LONDRA – tre

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I paragoni son sempre odiosi , mi si diceva un tempo .Ma paragonare la Forza di Monaco con quella vista a Londra non è solo un paragone , è anche un modo di analizzare l’idea di fondo su come allestire quest’opera strana e magnifica . polpettone e tragedia classica .

Insomma non tutto ma di tutto.

 

Cominciamo dal fatto evidente che a Monaco Martin Kujai aveva una sua idea e l’ha sviluppata fino in fondo , mentre Christof Loy si è limitato a spiegare “la trama” che essendo di per sé molto complicata e improbabile finisce per non essere nè carne nè pesce.

 

L’ambiente : fondamentale il tavolo , va molto per gli scenografi attuali :poi ci si appoggia sopra la Madonna oleografica o il crocifisso e il gioco è fatto ( serviva anche nel Don Carlos parigino , lì ci si appogggiava il busto di CarloV).

 

Il pensiero religioso . qui bisogna partire addirittura da Verdi che notoriamente era un laico anticlericale e che quindi nel privato e in pubblico non lesinava certo le sue posizioni e una notevole distanza dalle gerarchie ecclesiastiche.

 

A Monaco si arriva alla montagna di crocifissi finali su cui si attarda un Alvaro crocifisso dal suo destino e soprattutto dal gesto secco , duro che lo stesso fa nella chiusa silente dell’opera : il crocifisso lo raccoglie dal tavolo e lo getta via , rumorosamente uscendo di scena.

Niente di tutto questo a Londra : solo il bellissimo “ tu mi condanni a vivere “ ci rende l’angoscia dell’uomo perduto nel suo destino.

Mentre nella versone Kusej il convento assomiglia di più a una setta americana , a Londra si torna ai fratacchioni classici di tipo oleografico.

Il bagno lustrale di Leonora , nella sua potente semplicità a Monaco è parte di un rito quasi pagano , a Londra si arriva all’esaltazione della Madonna addolorata , peccatrice e redenta.

Il misero pane che una distratta Ajia sbocconcella all’inizio e che ritorna nel finale tragico ,a Londra resta un modesto panino nelle mani della Netrebko.

 

Il pensiero politico : tutta la storia gira attorno ad Alvaro , l’estraneo , il fuori casta , l’exracomunitario .

Evidentissimo nel Kaufmann di Baviera dove la sua capigliatura da indio è indicativa della diversità senza altre accentuazioni.

Il perbenismo , la bigotteria della casa dei Calatrava , ragione non ultima dell’infatuazione di Leonora per l’altro da sé Alvaro , si estrinseca nella fissazione di Carlo , personaggio fragile come la sua idèe-fixe.

Il risultato così bene accentuato si perde un po’ nella rappresentazione più didascalica londinese , ma qui per fortuna abbiamo un Pappano meraviglioso che riesce a legare attraverso una mirabile lettura dei motivi conduttori tutto quello che la regia non riesce a spiegare.

 

Il ruolo di Preziosilla ( ovviamente serviva anche un mezzosoprano per completare le voci nell’opera verdiana da Azucena a Ulrica tanto per capirci) è sempre legato alle brutte pagine di difficile realizzazione : dal Viva la guerra al Rattataplan che si sposta a piacere ma resta sempre una mattonata si risolveva a Monaco sulla montagna di coristi-cadaveri su cui una Preziosilla sgomenta cantava angosciata .

Si salva a Londra grazie all’intuizione di moltiplicare il ruolo della donna perduta che diventa diversa nelle varie apparizioni : dal ruolo trionfale sul tavolo di osteria , al fuori scena di Alvaro disperato ma macho guerriero ,
fino al modesto finale della puttana ridotta alla miseria alla mensa dei poveri.

 

Tutto questo per dire che alla fine per me Monaco resta un’edizione memorabile e irripetibile per la regia , difficile pretendere dal fratacchione il salto mirabile sul tavolo .

Qui si muore in piedi , come ho già scritto e come era nella tradizione.

A Monaco però mancava Pappano , mancavano anche alcune raffinatezze nei personaggi minori .

Insomma tutto sommato sono contenta di averle viste tutt’e due, difficile fare meglio di così.