in memoriam

Ho avuto l’altissimo onore di conoscere personalmente Giulia Crespi , sono stata ospite dellla sua casa in Corso Venezia 20 , già salendo le scale si potevano ammirare i trofei di piante elegantemente messi  a decorazione semplice perché in quella casa niente voleva essere sfarzoso anche se i suoi fondi oro senesi mozzavano il fiato e i suoi Canaletto immensi ( più belli di quelli della Regina d’Inghilterra come mi disse sorridento Marco Magnifico ) erano lì a dimostrare la grande ricchezza solida lombarda ,ma soprattutto la grande raffinatezza libera da ostentazione.

Ero una semplice delegata FAI, incantata dalla boiserie dell’office che portava in cucina , il pranzo frugalissimo tra  l’indifferenza dei vecchi cani di casa che circolavano tranquillamente tra le gambe degli ospiti riguardosi.

Una signorilità antica e diffusa che contrastava con la volontà d’acciaio della signora che sognava un ‘Italia più bella , un paese che ritrovasse i suoi valori più importanti nei suoi beni diffusi , molti dei quali da recuperare e proteggere.

Una volta , eravamo a Napoli per una tre giorni straordinaria in cui ho visto cose che forse mai avrei potuto vedere come semplice turista , lei mi dette un passaggio dall’albergo fino al luogo del convegno . Chiedendomi ( forse per la decima volta ) la mia provenienza mi  ripetè con dolcezza : ah, le Marche ! prima o poi ci devo venire .

Non ci è venuta , aveva troppo da fare nella sua amata Toscana e nel rincorrere quel suo sogno di bellezza diffusa che è stata la ragione del suo impegno negli ultimi anni della sua lunga vita .

Aveva in casa delle deliziose foto dei nipoti in fila , si capiva il suo forte senso della famiglia e non le è stato neppure risparmiato il dolore di perdere un figlio contravvenendo l’ordine naturale delle cose  , un dolore innaturale che anch’io ben conosco.

Se ne è andata sull’onda di questo virus che sta segnando la fine di molte cose , probabilmente di una intera epoca dai molti errori e da poche speranze positive : mi piacerebbe che in sua memoria il FAI restasse quel piccolo faro di positività che era quando lei lo ha creato , un segno di   cultura per il quale si è battuta come un leone anche contro la politica miope di quanti la elogiavano ,facendo finta di ascoltarla e seguitando a distruggere il bene prezioso e primario del nostro paese :la bellezza.

Ancora e sempre Kaufmann

Ho riflettuto un giorno e riascoltato più volte il concerto che inaugurava la lunga serie di performance prestigiose del Metropolitan.

Ovviamente in  maniera commercialmente furba sono partiti dal più importante e  più seguito dei partecipanti all’impresa cosicchè  Jonas Kaufmann ha potuto dare l’ennesima lezione di stile europeo al grande apparato mediatico americano.

Come ha colto con animo sensibile una raffinata commentatrice francese la splendida Abbazia di Polling non legava per niente con il contesto musicale , impercettible slittamento stilistico che però alla fine finiva per esaltarne il programma , per contrasto.

Kaufmann mi ha ricordato un acrobata capace di esibirsi senza rete negli esercizi più pericolosi , solo la sua preparazione di ferro e la sua germanica freddezza ( intercalata dai sorrisi fuori campo nei momenti di riposo che si vedevano nei monitor accesi dietro la trionfalistica presentazione dei suoi mille volti di  scena)  ha potuto reggere le dodici arie difficili e acrobaticamente rischiose cantate quasi di fila .

Hanno colpito di più le arie meno “ consumate” dalla sua partecipazione in scena degli amati personaggi , certo che La solita storia del pastore l’aveva cantata nel 2010 in un concerto di arie al Gastaig e poi non è che fosse sempre in scaletta , ma io sapevo bene come l’avrebbe affrontata senza paura . Forse la sua caratteristica principale è la sicurezza con cui arriva in suplesse agli acuti micidiali che potrebbero terrorizzare i suoi colleghi ( e spesso questo in altri si coglie).

Ovviamente qualche piccola sbavatura “umana” anche lui che l’ha regalata  ,ma forse è proprio quello che più ce lo fa amare : butta sempre il cuore aldilà dell’ostacolo e se alla fine la voce sul Vincerò era un po’ stanca era sempre la conclusione di un’aria rinnovata nel senso del racconto laddove infatti alla frigida Turandot lui riesce a minacciare un amore che scioglie e che vince sempre e comunque sulla potenza inutile di una virilità ostentata.

Preziosa come sempre la sua complicità con quello che fu suo maestro e adesso e qualcosa di più , un partner tanto prezioso quanto è prezioso l’accompagnamento per piano solo di arie che Deutch ci restituisce come un pieno d’orchestra addirittura virtuosistico.