Toponomastica

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Ancona è una piccola città segretamente bella e piuttosto strana e ha una caratteristica unica per la sua particolare posizione geografica ,un gomito della costa . Infatti il suo nome viene dal greco dove “ancon” significa proprio gomito. : infatti il sole qui nasce e qui tramonta nel mare .

Così per un curioso caso della toponomastica cittadina nel momento di intestare un luogo ad una persona mi è capitato di scoprire quanto può essere bello una targa in un posto particolare dove finisce una strada o meglio dove uno slargo del molo è orientato proprio dove il sole tramonta.

Le strade hanno nomi quasi dappertutto e spesso sono nomi di persone , solo a NY ci sono i numeri che comunque acquistano anche loro il fascino di un nome . Per esempio se uno dice : sulla Quinta sai bene che ci abita Trump e ci sono i negozi Vip.

Ma torniamo alla nostra vecchia Europa e ai nomi qualche volta fantastici delle strade . Per esempio a Firenze c’è la Via di Mezzo , a Napoli il bellisssimo Spaccanapoli.

Ci sarebbe da divertirsi a studiare il perché e il percome delle strade anche se spesso i nomi scompaiono , restano soltanto indirizzi e non si sa neppure chi era quel tale al quale hanno intestato il nome di  una certa strada.

Un giorno in aereo una ragazza che mi sedeva vicina nel presentarsi , al solito non avevo ben capito il cognome ,per farsi capire mi disse :-la via dell’Auchan , ovvero estrema periferia di un centro commerciale – ed era il nome di un grandissimo poeta che avrebbe meritato ben altro spazio di memoria.

 

Ieri invece mi sono trovata a scoprire una lapide in un posto fantastico . intanto si tratta di un molo , il che di per sé ha un suo significato e secondariamente proprio in quel punto sul mare la sera il sole si tuffa nell’Adriatico.

Inutile dire che il posto sarebbe molto piaciuto a quel marinaio di cui sono stata compagna per tutta una vita.

 

 

 

La Banca

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Una volta i regali che si facevano ai bambini per la Prima Comunione erano piccoli oggetti d’oro : la catenina , la medaglietta e magari ai maschietti anche i gemellini d’oro .

Poi c’era il dono classico : una copia del Vangelo , quello generalmente regalo dei nonni.

Cancellato tutto questo nel tempo , anche perché il Vangelo ormai lo regala il parroco nella quasi certezza che altrimenti non ce ne sarebbe stata una copia in casa , gli altri inutili oggettini d’oro finivano in un cassetto e poi arrivati i ragazzi ad una età più adulta venivano tramutati in uno scambio dall’orefice con un braccialettino alla moda.

Oggi si regalano oggetti informatici : si va dallo smartphone al portatile con cordate di parenti pilotati , quasi si trattasse di liste di nozze in miniatura.

A questo punto una certa nonna si è rifiutata di entrare in cordata e allora le è stato detto che poteva comprare , magari non da sola , una scatola di Lego .

Stupore incredibile nel negozio perché la costosa scatola di Lego indicata era veramente imponente , ma soprattutto lo zio coinvolto nell’impresa faceva notare che sulla scatola c’era l’indicazione “ dai sedici anni in su”.

Avendo il nipote nove anni si ebbe una qualche perplessità , ma il padre spiegò che il ragazzino quello voleva perché le costruzioni adatte alla sua età le faceva in due ore al massimo.

Portata la scatola enorme a casa del festeggiato già due ore dopo fu visto armeggiare con centinaia di piccolissimi mattoncini sistemati con ordine in molte coppette ,divisi per colori .

Tre giorni dopo le prime foto : il primo piano finito!

Otto giorni dopo la complessa costruzione faceva già bella figura di sé sul mobile del salotto di casa , pare che avesse lavorato anche la domenica.

La Banca era finita!

