Der Abschied

Oggi 7 luglio nel lontano 1860 nasceva a Kaliste nella lontana Boemia Gustav Mahler .

Amo la sua musica che riconosco sempre , quasi senza averne una immediata riconoscibilità , non sono una musicista e la mia cultura musicale  è sicuramente modesta.

Eppure appena ascolto qualcosa che in qualche modo mi turba e mi affascina contemporaneamente so che sto ascoltando una sua composizione.

La radio è sempre accesa in macchina e la musica parte senza una mia scelta.

Difficile rendere a parole la sensazione di qualcosa che struscia nel profondo dell’anima , che mi fa tendere all’ascolto come se mi sentissi attraversata e sollecitata come una corda di violino .

Ma c’è una pagina particolare di Mahler che tengo nel cuore in un modo così tanto struggente che rischia addirittura di farmi male.

E’ il lungo lied finale del Canto della terra: Der Abschied e quando lo dissi in un breve colloquio a Jonas Kaufmann  ( avevo ascoltato la sua versione a Parigi e avevo con me il Cd che ne era stato realizzato), lui mi ha sorriso quasi con complicità , evidentemente anche per lui quella pagina ha un valore particolare  e allora mi scrisse una strana dedica con un pennarello rosso e io ci avevo messo un po’ per capirne il testo , comunque bellissimo.

Quegli ultimi sette Ewig che finiscono nel nulla sono una dissoluzione dell’anima .

Ha scritto un colto amico che leggo sempre con piacere che forse vorrebbe che quel sublime finale risuonasse nella sua mente nel momento dell’ultimo addio . 

Credo che sarebbe una bellissima fine per ognuno di noi che amiamo il grande genio e che nel ritiro di Dobbiaco l’ha composta  lasciandola  a noi , che ancora possiamo goderne la sublime bellezza.

Tempi moderni

Doveva essere l’estate in cui ci saremo messi alle spalle il brutto sogno che è stata la pandemia e invece siamo di nuovo nell’incubo aggravato da tanti altri pesanti eventi : una guerra in Europa , un siccità biblica , un caos aeroportuale ( e non solo ) che fanno aasomigliare gli speranzosi vacanzieri a dannati senza gloria accomunati nella vana speranza di una qualche regolarità nei voli che sono diventati anche carissimi , nonché aleatori.

Sembra un bollettino di guerra : scioperano tutti e in tutti i paesi.

Un disincantato dirigente di una una famosa compagnia low cost ha detto chiaramente che quello che stiamo vivendo non è un episodio transitorio , ma  la fine di un epoca nella quale si poteva pensare di spostarsi con leggerezza inseguendo i propri sogni di vacanze e di eventi da raggiungere facilmente.

Personalmente una nota , anzi notissima compagnia aerea mi ha spostato per quattro volte un piano di volo semplicissimo in tempi normali , una specie di fly-game thriller e alla fine sono crollata ,

ho pensato che stare a casa , in riva al mare , alla fine sarà la soluzione ottimale visto anche la mia venerabile età che non consente più avventure .

Viviamo un’estate piena di sensi di colpa : il prato ingiallisce e non si ha il coraggio di annaffiare pensando alle regioni già in stato di calamità, verrebbe quasi voglia di intonare riti propiziatori per la pioggia e poi la si teme perché quando arriva insieme a vento e grandine a falciare le povere rose che non riescono a fiorire perché sono già appassite.

Il Covid ha rialzato la testa , siamo all’estate indiana e non è il titolo di un romanzo.

Invidio gli intrepidi che hanno ancora voglia di spostarsi per raggiungere i Festival che hanno ripreso la loro attività culturale , che Caronte li protegga  mentre mi viene da pensare che solo una ragazzina svedese , fastidiosa e petulante ci aveva avvertiti tutti , la terra si è stufata di farci i suoi doni e i cretini stanno ancora attaccati ai loro condizionatori.

Sarà da ridere quest’inverno quando ci dovremo rimettere i piumini anche in casa !

