Ancora sul Lohengrin

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Passa e ripassa in questi giorni su Classica un Lohengrin del 2009 del Bayerischestaatsoper con un Kaufmann appena quarantenne debuttante nel ruolo del titolo in una regia che a quanto leggo dai commenti al bel pezzo ospitato sul mio blog e scritto da Caterina De Simone non ha trovato il gradimento di molti spettatori.

Quello che scrivo non è però in polemica con la mia amica con la quale sono sempre in sintonia ma mi viene sollecitato dalla scarsa valutazione di molti che ancora adesso privilegiano la messa in scena “bella” a quella che ha in se una forte idea innovatrice.

Sarà che da un po’ di tempo sono molto più abituata alle Inzenierung di matrice germanica che al gusto elegante di mise en scene impreziosite da bei costumi che mi viene più facile amare il nuovo quando è generato da un’idea forte, come dice lo stesso Kaufmann in una sua bella e lunga intervista sul tema.

Anche io avevo molto amato il Lohengrin dubbioso e problematico di Klaus Guth, quest’uomo venuto dal nulla e non a caso lo stesso regista aveva citato la sraordinaria e misteriosa apparizione sulla piazza di Norimberga di una sorta di smemorato, Caspar Hauser, come fonte di ispirazione per il suo Lohengrin.

Un Lohengrin molto umano, come sottolinea anche la De Simone, sconfitto e perdente, reso splendidamente nelle due famosisime arie In fernem Land e Mein lieber Schwan da un Kaufmann eccezionale .

Guardando e riguardando la messa in scena di Richard Jones, a mio avviso un regista molto geniale, si coglie invece meglio la missione ultraterrena del cavaliere del cigno.

In una società laica e formale come poteva essere in questa della messa in scena molto bavarese anni trenta c’è una giovane ragazza accusata ingiustamente di aver ucciso il fratellino e che sogna solo di costruirsi una casa borghese nella quale arriva l’extraterrestre, una specie di guru New Age che lentamente porta tutta la comunità a convertirsi al nuovo ordine mistico religioso ed ecco quindi spiegate tutte le magliette celesti che tanto hanno turbato lo spirito estetico nelle nostre affezionate scaligere.

Il male è rappresentato dalla cattiva Ortrud, dichiaratamente germanica e un po’ filo-nazista nella sua biondissima accentuazione ariana che fra l’altro invoca un Wotan e Fricka ancora bel lungi da venire nel Ring.

La scritta fiorita sulla casa degli sposi è una citazione di quello che Wagner volle fosse scritto sulla sua casa di Bayreuth: Hier wo mein Wähnen Frieden fand – Wahnfriend – sei dieses Haus von mir bennant, (grosso modo “qui dove la mia delusione trova pace , qui chiamerò la mia casa”).

Il Lohengrin dal bellissimo canto spiegato di Kaufmann si trova sì sconfitto, ma sconfitto nella sua missione divina, il suo è un dolore ben diverso da quello della Scala. Qui è un angelo ferito che singhiozza prima di lasciare quella pace terrena che sperava di avere trovato nella tenerezza di una casa con la culla già pronta, con la carrozzina fuori della porta, in quel suo essere falegname e costruttore di pace.

La direzione stupenda di Kent Nagano, la compagnia di canto di alta qualità , cito volentieri Micaela Schuster e soprattutto il Telramund di Wolfgang Koch fanno si che questo Lohengrin a mio avviso meriti di più di una sbrigativa valutazione tipo “ mi ha irritato” come ho letto tra i commenti al bel pezzo di Caterina.

Ma il discorso potrebbe essere anche più lungo, potremmo cominciare ad analizzare tutti i vari personaggi che un genio come Kaufmann riesce ad interpretare facendo dei suoi Werther degli unicum così come dei suoi molteplici Don Josè e Don Carlo….

Uno nessuno e centomila, mai come per lui questo titolo pirandelliano rende meglio l’idea della forza interpretativa dell’attore.

 

 

 

 

 

Lohengrin uno e due

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Articolo di  Caterina De Simone

Le mamme di una volta dicevano sempre: “I paragoni sono odiosi!” stringendo le labbra in una smorfia severa. Probabilmente è vero, però è quasi spontaneo fare un paragone fra il primo e l’ultimo, in ordine cronologico, Lohengrin dell’unico vero Cavaliere del Cigno oggi in circolazione. L’occasione è data dalla ri-trasmissione della performance monacense, datata 2009, su Sky Classica.

I tre anni fra la prise de role e la performance scaligera del 2012 hanno indubbiamente segnato un processo di maturazione importante che ha di sicuro orientato e spinto la carriera di Jonas Kaufmann (nel caso non aveste ancora capito…è lui l’unico figlio di Parsifal possibile dei nostri tempi).

Le sue due prestazioni vocali non potrebbero essere più lontane una dall’altra. Certo in mezzo sta il Lohengrin di Bayreuth, datato 2010, noto come quello “dei topi”. Ma è con la regia scaligera di Guth e la naturale evoluzione della voce che si notano i cambiamenti più radicali. La sfrontatezza vocale monacense infatti a Milano è tutta introiettata verso la fragilità dell’eroe malgré lui.

Esaminiamo il terzo atto che è il banco di prova per un tenore che affronti quel ruolo. Alla BSO la caratterizzazione del personaggio punta sulla solitudine dell’essere superiore sconfitto dalla miseria dell’animo umano. L’incredulità e la disperazione sono palpabili in chiusura del duetto della camera nuziale, e ancor più nel muto singhiozzare alla ribalta, Lohengrin accasciato sulla buca del suggeritore. Lo stesso episodio alla Scala si fa logica conclusione di una sensualità irruenta che spaventa l’Elsa “disturbata” proposta dal regista Guth. In un certo modo è come se il Cavaliere del Cigno fosse consapevole di ciò che lo aspetta. Nel Gralserzählung cantato nel teatro bavarese l’incredulità si fa evidente, non ancora metabolizzata, nello sguardo allucinato e nella mano che perentoriamente afferra quella di Elsa che vorrebbe invece farlo tacere. A Milano “In fernem Land” è invece tutto intriso di amarezza e di un dolore latente che rispecchia una accettazione passiva del ruolo di eroe che sta stretto al protagonista. Mein lieber Schwann e l’addio ad Elsa sono interpretati come risposta ad una punizione necessaria al desiderio di umanità di questo Lohengrin profondamente contemporaneo. Al contrario a Monaco prevale la dolcezza ultraterrena della creatura superiore giunta finalmente a comprendere e compatire la natura fallace dell’uomo, qui incarnata da Elsa.

Quanto di tutto questo sia da ascrivere alla mano dei registi, Jones in Baviera e Guth a Milano, non è dato di saperlo. Certo è che la caratterizzazione del personaggio non solo vocalmente ma come prova d’attore è nei due casi molto diversa, nonostante l’anello di congiunzione costituito da Anja Harteros sia presente in entrambe le occasioni. Il soprano tedesco è il logico completamento alla personalità prorompente di Jonas Kaufmann. Precisa, affidabile, mai eccessiva, in scena riesce ad imbrigliare il genio del suo partner. I due si fidano ciecamente l’uno dell’altro, i loro duetti nel repertorio italiano (non solo Lohengrin insieme) costituiscono sempre il vertice di ogni performance al quale nessuna Kristine Opolais, per citarne una, potrà mai aspirare.

Se in futuro questo Cavaliere del Cigno dovesse ripresentarsi in scena, come già sperano i parigini, saprà di certo offrire ancora un altro volto all’eroe wagneriano.

Caterina De Simone