Adesso so che questi complicatissimi e costossissimi Lego hanno in gran parte soppiantato anche presso gli adulti i classici puzzle di un tempo , ma so anche di avere un nipote un po’ particolare .

Ho chiesto una documentazione fotografica della costruzione perché ha dell’incredibile che sia stata costruita da un bambino e in un tempo veramente rapidissimo.

Sono anche contenta di non essere entrata nella cordata dell’Ipad , non avrei mai saputo quanto mio nipote sia bravo e paziente nella realizazione di una barocca costruzione tutto da solo e con le sue piccole mani .

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Habe Dank

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foto di Helga Geistanger

Una persona a me cara , una vecchia amica che ha perduto da poco il compagno di una vita ha risposto ad un mio piccolo biglietto di condoglianze .

Non ricordavo più cosa avessi scritto , ma la sua risposta : “ purtroppo la musica non basta” mi ha ricordato di averle detto con molto affetto che la avrei aspettata di nuovo nelle sale da concerto e nei teatri d’opera da lei frequentati da sempre .

Quelle sue parole tristi e sincere mi hanno però riportata alla mente una frase di un spot in cui si vedeva una ragazza piangente ,pene d’amore mi pareva di capire, nel quale circondata di dolcezze concludeva …più o meno così: consolarsi con le dolcezze non basta ..però aiuta !

Con tutto il dovuto rispetto e chiedendo scusa per il paragone banalmente riduttivo mi sento invece di dire che magari ascoltare la musica nei momenti dolorosi “ non basta , però aiuta”.

La musica , tutta la grande musica , è una specie di balsamo per l’anima e mi fanno un po’ pena tutti colori , e sono tanti, che non hanno la fortuna e il privilegio di poterne godere.

Una voce calda in particolare , un tenore molto amato dalle folle per la sua avvenenza e da me soprattutto per la sua grande arte mi ha aiutata a superare tante tristezze , tanti momenti di sconforto .

Ricordo di avergli detto più di una volta : habe dank… citando un lied di Strauss ,Zueignung ,spesso da lui cantato nei bis.

Lo ha fatto anche alla fine del concerto alla Elbphilharmonie girando intorno al pianoforte , con una grazia e una intuizione di grande sensibilità per un pubblico sacrificato dalla circolarità della grande arena.

Il piccolo video che una gentile spettatrice ha postato nella notte e che mi ha pemesso di goderne poche ore dopo mi ha fatto ancora una volta l’effetto di quel massaggio al cuore che la musica e la voce riescono a regalarmi e a consolarmi di tante tristezze quotidiane.

“Habe Dank “ amica kaufmaniana, che hai avuto la possibilità di essere presente al concerto e che hai avuto la gentilezza di condividerlo anche con me.

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foto di Rossella Mattioli

La barbarie continua

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Probabilmente per un mio problema personale ( credo si chiami agorafobia ) non ho mai apprezzato i grandi raduni di massa .

Una sola volta mi sono trovata in una famosa piazza romana per un grande raduno , ma dato che ero arrivata molto presto di mattina non mi ero accorta della folla incredibile dietro di me .

Dovendo riprendere un treno della sera ho cominciato verso le sei a indetreggiare fendendo la folla ; per fortuna davanti a me un’energica dottoressa gridava : devo andare in ospedale , sono di turno! riuscendo così a farsi un varco e io a starle dietro.

Ci ho messo più di un’ora e ancora ricordo la gola secca , le gambe che mi tremavano e ricordo anche di avere ricominciato a respirare normalmente solo verso la stazione Termini.

Parto da questa mia “debolezza” per affermare che non capisco i concertoni , gli stadi pieni di lucine , il mega spettacoli in generale .

Appartengo ad una generazione in cui l’unico momento nazional-popolare era andare all’opera all’Arena di Verona .

Oggi invece questi mega raduni sono una gioia anche per le famiglie , ci si va con i ragazzini festanti , alla Manchester Arena erano ventunomila , sold out.