Vittoria della minestra

In questo tristissimo tempo di guerra come il baleno di un sorriso arriva una notizia lieve : l’Ucraina ha vinto la battaglia del Borscht.

Sembrerebbe una frivolezza , in realtà è una sottile vendetta culturale perché la giuria internazionale che doveva decidere se il famoso piatto tradizionale fosse russo o ucraino ha deciso che  la storia russa nascendo in realtà dalla grande Kiev dovevasi attribuire all’Ucraina la progenitura del sollodato piatto tipico.

Devo dire , obbiettivamente che avendolo dovuto assaggiare durante il mio antico viaggio in quelle terre lontane non ne serbo un gran ricordo.

Odiando le barbabietole e la panna acida non è che il connubbio fosse per me fonte di delizia del palato.

Oggi però la notizia mi ha riempito di allegria e mi riserbo magari di dare al mitico piatto a suo tempo orripilato una prova d’appello : hai visto mai che alla luce di tutte le sacrosante rivedicazioni  ucraine firirebbe per piacermi anche l’esotica aborrita minestra ?

Si dice che i gusti cambiano ogni sette anni , dal tempo in cui mi ritrovai a mangiare il borscht di anni ne sono passati due o tre volte sette , giusto in tempo per dare una prova d’appello alla minestra che adesso so di essere ufficialmente ucraina.

Addio a un maestro

Non avrei mai conosciuto un antico poema indiano se non ci fosse stato un mago della scena che si chiamava Peter Brook : il suo Mahabharata , quante ore costretti nel silenzio di partecipanti alla lunga saga ( e un ricordo qui va anche a Vittorio Mezzogiorno ) un  italiano che eccettò la sfida partecipando alla kermesse , un modo totale di fare teatro che non ha più eredi sulla scena di oggi.

Poi il suo Marat- Sade , uno spettacolo e poi un film , una sconvolgente messinscena , indimenticale quel manicomio di Charenton.

Qualche volta mi domando se sia solo la pigrizia che non mi fa più andare a teatro oppure la sensazione di noia che mi prende perché mi sembra di avere già visto tutto , perché salvo rare preziose eccezioni il teatro oggi non riesce più a darmi quel senso di partecipazione totale , quel coinvolgimento dell’essere tutt’uno con lo spettacolo che mi davano gli spettacoli una volta.

Forse solo la gioia di avere fatto teatro classico con i ragazzi , la meraviglia di un coro greco , un teatro povero fatto con poche sedie e tanto entusiasmo : tutto questo forse per avere visto in un tempo lontano qualche spettacolo di quel mago della scena che è stato Peter Brook .  

In fondo credo che la magia irripetibile del teatro consista proprio nel ricreare l’attimo nel quale si vive insieme il palpito dela vita vera , quella che solo la scena riesce a ricreare.

Una canzone

Luglio , col bene che ti voglio , vedra’ non finirà…..ho cominciato a canticchiare stamattina e piano piano mi è tornato il mente un mondo lontano : il’68 che è stato  tante cose per tutti e per ciascuno di noi anche tanto altro.

Piano piano ho ritrovato i versi piani e gentili nella mia testa , poi il nome del cantante : si chiamava Riccardo Del Turco ed era , forse , anche parente di una  mia compagna di scuola .

Una buffa e simpatica biondina che riemerge nei miei ricordi fiorentini lontani insieme alle note della canzone , il testo ( poi oggi si fanno delle rapide ricerche su tutto ) è di Bigazzi , uno che decisamente ci sapeva fare con le parole.

Una televisione in bianco e nero , una fetta di vita lontana e un ritornello che torna puntualmente ogni anno.

Si apre questo luglio caldissimo con il refrain che sa di cose lontane, chissà perché mi sembra di ricordare che fosse un tempo più garbato , forse faceva meno caldo.

Del Turco , cognato di Endrigo , il mondo delle canzoni dai versi che avevano un senso , roba di un altro mondo :

Luglio, ho tanto freddo al cuore…….