ancora stordito e poi , idea raffinata ,quel letto da parto su cui Kundrky tenta fino al bacio rivelatore della ferita di avvolgere nellla perdizione il giovane sperduto Ed ecco la consapevolezza nella conoscenza e nella pietà verso la peccatrice . Sarà facile allora strappare la lancia al colpevole e nel contempo demolire il’illusorio dominio del Male.
Nella terza parte si ritorna nella Landa desolata , ormai persa ogni speranza , come dopo uin’esplosione nucleare :l’arrivo del Parsifal stanco di mille battaglie , ferito nel fisico e invecchiato riporta attraverso la consegna della lancia la luce del perdono e della conoscenza alle genti.
La lancia che sanerà Amfortas e che brillerà nella consegna finale del Graal nelle mani dell’innocente segna il passaggio verso il Perdono dell’Umanità.
Kundry muore perdonata ,i cielii si colorano di nubi dorate e mi viene da pensare che tra tanti allestimenti questo resta veramente il più bello tra i tanti visti nel tempo.
Vuoi per la compagnia di canto . Kaufmann bellissimo nei suoi anni d’oro , Pape mai così coinvolto come qui nell’ingrato ruolo del narratore e la splendida rivelazione di Peter Mattei , un grandissimo e tragico Amfortas.
La tristezza mi è venuta pensando a tanti altri Parsifal visti nel tempo : da uno banale di Vienna ( per la verità segnato dalla defezione kaufmaniana che mi fece veramente male ), ad uno per me sbagliato di Tcherniakov visto a Berlino fino a quello straordinario dal punto di vista musicale di Monaco.
La direzione di Kiril Petrenko forse è il punto più alto della rappresentazione di cui mi rimangono come ricordo pesante le alterate figure delle sfatte donne-fiore di Baseliz e invece in positivo la bella strana armatura finale di Parsifal .
Ma la Kurdy che ho più amato è Evelin Helitzius , se dovessi scegliere un cast perfetto lei per me resta l’interprete ideale della strana maga wagneriana.
Ci sarebbe anche da parlare dei più o meno recenti Parsifal di Bayereuth e Salisburgo ma su quelli stendo un velo pietoso.