Quale perverso meccanismo mentale può scatenare un odio così profondo nella testa di un ragazzo di ventidue anni per arrivare a colpire questo contesto ad un tempo così festoso e cosi fragile?

Quanto odio ci vuole per definire noi occidentali “ crociati” da abbattere in nome di un dio crudele che predicava attraverso il suo profeta aberranti tesi , molte delle quali lette pure in maniera distorta?

Sappiamo benissimo che esiste anche un’Islam pacifico , che non tutti i mussulmani sono terroristi , o aspiranti tali.

Sappiamo però che nel nostro occidente , gravido di colpe coloniaste passate , ci vorranno generazioni perchè questo seme folle di odio si possa spegnere.

Vinceremo noi , vincerà l’occidente capitalista , l’integrazione avverrà sui parametri europei , lo sappiamo , ma finchè l’integrazione non avverrà appunto su parametri di benessere e di eguaglianza saremo ancora in pericolo.

Non metterò cuoricini sul mio profilo , non condividerò I love MCR, ma agli orgogliosi cittadini britannici vorrei far notare quanto “europea “ sia stata la reazione di tutti noi feriti da questo ennesimo ignobile attentanto.

Ho visto in tv una foto del David di Michelangelo in Piazza Signoria a Firenze col nastro nero del lutto e con la bandiera inglese nella piega del braccio.

Questo è lo spirito , non solo degli anglo-fiorentini , è lo spirito europeo che ci unisce nel bene e nel male ,comunque finisca la Brexit e i suoi effetti collaterali.

Intanto però i corpii straziati di bambini felici e di mamme che li accompagnavano giacciono negli obitori della città inglese e forse peggio stanno quelli che sono ancora vivi e e che lottano con ferite strazianti negli ospedali.

Stamani non riesco a pensare ad altro.

 

 

 

 

i versi di Cardarelli

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Ci è voluta la bella citazione di una sua poesia da parte di un caro amico per riportarmi alla memoria Vincenzo Cardarelli, un poeta che ho molto amato e i cui versi sono rimasti tanto impressi nella mia memoria da diventare parte di me .

La poesia è sempre stata una compagna della mia vita , ci sono momenti , sensazioni , umori che riesco ad esprimere prendendo a prestito i versi di chi , nel tempo , è riuscito a racccontare quello che io provavo senza riuscire ad esprimerlo compiutamente .

L’elenco dei poeti amati è lungo ed è pericoloso anche solo tentare di formulare graduatorie o peggio classifiche .

Ogni poeta ha il suo momento , i versi tornano come onde di memoria e servono a farmi capire meglio le sensazioni che provo .

Cardarelli ha il suo spazio ben radicato nelle mie emozioni : mi è servito come un mantra un suo verso “ le cose non stanno che a ricordare “ quando la vita mi ha messo di fronte alle memorie fisiche delle persone care che mi hanno lasciato.

Un verso secco , ascuitto , definitivo , che conclude con “coraggio , guardiamo” ed è quello che poi , aiutata dalla poesia sono riuscita a fare .

 

Poi c’è una poesia assai diversa di contenuto di grande impatto visivo e ogni volta che vado a Venezia mi torna su dal cuore :

Un ciuffo d’erba che ingiallisce e muore

su un davanzale

è tutto l’autunno veneziano.

 

Anche io per un certo periodo della mia vita sono riuscita ad esprimermi solo in versi poi sono tornata alla prosa e non so bene perché.

Le piccole brochures delle mie poesie pubblicate sono praticamente esaurite , quelle inedite dormono silenti in una cartella del pc.

Forse partendo da Cardarelli ( e mi domando perché oggi è un poeta passato di moda) parlerò ancora dei miei amati poeti , sempre che ancora a qualcuno interessi sentire parlare di poesia nel nostro mondo tanto prosaico.

 

 

Pinocchio forever

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Sarà perché ho letto che Italo Calvino consigliava di impararlo a memoria che mi sono ricordata di quello che avevo vissuto personalmente nei tempi lontanissimi della mia infanzia.

