Salome in versione nazi

Seduta davanti al computer attendo fiduciosa di vedere la Salome da Monaco.

Scena aperta , senza sipario ( già visto a Parigi per il Don Carlos) capisco già che Krzysztof Walikowsky ne ha pensata una delle sue.

Libreria rabbinica , tanti libri sugli scaffali , spostamento temporale verso il periodo pre-naziata.

Un prete con borsa da donna , velo in testa : è Pavol Breslik , bravissimo anche successivamente a fare il morto canta con voce femminile in playback uno dei Kindertotenlieder di Mahler, ebrei con facce da caricatura ebraica gli rubano la croce dal petto .

Poi finalmente il mago Kiril Petrenko alza la bacchetta e comincia l’opera .

La sua è una Salome bellissima , lirica e suggestica , ma dal grande direttore c’era solo da aspettarsi questo risultato.

Una sensazione di deja-vu totale : non c’entra nulla con la storia biblica e men che meno con la raffinatissima Salome di Oscar Wilde da cui ha preso l’ispirazione con il più grande risultato provocatorio del suo tempo Richard Strauss.

La biblioteca che si apre su una  piscina ( citazione di una sinagoga trasformata in piscina per la gioia dei nazi occupanti ) , Johannah straccione, ,Prinzessin isterica quanto basta ( una Marlis Petersen bravissima attrice , cantante , ballerina impietosamente inquadrata da vicino se ne ammira la qualità teatrale , un po’ meno la sua credibilità di giovinetta.)

Fantastica Manuela Schuster , perfetta Erodiare , in un ruolo che le si taglia addosso perfettamente.

Ma torniamo al regista : cita di tutto , evidentemente ha qualche problema se anche i pannellli dei disegni ( peraltro bellissimi) che proiettano sullo sfondo della mitica danza siano pitture perdute di qualche altra sinagoga bruciata dai soliti invasori , fino alla resurrezione finale di Nabarroth per concludersi con suicidio collettivo di tutti gli ebrei , successe davvero in Polonia , da qualche parte .

Tutto questo lo si legge nel programma , molto dettagliato di informazioni relative alle scelte registiche molto , ma molto datate del sullodato Warlikowsky.

Mistero sul perchè il paggio sia trasformato in giovine donna innamorata di Pavol ( un’ottima Rachel Wison , ormai fissa a Monaco , era Emilia nell’Otello) , mistero perché la testa di Johannah stia in una scatola con vistoso numero richiamante il marchio sulle braccia dei prigionieri dei Lager ( poi la Petersen la tira fuori in piazza per la gioia degli spettatori dell’Opera für Alles), mistero sul fatto che il profeta decapitato rientri in scena sul finale fumandosi una sigaretta con indifferenza , mistero sull’insanguinato armato di pistola che minaccia i poveri ebrei ( era già uno dell’Isis arrivato fuori dallo spazio temporale?)

Tutto questo per dire che a un certo punto deve esistere un limite alla mapolazione registica  e sono una di quelle che le regia all’antica proprio non le regge più , ma i salti temporali , le rivisitazioni che tolgono anziché aggiungere dimostrano solo un certo disprezzo per l’opera nella sua originalità e tolgono fascino , laddove invece di fascino musicale ce n’è moltissimo.

Ho sentito un grande buuuhhh alla fine , sommerso ovviamente dagli applausi meritati per  tutti gli interpreti e soprattutto per il grande direttore capace di farti scoprire sempre qualcosa di più anche in un’opera che credevo di conoscere perfettamente.

Penso che ormai sia uso invalso la provocazione per i poveri spettatori quando anche Michieletto fa ballare il Twist sulle note dei fantastici valzer viennesi della Vedova allegra , ma questo mi porta fuori tema , direbbe la mia mamma maestra.

Non cito tutti gli interpreti che si muovono con la grande professionalità alla quale ci ha abituato da tempo l’Opera di Stato della Baviera , come pure l’orchestra perfetta come sempre sotto la bacchetta del Mago.

Comunque dopo il Don Carlos nella gabbia dei polli con cesso a vista dal regista polacco non c’era da aspettarsi niente di meglio.