Ancora su Andrea Chenier

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Articolo di Caterina De Simone

Jonas Kaufmann è bello, consapevolmente, e ha passato tre quarti della sua carriera a tentare di far dimenticare la sua bellezza. I detrattori criticano la sua tecnica giudicandola poco ortodossa, il timbro artatamente scurito e infine la voce definita “ingolata”, ma il cantante tedesco ha ormai deciso che non vale la pena di sciupare energie nervose ed emotive nel rincorrere il consenso unanime, continuando invece a costruire sapientemente il suo percorso artistico. E così ecco l’avvicinamento al “verismo” con Andrea Chenier alla ROH e “Cav & Pag” al festival di Pasqua di Salisburgo , il tutto inframmezzato da un altro debutto importante nell’Aida concertante a S. Cecilia e un ritorno più comodo con Carmen al Met.

A prima vista proprio lo Chenier che sta affrontando in questi giorni a Londra sembra riduttivo per la grande capacità di scavo psicologico di Kaufmann. Come nobilitare il “Dramma Istorico” di Giordano che conserva ancora la vecchia struttura a pezzi chiusi e che tradizionalmente è apportatore di fama per tenori spesso urlatori e completamente assuefatti alla bidimensionalità del personaggio? E come dribblare la consuetudine dei singulti e degli effetti plateali che si associa ancora alla parte più deteriore del “Verismo” in questione?

Dopo trent’anni la ROH rilancia Andrea Chenier e scommette su e con Jonas costruendo attorno a lui una produzione che assomma quasi il meglio a disposizione. Sul podio l’amatissimo Tony Pappano (e ricostituisce così la miglior coppia possibile di cantante e direttore), in regia il beniamino di casa David Mc Vicar e ,a ricoprire gli altri due ruoli principali, Eva-Maria Westbroek e Zeljko Lucic. Aggiungiamo poi una sfilza di comprimari di provata esperienza, i costumi di Jenny Tiramani , le scene di Robert Jones oltre al coro diretto da Renato Balsadonna e avremmo sulla carta uno spettacolo indimenticabile. Il problema principale in un’operazione come questa è sempre la relativa debolezza della partitura e della drammaturgia. Giordano non ha l’ironia e neanche la capacità di trattare il materiale motivico di Puccini, ma proprio perché tutto questo è risaputo risulta pretestuoso porsi all’ascolto scuotendo la testa o arricciando il naso. Quindi è forse un errore anche il “puccinismo” di Pappano, che strizza l’occhio al minuetto di Manon Lescaut nella gavotta del I atto e assimila il Gerard del III atto allo Scarpia della Tosca .

La chiave di regia di David Mc Vicar improntata ad una oleografia quasi datata ha molto fatto discutere. A parte l’ironia del pastiche settecentesco con balletto del primo atto facilmente assimilabile alla coreografia realizzata nel terzo atto della Adriana Lecouvreur del 2010 sempre alla ROH e sempre con Mc Vicar, i tre atti successivi hanno mostrato quasi una rinuncia ad un vero e proprio concept. Tutto ciò avallato da scene piuttosto convenzionali e da costumi molto belli e raffinati ma che probabilmente sono stati pensati più per la trasmissione cinematografica del 29 gennaio che per una vera idea di fedeltà estrema al libretto. O forse il tanto vituperato regietheater ha rovinato per sempre la prospettiva didascalica delle altre regie “normali”….chissà!

Musicalmente la Maddalena di turno, incarnata da Eva-Maria Westbroek , stenta ad incarnare “l’ingenue” del primo atto, mentre riesce meglio a dar vita al personaggio braccato e preoccupato per le sue sorti e per quelle del suo innamorato negli atti successivi nonostante un vibrato a volte eccessivo . La sorregge a dovere Pappano che crede molto nella soprano olandese tanto da averla voluta come protagonista dell’ultima opera di Turnage , Anna-Nicole , e che la accompagna perfettamente ne “La mamma morta”. Quanto a Zeljko Lucic sfoggia il suo vocione e si comporta “comme d’habitude” graniticamente sul palco. Il suo “Nemico della patria” strizza l’occhio al “Credo” di Jago, poi il baritono serbo “Scarpieggia” non poco per quasi tutto l’atto III, venendo però inghiottito dal pieno orchestrale che più pieno non si può scatenato da Pappano. E che strano questo scompenso tra buca e cantanti… Sir Tony è il miglior concertatore –accompagnatore di cantanti nel panorama internazionale! Il cerchio si chiude con Jonas Kaufmann che , per solito un po’ lento ad entrare nel personaggio, si lancia nell’aria di sortita in un Improvviso avvincente, assertivo, tutto sul fiato e ricco di sottigliezze che probabilmente non si sono mai sentite da nessun altro interprete. Niente eccessi , eppure delineato alla perfezione il fervore del poeta offeso dalla superficialità e vanagloria della nobiltà francese. Non c’è invettiva, ma il sottile intelletto del rivoluzionario in nuce , punto sul vivo e pronto a colpire con le sue armi: parole e poesia. Nel II e III atto conferisce al personaggio lo spessore che manca alla scrittura musicale per poi offrire un finale estremo con un duetto esaltante in coppia con la Westbroek cantato tutto in tono laddove esempi famosi del passato ci rimandano a canonici abbassamenti di un semitono.