Avevo più o meno tra i quattro e i cinque anni e la mia mamma Pinocchio me lo leggeva la sera , poi io guardavo le figure e mi addormentavo.

Dai e dai , leggi oggi e domani , ho finito per imparare a memoria perlomeno due pagine intere.

Cosicchè quando ho cominciato ad esibirmi in pubblico ( leggi nonni e zii) tutti hanno creduto che avessi già imparato a leggere.

Ancora oggi , se gettonata , posso iniziare : c’era una volta un re , diranno subito i miei piccoli lettori., no ragazzi avete sbagliato : c’era una volta un pezzo di legno ….e riesco ad andare avanti ancora per qualche rigo.

Ovviamente la mia truffa : -che brava l’Adriana che sa leggere così piccina , non venni mai scoperta perché nel frattempo avevo cominciato a leggere per davvero e l’innocente bravata restò solo tra le mie prodezze di memoria.

Stessa furbata poi la feci con le pagine di solfeggio che il nonno esigentissimo pretendeva farmi studiare prima di mettere le mani sulla tastiera del pianoforte.

Lì mi andò meno bene , perché in realtà il metodo noiosissimo mi allontanò definitvamente dallo studiare il piano e di questo risultato rimpiango ancora l’esito negativo.

Ma torniamo a Pinocchio , il grande classico italiano che non è un libro per bambni ma un grande testo universale sulla fragilità dell’essere umano e sulle sue debolezze .

Certo che a leggerlo bene ci si accorge che la grande bugiarda è la Fatina , quella finta buona che al povero Pinocchio davvero di balle ne racconta tante .

I personaggi che Collodi ha raccontato nel suo capolavoro hanno caratteristiche universali : il Gatto e la Volpe , falegname Geppetto , il Grillo parlante , Mangiafuoco, Lucignolo avrebbero ancora tanto da insegnare ai giovani e non solo , ma PInocchio oggi non lo si regala più ai ragazzi che magari amano i Manga giapponesi e si trastullano con i giochi sull’Ipad.

Anni fa nel bellissimo film Farheneit 451 tratto dal racconto di Bradbury quando si vede il rogo dei libri…(difficile non pensare al rogo berlinese) , l’unico libro italiano tra tutta la letteratura mondiale mandata al rogo era proprio Pinocchio!

Sarò forse una incallita retrograda , ma ancora ripenso al bellissimo sceneggiato di Comencini e al bambino che rispondeva a chi gli chiedeva notizie di famiglia : il mio babbo , falegname , povero . Dove il povero era condizione di dignità .

 

Verso Gavinana

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Sono di moda i percorsi alternativi , quelli alla scoperta di parti inedite o quasi del nostro paese.

C’è una strada che ho percorsa spesso negli anni quando andavo a trovare i miei genitori in una bellissimo paesino nell’Appennino pistoiese : Gavinana dove la mia famiglia aveva e mia sorella serba tuttora ancora la casa.

Uscivo con la macchina a Sasso Marconi dall’autostrada e cominciva un viaggio incredibile e suggestivo fra tante memorie.

La prima località che mi veniva incontro ,Marzabotto , con le terribili memorie dell’eccidio durante l’ultima guerra ,il museo , il sacrario ma a Marzabotto c’è pure un’area archeologica di scavi e questo non sono in molti a saperlo .

Da lì , quando ero piccina m’inoltravo nella valle del Sole , l’area dell’eccidio , ma io ci andavo con la mia tata Irma che abitava a Rocca Corneta in una casa enorme con la grande stalla e il camino sempre acceso . Mi ricordo il rumore della paglia nel materasso quando la sera si andava a dormire.

Lasciate le personali memorie andavo avanti:

fermi al passaggio a livello si vedeva da lontano l’incredibile Rocchetta Mattei di Riolo di Vergato : location di film e oggi anche di programmi televisivi : una volta il favoloso sogno delirante di un signore bolognese che aveva ricreato tra le tranquille montagne un fantastico maniero fra l’Art-deco e il fantastico orientale / medioevale .

