Il microfono…infedele

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Vorrei fare una considerazione seria sulla veridicità della voce riprodotta con i moderni e sofisticati mezzi che oggi la tecnologia mette a disposizione dei cantanti e so che devo procedere con molta cautela perché quando si parla di Kaufmann si rischia sempre di toccare il nervo scoperto delle sue acritiche ammiratrici.

Ho sempre sostenuto che il microfono sia necessario nelle rappresentazioni in streaming perché altrimenti il suono si potrebbe perdere soprattutto quando si tratta di cantanti – attori che non si mettono lì impalati al proscenio. Quindi i microfoni ci sono sempre e siamo abituati al piccolo filo che si intravede dietro il collo al momento dei saluti. Ho anche specificato davanti a scandalizzati censori che non si tratta di amplificazione, solo di uno strumento necessario per fare arrivare la voce fluidamente alle orecchie degli spettatori.

Infatti i microfoni tutti i cantanti ce li hanno solo per le rappresentazioni con ripresa video. Memorabile, con suono netto, il colpo in testa del Lohengrin al minuto, mi pare 43, che confermava agli stupiti e ingenui spettatori: possibile che Kaufmann abbia un microfono?IMG_0931

Ce lo hanno tutti quando si canta in streaming e il discorso si potrebbe chiudere qui.

Ma la visione ravvicinata di un frame dell’Andrea Chenier in cui si vede il microfono microscopico piazzato sulla guancia mi ha fatto capire che questa ulteriore raffinatissima tecnica mal si concilia con la resa di una voce che dal vivo ha una potenza e nel contempo una morbidezza uniche. Per spiegami meglio: quando nella grande navata della Michaelkirche a Monaco durante l’Adventernkorzert Jonas ha attaccato l’Ingemisco dal Requem di Verdicredo che a ciascuno dei presenti sia corso un brivido sulla schiena.

La voce potente ed insieme morbida arrivava fortissima e vellutata fino in fondo alla chiesa.

Invece alcuni spettatori, magari i più sensibili e preparati, assistendo all’Andrea Chenier al cinema hanno detto che l’Improvviso era un po’ freddo, che la voce era   perfetta e pulita però meno fluida del solito.

Ebbene io penso che quel diabolico microfonino sulla guancia non abbia reso un buon servizio al nostro grande tenore. La ROH è sicuramente all’avanguardia nelle riprese, forse il microfono tra i capelli col filo dietro la schiena è meno bello, ma questa soluzione nuova pone il problema della fedeltà della riproduzione il più possibile aderente al vero. Non voglio dire che Kaufmann va solo sentito dal vivo, sarei una snob anche molto antipatica, ma penso che si debbano ancora trovare gli strumenti perfetti per renderci la qualità e la perfezione della voce umana come è realmente, specie quando si tratta di cantanti di grande livello.

Il piccolissimo microfono sulla guancia può fare ancora, ahimè in negativo, la differenza e ribadisco in chiusura che questa mia riflessione non è altro che un ulteriore atto di amore per un cantante straordinario del quale comunque le riprese video, anche se imperfette dal lato vocale, ci permettono di vedere meglio la sua grande arte di attore attraverso i primi piani pieni di intensità, quelli che ci perdiamo vedendolo dal vivo.

Anche se in questi casi io sono praticamente in apnea!

Passa la vita mia come una bianca vela…

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Niente da fare, Giordano ha colpito ancora, da due giorni ho nella testa quest’aria e mi rimangio tutto quello che ho detto e scritto a proposito dello Chenier datato.

Sarà colpa del meraviglioso tenore, sarà che era nella mia testa di ragazzina, sarà che sono una inguaribile romantica che perdipiù ha passato la metà della sua vita sulle barche a vela ..

Sarà tutto questo, ma da quando sono tornata da Londra mi canticchio continuamente nell’animo tutte le arie di Andrea Chenier, anche se poi sono anche quella che ha notato senza mitizzare il bruttissimo attacco di ”ora soave”.

ANDREA-CHENIER

Fotografia di Bill Cooper © Tutti i diritti riservati

Lo avevo già colto ascoltandolo alla radio, lo avevo anche più sofferto direttamente a teatro. Ma cosa succede a Kaufmann in quell’attacco che Stinchelli ha paragonato al ciglio di una porta arrugginita?
L’ho risentito diecine di volte e ho capito che forse il tentativo di Kaufmann di partire talmente basso da faticare l’intonazione era la sfida che penso si sia dato da solo per riuscire a partire in pianissimo e fare una di quelle scalate che solo lui sa fare, ma che forse nelll’impervia partitura di Giordano diventa una sfida quasi impossibile.Ho tentato di paragonarla alla altrettanto difficilissima apertura “Goooottt“ dell’aria di Florestano nel Fidelio.

