A botta calda

Avevo preso la saggia decisione di non andare a Vienna per il Don Carlos per motivi diciamo così di depressione da Covid e avevo con facilità rivenduto il bel biglietto .

Oggi però ho ceduto alla curiosità di vedere comunque quello che mi ero persa e non certamente per l’effetto della “ volpe e l’uva” non sto rimpiangendo la mia decisione.

Per la verità spesso gli allestimenti dell’Opera di Vienna non brillano per originalità , a Vienna ci sono ben altre preziose mete a cominciare dal Musikverein per non parlare dell’An der Wien , e anche questo allestimento mi conferma la routine delle messinscene dello Staatsoper.

Ho letto molto circa lo strano “sogno di Eboli “  di questo allestimento che viene  da Amburgo e che a suo tempo aveva suscitato molti fiumi d’inchiostro e l’idea di riempire il balletto “grand opera” in maniera ironica sulla carta non era male.

Poi le vecchie idee restano tali e si precipita nel ridicolo con l’Autodafè in versione critica sociale (?) con una psedo Marilyn che sostituisce la voce celeste durante il rogo che non c’è.

Un po’ meglio va verso l’ultima parte , quando la grande musica verdiana prende il sopravvento  e anche i cantanti , tutti , sembrano un po’ meno indifferenti alla storia che stanno raccontando 

Nessuno però si prende veramente sul serio  e oltre tutto cantano anche senza un minimo di distanziamento , forse a Vienna ancora non hanno ancora capito la tegola mondiale che ci sta cadendo addosso.

Egoisticamente spero che Kaufmann sopravviva allo scempio , anche perché dovrebbe venire in Italia alla fine del mese e ci terrei sentirlo , sperando magari in qualche Lieder che mi riconcili con la sua vera arte.

Comunque posso concludere che se il peggio non muore mai in questo caso ci tocca pure di rimpiangere Warlikosky.