Ancora avanti e arrivavo a Porretta , ora la strada ora non l’attraversa più , ma fino a pochi anni fa si passava davanti ai bellissimi alberghi termali di fine secolo .

Poi un bell’angolo retto . A sinistra si va verso Pistoia , a destra ci si inoltra nella stretta gola della valle del Reno , una volta la chiamavano anche la Valle del Freddo.

Un paesaggio durissimo , la strada con curve su curve , il fiume impetuoso in basso e in alto dall’altra parte delle valle incredibili costruzioni messe come per caso sul crinale del monte e ogni volta mi domandavo come ci si arrivava e chi potesse vivere da quelle parti.

Poi ancora , poco prima di arrivare a Pracchia , dove finisce anche la ferrovia un piccolo cartello indica : Orsigna , lassù riposa Tiziano Terzani , spesso la voglia di salire a rendergli omaggio per ringraziarlo dei suoi bellissimi libri che ho molto amato.

Uscendo dalla valle si riprende la strada statale numero uno : dell’Abetone e del Brennero , mi faceva impressione quell’abbinamento così ampolloso.

La salita poi fino a Gavinana con i paesini infiorati , le belle case toscane , i vecchi al sole sulle porte .

Gavinana , meno di mille anime è nota soprattutto per la storia legata all’assedio di Firenze perché in quella strettoia si scontrarono le truppe delle repubblica fiorentina con quelle del Duca di Orange e di tutto ciò resta ancora la statua in piazza di Francesco Ferrucci e la famosa frase che la leggenda vuole lui abbia detto al nobile napoletano Maramaldo quando gli disse : vile , tu uccidi un uomo morto .

Ovviamente da qui ne viene il detto “ maramaldeggiare “ da dire a chi colpisce una persona già ferita a morte , anche in senso metaforico.

Dall’Emila alla Toscana . Due regioni dai colori diversi , in pochi chilometri .

Ultimamente il viaggio l’ho fatto in treno , ormai non amo più guidare , ma la porrettana è un’esperienza divertente anche fatta in ferrovia.

 

Ciao Renée

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C’è una cosa che mi è dispiaciuta non fare alla fine dello streaming dal Metropolitan del Der Rosenkavalier : la standing ovation alla meravigliosa Marschallin di Renée Fleming che con questa sua ultima performance ha annunciato di lasciare le scene.

I quattro gatti , letteralmente , che uscivano tranquillamente del benemerito cinema di Falconara non sapevano di avere assistito ad una serata epica per gli amanti della lirica.

Comunque questa messinscena di NewYork non è che mi sia piaciuta poi più di tanto , per una volta Robert Carsen mi ha un po’ deluso , forse si è perso nella solita grandeur del Met : troppi Schutzen , troppe cameriere , troppi dottori .

Tutto un affastellamento di una massa abbastanza confusa , anche musicalmente ,sotto la bacchetta di un tale che forse con Strauss non ha molta confidenza.

Anche l’idea dell’ultimo atto in un bordello non mi ha convinto per niente.

L’idea iniziale da cui è partito Carsen è il vago profumo di Kakania che c’è tutto nel magico testo di Hofmannsthal ma che si perde strada facendo nell’ammucchiata di coristi e ballerini .

Diverso è il discorso per quanto riguarda i cantanti : oltre la magica Fleming che già nella sua grande aria del primo atto ci fa sentire quanto di suo ci sia nel rimpianto del tempo che passa “ dove sono andate le nevi di un tempo?”per proseguire nell’ultimo incantevole “Ja , Ja” a siglare con maestria una chiusa veramente epocale ,c’è uno strepitoso Günter Groissböck , dalla potenza vocale portentosa che ci regala un barone Ocks sanguigno e pieno di voglie aiutato dalla sua reale età perché è ancora molto giovane per interpretare il presuntuoso Barone.