Non a caso Kaufmann stesso ha raccontato di averci messo quattro anni a convincersi ad accettare la parte per poi riuscire in quella partenza in pianissimo che ha del miracoloso.

Non sono una musicologa e nemmeno una maestra di canto so solo che qualche volta se si tenta un difficilissimo passaggio acrobatico sul filo ci si può fare anche molto male.

Qualche kaufmanniana di area mitteleuropea può condiderare blasfemo anche solo criticare il divino.

Io lo faccio per amor , gli voglio tanto bene e so che anche queste sue sfide vocali a se stesso lo fanno quel grande cantante che è.

Forse l’attacco di “ora soave” non è perfetto, ma certamente non è neanche il cigolio di una porta arrugginita, è la scommessa di un grande che vuole tentare strade mai battute e che anche lui percorre con fatica. Ma sono sicura che se ci sarà una ripresa dello Chenier a breve lui riuscirà a stupirci ancora una volta con un prestigioso attacco in pianissimo della famigerata aria.

Intanto mi godo “passa la vita mia come una bianca vela e “ come “un bel di di maggio“ che sono l’equivalente di miele puro per le mie orecchie, me le risento nell’anima e ringrazio la vita che mi ha permesso di godere ancora di questi immensi doni che sono l’unico motivo per apprezzarla veramente.

 

Ancora su Andrea Chenier

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Articolo di Caterina De Simone

Jonas Kaufmann è bello, consapevolmente, e ha passato tre quarti della sua carriera a tentare di far dimenticare la sua bellezza. I detrattori criticano la sua tecnica giudicandola poco ortodossa, il timbro artatamente scurito e infine la voce definita “ingolata”, ma il cantante tedesco ha ormai deciso che non vale la pena di sciupare energie nervose ed emotive nel rincorrere il consenso unanime, continuando invece a costruire sapientemente il suo percorso artistico. E così ecco l’avvicinamento al “verismo” con Andrea Chenier alla ROH e “Cav & Pag” al festival di Pasqua di Salisburgo , il tutto inframmezzato da un altro debutto importante nell’Aida concertante a S. Cecilia e un ritorno più comodo con Carmen al Met.

A prima vista proprio lo Chenier che sta affrontando in questi giorni a Londra sembra riduttivo per la grande capacità di scavo psicologico di Kaufmann. Come nobilitare il “Dramma Istorico” di Giordano che conserva ancora la vecchia struttura a pezzi chiusi e che tradizionalmente è apportatore di fama per tenori spesso urlatori e completamente assuefatti alla bidimensionalità del personaggio? E come dribblare la consuetudine dei singulti e degli effetti plateali che si associa ancora alla parte più deteriore del “Verismo” in questione?

Dopo trent’anni la ROH rilancia Andrea Chenier e scommette su e con Jonas costruendo attorno a lui una produzione che assomma quasi il meglio a disposizione. Sul podio l’amatissimo Tony Pappano (e ricostituisce così la miglior coppia possibile di cantante e direttore), in regia il beniamino di casa David Mc Vicar e ,a ricoprire gli altri due ruoli principali, Eva-Maria Westbroek e Zeljko Lucic. Aggiungiamo poi una sfilza di comprimari di provata esperienza, i costumi di Jenny Tiramani , le scene di Robert Jones oltre al coro diretto da Renato Balsadonna e avremmo sulla carta uno spettacolo indimenticabile. Il problema principale in un’operazione come questa è sempre la relativa debolezza della partitura e della drammaturgia. Giordano non ha l’ironia e neanche la capacità di trattare il materiale motivico di Puccini, ma proprio perché tutto questo è risaputo risulta pretestuoso porsi all’ascolto scuotendo la testa o arricciando il naso. Quindi è forse un errore anche il “puccinismo” di Pappano, che strizza l’occhio al minuetto di Manon Lescaut nella gavotta del I atto e assimila il Gerard del III atto allo Scarpia della Tosca .

La chiave di regia di David Mc Vicar improntata ad una oleografia quasi datata ha molto fatto discutere. A parte l’ironia del pastiche settecentesco con balletto del primo atto facilmente assimilabile alla coreografia realizzata nel terzo atto della Adriana Lecouvreur del 2010 sempre alla ROH e sempre con Mc Vicar, i tre atti successivi hanno mostrato quasi una rinuncia ad un vero e proprio concept. Tutto ciò avallato da scene piuttosto convenzionali e da costumi molto belli e raffinati ma che probabilmente sono stati pensati più per la trasmissione cinematografica del 29 gennaio che per una vera idea di fedeltà estrema al libretto. O forse il tanto vituperato regietheater ha rovinato per sempre la prospettiva didascalica delle altre regie “normali”….chissà!