E’ probabile che l’Andrea Chenier sia stato inserito nel suo calendario come tappa importante di avvicinamento al verismo di Cav&Pag e questo non fa che confermare le sue grandi doti di programmazione e gestione della carriera. Quindi, a parte le indubbie doti canore, guai a considerarlo solo bello; più che bello è di una intelligenza rara

Caterina De Simone

Jonas Kaufmann in Andrea Chenier

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L’Andrea Chenier é un’opera legata alla mia infanzia, fa parte delle memorie piu tenere: la mamma mi raccontava la triste storia del poeta (e ci teneva a dirmi vissuto davvero) morto ghigliottinato durante la Rivoluzione Francese e del suo amore per una giovine nobile che aveva deciso di andare a morire con lui, tutto arricchito dalle storie del perfido Gerard, della fida Bersi e della vecchia Madelon. Qui la mamma si commuoveva sempre.

Poi io questa opera l’ho vista tante volte e mi é piaciuta sempre un po meno…troppi sventolii di bandiere: Liberté, Egalité, Fraternité!

Non è colpa di Umberto Giordano, ma certe opere sono piu legate di altre allo spirito dei tempi e sicuramente questa non è un capolavoro eterno. È però un must per ogni grande tenore, direi una tappa obbligata nella carriera.10923799_1159905527369955_8377430422470383616_o

Jonas Kaufmann prima o poi ci sarebbe arrivato: un title role su misura per lui e io sono corsa a vedermelo con tante speranze, ma (e non colpa sua) l’allestimento londinese mi ha lasciato nella mia convinzione, anche perché l’intervento di Mc Vicar invece di alleggerire un plot abbastanza datato ci si é tuffato dentro enfatizzandone tutte le banalità. Cosi che le grandi arie restano tutte li come figurine ritagliate in un contesto con la plebe pulita tipo statuine da presepe napoletano, col balletto sulle punte (allora se volevi fare una cosa filologica questo era da evitare), con la frase di Robespierre messa ad ogni calar di sipario, tante volte non l’avessimo capita bene!

Ovviamente Jonas cannibalizza tutte le partners e la povera Westbroek, cui peraltro ha dalla sua la piu bella aria dell’opera, non ce la fa a reggere il confronto. Potente vocalmente, preciso nella gestualita quando può esplodere nelle sue arie ci regala un’altra delle sue interpretazioni che resteranno nella memoria.10934118_1159905530703288_279811240387565565_o

In ottima forma Lucic, stavolta in gran spolvero, il suo Nemico della patria di tutto rilievo. Per il resto, come si dice, bene gli altri, un po’ meno la orripilante pronuncia del coro.

Il mio amatissimo Sir Tony – grandissimo in ogni partitura – sicuramente il migliore direttore di cantanti sulla piazza forse alle prese con Giordano, che ovviamente non è Puccini ce la mette tutta ma il tessuto generale, e non per sua colpa, mostra la corda e il registro fortissimo non rappresenta la soluzione di ogni scollatura. Ovviamente queste mie righe sono destinate a scandalizzare il popolo felice delle kaufmanniane, ad irritare tutti coloro che hanno salutato con enfasi questa ripresa. L’opera mancava da Londra da trent’anni! E io tutto sommato sono stata felice di sentirmela ancora una volta, cantandomela dentro. È di quelle opere che conosco praticamente tutta a memoria,

Per la gioia di vedere Jonas bellissimo col codino, di sentire la Mamma morta ripensando sempre alla Callas, di apprezzare il modo in cui il grande istrione riesce anche stavolta a ricreare a modo suo anche questo stereotipato personaggio , facendone un altro anello della sua ormai immensa serie di eroi.

Ma soprattutto in memoria della mia mamma che questa opera amava davvero ed è per il suo lontano raccontare che io sono la inguaribile melomane che sono.

Ps. Per una recensione seriosa rinvio quella segnalatami dal mio amico di mouse Giulio Delise su www.Teatro.it

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