Elina Garança nel ruolo del titolo gioca bene le sue carte di ragazzo/ Mariandel/ ragazzo. Vocalmente ineccepibile , col fisico giusto carica forse un po’ troppo la sua figura equivoca , il gioco di citazioni è molto più sottile dei suoi atteggiamenti caricaturali.

Graziosa quanto basta Sophie di Erin Morley ,ottimo anche il Faninal di Markus Brück ma ho visto troppi Rosenkavalier per non rimpiangere altri allestimenti, anche quelli antichi e polverosi con le scene settecentesche come l’ultimo ripeschaggio dello Staadtsoper di Monaco senza citare quello meno classico , ma perfetto di BadenBaden ( e non solo perché c’era un certo cantante italiano).

Comunque alla fine tornado a casa in macchina mi canticchiavo il valzerino Ohne mich, ohne mich …le quattro ore e passa di musica mi erano volate , anche se mi ero dovuta sorbire le solite raccomandazioni di aiutare con i nostri contributi la Fondazione del Met ( tutto è relativo al mondo) e di sapere quanti begli animali in scena ci siano ( non solo cantanti cani) in dotazione al teatro nonchè quanto lavoro ci vuole per rifare l’angelo di Castelsantangelo ….al computer ! Tosca a parte , ovviamente.

 

Macron e Beethoven

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Emmanuel Macron ,  con una vittoria inizialmente non prevista diventa il primo presidente della repubblica francese sotto i quaran’anni e soprattutto non avendo un vero partito alle spalle .

Ma io non voglio parlare di lui politicamente , sarà il tempo in cui resterà in carica a dirci se il ragazzo manterrà le promesse di innovazione e crescita che promette , se riuscirà a brillare veramente di luce propria .

Non voglio neppure parlare del suo curioso amore per una moglie –mamma , sotto fatti suoi e del resto poco tempo fa avevo visto un delizioso film francese ( poi già ricopiato in versione italiana da sceneggiatori nostrani a corto di idee) in cui si vedeva un gruppo di amici a cena dibattere sul futuro nome da dare ad un figlio in procinto di nascere .

Ebbene , sul finale , si scopriva che l’amico solitario in odore di omosessualità altri non era in realtà che l’amante segreto della madre del protagonista .

A occhio e croce una differenza d’età ..alla Macron . Dunque la Francia non si fa di questi problemi , neanche in un film commedia borghese.

 

Quello invece di cui voglio parlare e mi piacerebbe saperne il nome , è l’identità dello scenografo e/ o comunicatore che ha pensato l’entrata di Macron nella grande spianata del Louvre , da solo , emergendo dal nulla , accompagnato dalle note dell’Inno alla gioia della Nona di Beethoven.

Un colpo di teatro notevole ( un buontempone su Facebook a caldo lo aveva definito una zeffirellata ) invece io penso , secondo la teoria di Mc Luhan ,che se il medium è il messaggio chi l’ha pensata sia veramente un genio .

Quei cinque minuti di grande effetto , la piramide di Pei alle spalle ,la famiglia a valanga che entra nel finale e la Marsigliese cantata coralmente sullo sventolio della folla festante fino alle Tuieleries mi hanno fatto per un attimo desiderare di appartenere ad un paese con una così grande cultura da trasmetterla con forza a tutti coloro che come me credono nei valori della Dichiarazione dei diritti dell’uomo uscita dalla rivoluzione francese .

 

le storie di Francesco Micheli

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Due ore di “non spettacolo “per raccontare con leggerezza e senza un attimo di caduta non una sola storia , bensì tre opere liriche cucite da un fil rouge dal titolo “Oriente “.

Un’impresa che può riuscire solo ad un funambolo del pensiero , un gioioso entreuner, un prezioso folletto dell’affabulazione:

Francesco Micheli ci intrattiene nel bellissimo Lauro Rossi del Bibiena , il teatro nobile di Macerata, per raccontare il prossimo Macerata Opera Festival.