Musicalmente la Maddalena di turno, incarnata da Eva-Maria Westbroek , stenta ad incarnare “l’ingenue” del primo atto, mentre riesce meglio a dar vita al personaggio braccato e preoccupato per le sue sorti e per quelle del suo innamorato negli atti successivi nonostante un vibrato a volte eccessivo . La sorregge a dovere Pappano che crede molto nella soprano olandese tanto da averla voluta come protagonista dell’ultima opera di Turnage , Anna-Nicole , e che la accompagna perfettamente ne “La mamma morta”. Quanto a Zeljko Lucic sfoggia il suo vocione e si comporta “comme d’habitude” graniticamente sul palco. Il suo “Nemico della patria” strizza l’occhio al “Credo” di Jago, poi il baritono serbo “Scarpieggia” non poco per quasi tutto l’atto III, venendo però inghiottito dal pieno orchestrale che più pieno non si può scatenato da Pappano. E che strano questo scompenso tra buca e cantanti… Sir Tony è il miglior concertatore –accompagnatore di cantanti nel panorama internazionale! Il cerchio si chiude con Jonas Kaufmann che , per solito un po’ lento ad entrare nel personaggio, si lancia nell’aria di sortita in un Improvviso avvincente, assertivo, tutto sul fiato e ricco di sottigliezze che probabilmente non si sono mai sentite da nessun altro interprete. Niente eccessi , eppure delineato alla perfezione il fervore del poeta offeso dalla superficialità e vanagloria della nobiltà francese. Non c’è invettiva, ma il sottile intelletto del rivoluzionario in nuce , punto sul vivo e pronto a colpire con le sue armi: parole e poesia. Nel II e III atto conferisce al personaggio lo spessore che manca alla scrittura musicale per poi offrire un finale estremo con un duetto esaltante in coppia con la Westbroek cantato tutto in tono laddove esempi famosi del passato ci rimandano a canonici abbassamenti di un semitono.

E’ probabile che l’Andrea Chenier sia stato inserito nel suo calendario come tappa importante di avvicinamento al verismo di Cav&Pag e questo non fa che confermare le sue grandi doti di programmazione e gestione della carriera. Quindi, a parte le indubbie doti canore, guai a considerarlo solo bello; più che bello è di una intelligenza rara

Caterina De Simone

Le arie di Andrea Chenier

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L’Improvviso dell’Andrea Chenier sembra essere l’unico momento importante dell’opera di Giordano, in realtà ci sono perlomeno tre arie famose nell’opera ed io oggi voglio parlarvi di una di queste in relazione al cinema ed a una famosissima interprete: Maria Callas.

Ci sono due bellissimi film, molto diversi tra loro, che hanno avuto grazie a questa aria e a questa interprete il loro momento più suggestivo e pur nelle diverse intenzioni, collegate fra loro.

Mi riferisco all’aria La mamma morta interpretata in modo sublime da Maria Callas.

Il primo film è Philadelphia di Jonathan Demme, pluripremiato agli Oscar con Tom Hanks.

La suggestiva scena del ballo tra il malato terminale di AIDS e il suo compagno Antonio Banderas sulle note struggenti dell’aria di Giordano sono uno dei momenti clou del film e quello che sicuramente colpisce di più il cuore degli spettatori.

Ricordo all’uscita del film il successo della colonna sonora, sicuramente il traino lo faceva la canzone del titolo Philadelphia cantata da Bruce Springsteen, ma molti giovani impararono in quella occasione anche a conoscere la bellissima aria d’opera cantata dalla Callas.

L’altro film contiene addirittura nel titolo la stessa aria: Io sono l’amore di Luca Guadagnino, un film raffinatissimo e straordinario che forse non ha avuto la risonanza che meritava, pur essendo stato il film italiano candidato all’Oscar nel 2011.

Qui Tilda Swinton guarda alla televisione la scena del film di Demme e le stesse note, la stessa struggente aria sono il commento al suo cammino psicologico di liberazione.

Possiamo quindi dire tranquillamente che Andrea Chenier, quest’opera verista e molto amata in anni lontani, è un po’ troppo vicina al cliché della Rivoluzione francese vista con la frase di Marie Antoinette : Donne lui des brioches non è solo Un dì all’azzurro spazio come sembra essere in questi giorni tutto lo spazio che viene dedicato all’aria famosissima cantata dal solito Jonas Kaufmann e che separano dalla prima del ROH.

C’è comunque molto di più e se come spero l’edizione londinese ne leverà il lato troppo retorico di racconto pseudo storico visto dalla parte dei ricchi credo che potremo assistere ad un repêchage intelligente come peraltro già fu fatto con l’Adriana Lecouvreur.

Anche perché il terzo momento topico dell’opera, il cavallo di battaglia per i baritoni – Nemico della patria – cantato dal perfido Gerard altro non è che una sorta di Credo di Jago dell’Otello verdiano in chiave verista. Riconosciamo a Umberto Giordano, un autore sicuramente oggi passato di moda, questa capacità di colpire in maniera popolare i temi forti che parlano con facilità al cuore degli amanti della lirica d’antan.