
Francesco Micheli ha tentato un’operazione coraggiosa , fare uno spettacolo unico addirittura partendo dalla fine cosi che Cavalleria e Pagliacci diventino una storia italiana con una precisa ambientazione storica , dagli anni 60 al 70 del Novecento.
Il risultato è discontinuo ma comunque molto interessante.
Dunque , siamo negli anni sessanta e Turiddu ama Lola ma deve andare a lavorare in Germania e al ritorno la trova rapita e sposata al Boss locale , per dispetto mette Incinta Santa e per lui sono guai grossi.
Tra treni che vanno e vengono , dramma ddell’emigrazione ,la storia scorre in maniera quasi fedele , tra salti temporali e mamma che rispedisce il figliolo in Germania per evitargli la morte.
Funziona ? Direi di si , il filmaccio regge .
Atto secondo : Tiuriddu in treno trova un altro emigrante cuoco e attore girovago , scompare nel grande paese che lo ospita , si sposa pure e pure con la classica sposa turca , e qui i Pagliacci diventano più difficili da fare combaciare col plot narrativo ,con qualche colpo di genio come la visione della mitica partita di calcio Italia Germania a reggere il coro bruttissimo degli zampognari.
Ci si arrangia un po’ per reggere l’intermezzo nel ristorante in attesa della cena spettacolo , comunque il dramma a fosche tinte regge grazie alla mostruosa bravura di Jonas Kaufmann che addirittura commuove gridando al proscenio : no, pagliaccio non sono….
E qui entriamo sulla valutazione del versante musicale dello spettacolo .
Ho avuto fortuna perché nella Cavalleria c’erano due sostituti di gran lusso : una grande Santuzza con la bravissima Anna Pirozzi e il bello di turno Tetelmann , grandissime voci , adatte al verismo e un velo pietoso sul resto del cast.
Lo stesso discorso vale per Pagliacci dove il solo Jonas è talmente al di sopra di tutti da dare comunque valore allo spettacolo.
Lui non canta , parla, vive ,si tormenta e commuove e poi , quasi per caso canta pure e magnificamente .
Orchestra e coro da dimenticare, corni scroccanti , direzione bandistica come da italica tradizione quando si mette mano al repertorio classico del verismo più sfacciato.
Un pô troppa gente in scena , Monaco non è più quella di una volta , purtroppo.ma evidentemente il risultato è gradito , pubblico debordante e plaudente su tutto e tutti , anche se é uno solo quello per il quale valeva il viaggio.