Lo fa con la sfrenata fantasia e la provocazione colta di uno che se lo può permettere .
Passa dai trailer cinematografici ai Manga , dal volto di Kim Jong-un che accarezza le bombe per arrivare ad una notissima principessa cinese crudele , poi salta in Africa e ci racconta dei tormenti amorosi di una schiava etiope per poi tornare con un’ ultima capriola nel lontano oriente per accennarci la storia di una triste povera prostituta bambina.

E fa tutto questo partendo e tornado spesso alla lettura dell’epistolario  di Matteo Ricci , quello straordinario gesuita maceratese che arrivò agli inizi del 1600 in Cina e ci rimase tanto da essere l’unico occidentale ad essere sepolto nella Città Proibita .

Lo fa coinvolgendo il Sindaco di Macerata ( e vestendolo da Calaf) per risolvere gli enigmi di Turandot , lo fa raccontandoci anche la triste storia della nave Sirio che affondò nel 1906 al largo di Barcellona portandosi tragicamente dietro nel naufragio cinquecento migranti italiani.

Intreccia le storie con i video e la musica solo con l’aiuto di un pianoforte e di una giovane cantante chiamata all’impervio cimento di impersonare le tre eroine della rassegna .

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Francesco Micheli sembra parlare senza seguire un copione che invece è rigidamente preparato nella sua testa e con l’aiuto di pochi fogli distrattamente stropicciati sulle mani tiene avvinti i fortunati spettatori che nelle due serate ,(rigorosamente su prenotazione e altrettanto rigorosamente gratis )possono godere della particolare esperienza.

Sul palco portano il saluto i rappresentanti degli ordini professionali che contribuiscono concretamente alla riuscita del Festival ,sul palco sale alla fine anche il presidente dell’associazione benefica che quest’anno godrà del focus e dei contributi che il Festival le destinerà.

Tutto questo avviene senza pompa , citando brevemente che siamo comunque in una terra violentata dal terremoto che ha colpito anche gran parte del territorio maceratese e che anche questo non può essere considerato marginale per la riuscita del Festival.

Ma tutto è detto con semplicità e senza retorica.

La leggerezza , arte difficilissima dell’intrattenimento è la chiave del successo dell’iniziativa e del mago/ storyteller Francesco Micheli a cuì va il mio personale ringraziamento quale umile socio degli Amici dello Sferisterio.

Ovviamente le tre opere sono Turandot , Aida e Butterfly alle quali si aggiunge un’opera nuova dal titolo SHI , scritta dal giovane compositore milanese Carlo Boccadoro e dedicata al grande Matteo Ricci.

 

 

Ancora Cavaradossi !

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Foto di Angelo Capodilupo

 

Dubbio amletico : la guardo o non la guardo questa ennesima Tosca da Vienna ?

In fondo non può succedere niente di nuovo : la Serafin sostituisce la “malata” Gheorghiu,l’allestimento è quello solito vecchiotto e in più il segnale va e viene ( molto va e poco viene ) infatti mi perdo “recondita armonia”.

Distrattamente però avendo il tablet vicino al computer provo a vedere da lì e ..miracolo misterioso del web , anche se formato mignon e un po’ tremolante, riesco a vedere e sentire meglio .

Abbastanza di routine il tutto , anche se la Serafin è sicuramente molto più a suo agio nella parte e Jonas  fa la sua bella figura nel momento della “vittoria!”

Seguo con un occhio solo il lungo intervallo e all’inizio del terzo atto mi metto attenta : è il momento clou delle “recondite armonie” e comincio a incantarmi.

Il resto comincia ad essere ancora una volta storia del melodramma.

Jonas canta magnificamente la sua romanza seduto e piegato nella disperazione , il suo cantare è scandito come un metronomo, perfetto, già vale la pena avere aspettato davanti ad un piccolo tablet .

