Dell’Afganistan

In questi giorni giornali e televisioni sono pieni di  notizie che si riferiscono all’Afgani-stan laddove stan significa terra ,come anche altri paesi asiatici vicini a cominciare dal Paki-stan , uno stato  inventato qundo fu diviso il vecchio Ray , di qua gli induisti , di là i mussulmani.

Cosa è storicamente questa terra definita anche “ la tomba degli imperi” : una grande miniera a cielo aperto che oltre ad essere il più grande raccoglitore di papavero da oppio è ricca di rame , ferro e soprattutto litio , guarda caso che tanto serve per le batterie dei nostri telefonini.

Ma questo grande vuoto montagnoso , senza sbocchi sul mare e che confina con Iran , Iraq e soprattutto con la Cina è oggi di nuovo nell’occhio del ciclone anche grazie alla demenziale sortita disorganizzata degli americani che ci avevano buttato miliardi di dollari inutilmente cercando di esportare in quelle terre un modello di democrazia del tutto inutile in quella realtà storica.

In Afganistan si parlano ufficialmente due lingue : il Panshi e il Dari , in realtà si contando perlomeno una diecina di dialetti e difficilmente gli afgani si capiscono anche tra di loro.

C’è quel piccolo confine con la Cina che riguarda  gli uiguri , che sono quella minoranza mussulmana vicina alle frange jiahdiste , problema difficile da gestire anche per una grande potenza .

Poi ci sono i Paschtun ,non mi vorrei sbilanciare ma credo siano sunniti e i poveri Hazari , molto maltrattati anche in patria e anche i tagiki.

In questo meltin-pot sono ritornati trionfalmente fuori i Talebani , quegli studenti coranici integralisti contro i quali si mosse il pensiero occidentale inoridito dalla loro intolleranza .

Il collegamento (abbastanza forzoso) con Al Kaeda e quindi  la mobilitazione americana per vendicare l’11 settembre non era del tutto fondato infatti si vide poi che Osama Bin Laden se ne stava ben protetto in Pakistan,

I poveri Afgani che sono morti precipitando dagli aerei in decollo credevano di stare attaccati fuori , come fanno sui tram in India , questo è il livello culturale di quel povero paese , uno dei più disgraziati nel quale andare a nascere in questo nostro mondo.

Ma se io oggi ne parlo è per un motivo personale e direi sentimentale : avevo una sorella molto amata che si era laureata in architettura all’Università di Firenze con una tesi di gruppo ( afgano-fiorentino ) e che riguardava il restauro dei grandi Buddha di Bamyan .

Lei aveva studiato molto all’Istituto Arabo di Parigi perché non aveva i soldi per andare fin laggiù, uno dei tre studenti ( l’afgano) aveva fatto i rilievi in loco. 

Il suo più grande sogno era quello un giorno di potere entrare nel grande spazio circolare che era la testa del Buddha più grande.

La morte  l’ha portata via prima che i suoi adorati monumenti fossero distrutti dalla furia iconoclasta degli studenti coranici , io avevo cinicamente pensato che la sua morte precoce le aveva impedito di subire quasi un affronto personale  e un grande dolore.

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Leggo ogni giorno il diario del dottor Alberto Cairo su Repubblica .  Lo avevamo già conosciuto tanti anni fa quando i suoi resoconti semplici e senza retorica ci raccontavano di quel Centro della Croce Rossa dove ricostruivano gli arti ai tanti poveri amputati vittime delle bombe occidentali nascoste nella polvere del deserto.

Lui non è venuto via , ha ricominciato a raccontarci con semplicità quello che sta accadendo ogni giorno in quel martoriato paese.

Io sono una sua affezionata lettrice.

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