Poi l’uragano inevitabile e il bis….e che bis!

Solo un artista come Jonas ripete un bis facendo un altro Cavaradossi , un altro impeto , un’altra disperazione con uno scatto finale in piedi che è un nuovo capolavoro.

Il finale poi è tutto un crescendo con ottima intesa tra i due cantanti che sono di nuovo magicamente grazie alla grande musica pucciniana i due sfortunati amanti , niente da dire : la magia del teatro , anche in streaming , è tutta lì.

 

All’uscita sugli applausi finali ogni traccia di noia è sparita dalla faccia di Kaufmann, baci abbracci e consuete pacche sulle spalle dei colleghi .

Gli è ritornata la felicità del canto e del miracolo della sua voce ne possiamo godere anche noi poveri mortali attaccati ad un piccolo tablet.

Fortunatamente poi il solito prezioso amico francese ci consente di rivederci la doppia performance , non mi resta a mia volta che di condividerla con chi se l’è persa per il cattivo funzionamento dello streaming viennese.

 

Don Carlo , un ricordo

 

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Don Carlo , un’opera del cuore . In diretta da Firenze , mi metto davanti alla tv e comincio a soffrire : vorrei scrivere qualcosa ma mi trattengo .

Poi un vecchio amico scrive se perlomeno l’ingresso era gratuito e si scatenano altri amici , capisco di non essere la sola a non reggere .

Lascio la diretta e senza alcuno sforzo , con un semplice clic ( evviva la tecnologia ) tiro fuori dalla mia pennetta già inserita nel televisore un prezioso reperto , neanche di grande qualità e oggi introvabile : il Don Carlo di Monaco del 2012.

Evviva , tutta la meravigliosa musica di Verdi riprende il suo splendore . L’allestimento non ortodosso ( tutto in una scatola con tante aperture ci da il senso claustrofobico della lugubre vicenda del povero Infante ).

I cinque atti , doverosi ormai , mi raccontano le pene , gli intrighi , gli affari di Stato che sono tutti nella stupenda partitura e nel libretto , basta rappresentarli come sono scritti.

Tutti sono nella parte a cominciare da un bellissimo Kaufmann , forse al massimo del suo vigore giovanile , Anja Harteros perfetta , un Re Pilippo di Renè Pape desolatamente disadorno nell’intimo , eccellono tutti anche e soprattutto nelle controscene mai gratuite, non ci sono sbavature e sguardi fuori posto alle telecamere .

Si fa tardi , molto tardi , ma mentre  il ricordo si fa più  vivo ( ho avuto la fortuna di vederlo dal vivo con Tezier nella parte di Posa ) seguito ad ascoltare rinviando di spegnere perché via via ho ripreso ad aspettare i grandi momenti:

ancora fino al grande duetto del secondo atto , ancora fino al Lacrimosa sul corpo di Posa , ancora ancora e ho fatto le due di notte !

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Prima di recuperare un sonno ahimè perduto ricomincio a pensare all’opera di Firenze : vecchissima in tutto , anche la direzione stanca di Metha mi conferma che sia giunto il momento di staccare. Poche prove e si vede , ciascuno fa la sua parte , più o meno bene . Sembrano un puzzle di voci messe a caso. Si salva , per quello che ho sentito, la Gubanova che si stacca decisamente dal caos generale anche se orbata di un occhio .

Il prezioso (?) conduttore ci spiega che l’occhio bendato è una raffinatezza storica in un’ opera in cui tutto è inventato e qui davvero sobbalzo sulla poltrona !

Inventato Filippo secondo , Don Carlo , Elisabetta di Valois , la pace di Cateau Cambresis? Ma come li trovano certi esperti a Firenze?

 

Pensare che proprio al Maggio di tanti anni fa feci il primo incontro con la meravigliosa opera , certi erano altri Maggi e altra vita, mi verrebbe da dire col classico rimpianto dei vecchi.